La punibilità non è esclusa anche se l’induzione si fonda sull’inganno

Il pubblico ufficiale che, al fine di farsi consegnare somme di danaro per il rilascio di licenze, prospetti, in caso di mancato pagamento, difficoltà e rallentamenti nello svolgimento dei procedimenti amministrativi è chiaramente punibile. La fattispecie penale di riferimento è oggi l’art. 319- quater c.p., a cui vanno ricondotte le azioni delittuose commesse in precedenza sotto l’art. 317 c.p. oggetto di modifica normativa. Se non che è possibile che il pubblico ufficiale prospetti cose non vere, poiché oggettivamente contrastanti con la realtà in altri termini, è possibile che egli, per farsi rilasciare indebitamente del denaro, con artifici e raggiri, menta. In tal caso, può sorgere il dubbio se si tratti di truffa, naturalmente aggravata.

Esclusa la natura di truffa. Tale impostazione è stata scartata con la sentenza n. 44587, depositata il 27 ottobre 2014, in quanto si è espressamente affermato che non vi può essere truffa laddove chi dà il denaro è consapevole di dare qualcosa di non dovuto, in quanto evidentemente chi dà sa che vi è una indebita pressione sullo stesso da parte del pubblico ufficiale. Tanto più che la prospettazione di difficoltà e rallentamenti nello svolgimento dell’iter burocratico, fondata sopra dati di fatto falsi nella specie l’indisponibilità di nuove licenze commerciali , non contrasta con la natura del reato di concussione per induzione, poiché uno dei modi attraverso cui l’induzione può manifestarsi è proprio mediante l’inganno. Si comprende allora perché la Corte di Cassazione abbia nella sostanza respinto il ricorso dell’imputato, il quale nei fatti mirava a eludere la punibilità ex art 317 c.p. ora 319- quater c.p. facendo leva sopra una falsa rappresentazione onde mirare a riqualificare e ristrutturare l’addebito originario. Pressione illecita. Del resto, nei casi di specie permane una indebita pressione che è alla base della punibilità del reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, che si differenzia dalle fattispecie corruttive, in quanto richiede sempre una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a indurre l' extraneus , comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l'accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l'incontro libero e consapevole della volontà delle parti Cass. SSUU n. 12223/2013 . Intervento legislativo. Per completezza occorre sottolineare che la Corte ha comunque disposto l’annullamento con rinvio facendo leva sulla intervenuta modifica legislativa che ha introdotto, come indicato l’art. 319- quater c.p., che si pone certamente in una posizione di continuità normativa, ma che ha introdotto una disciplina sanzionatoria più favorevole di cui non si può tenere conto in giudizio di legittimità, atteso che una tale preclusione è ammissibile solo dopo la formazione del giudicato, ancorché progressivo, sulla qualificazione giuridica del fatto, così come da ultimo evidenziato recentemente dalle Sezioni unite secondo cui non può trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza della Corte di Cassazione che dispone l'annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente determinano l'irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla qualificazione dei fatti ascritti all'imputato Cass. SSUU n. 16208/2014 .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 – 27 ottobre 2014, n. 44587 Presidente Di Virginio – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. C.L. ricorre avverso la sentenza con la quale in data 27 giugno 2012 la Corte d'Appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza emessa dal G.I.P del Tribunale di Chieti il 14 ottobre 2009 ad esito di giudizio abbreviato, lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione e alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque per reati di concussione e tentativo di concussione realizzati, in attuazione del medesimo disegno criminoso, dal 2005 al marzo del 2008. 2. C. , dipendente del Comune di Chieti addetto all'Ufficio Commercio e Attività Produttive, è stato in particolare ritenuto colpevole di aver concorso con P.F. , dirigente del medesimo Ufficio, nell'indurre M.A. , F.F. , P.G. e Co.Mo. alla consegna di somme di denaro a fronte del rilascio di licenze commerciali, prospettando, in caso di mancato pagamento, difficoltà e rallentamenti nello svolgimento dei relativi procedimenti amministrativi. Il C. veniva altresì ritenuto colpevole di concorso in tentata concussione per induzione in danno di Fe.Lu. e B.C. , non avendo in tali casi i suddetti coimputati conseguito il richiesto pagamento. 3. La Corte d'Appello di L'Aquila ha in primo luogo ritenuto corretta la qualificazione giuridica dei fatti operata dal giudice di primo grado ed ha escluso la ricorrenza degli estremi del reato di truffa prospettata dal ricorrente. La Corte ha altresì ritenuto la penale responsabilità del C. , in concorso con la coimputata P. nei confronti della quale si era proceduto separatamente, sulla base delle testimonianze delle persone offese. M. , P. e Co. riferivano in particolare che l'imputato aveva loro comunicato l'indisponibilità di ulteriori licenze e aveva richiesto C. l'intervento della Pe. . Riferivano inoltre che lo stesso C. era presente in occasione di alcuni colloqui tra la coimputata e le persone offese nel corso dei quali ebbero luogo le richieste di indebita dazione Co. ovvero atti F. che tale richiesta necessariamente presupponevano pagg. 4-6 della sentenza d'appello . La Corte rammentava inoltre che a carico dell'imputato esistevano anche le dichiarazioni della Pe. , secondo la quale era il C. ad avanzare le richieste di denaro a coloro che presentavano domanda per l'ottenimento di licenze commerciali, facendo in modo che la consegna avvenisse poi a mani della coimputata. Nel caso del reato commesso in danno del B. la Corte di merito valorizzava quale ulteriore elemento costitutivo dell'induzione la prospettata soppressione della missiva in cui si comunicava la cessazione dell'attività commerciale. 4. C. chiede l'annullamento della sentenza d'appello sulla base di due motivi. Col primo lamenta la carenza della motivazione laddove la Corte di merito ha omesso di dar conto delle ragioni per le quali ha ritenuto provato l'effettivo esaurimento del contingente numerico delle licenze commerciali. Su tale circostanza si fonda infatti secondo il ricorrente l'assunto che le persone offese sarebbero state tratte in inganno dal C. allorquando egli avrebbe loro rappresentato l'impossibilità di rilasciare le licenze commerciali oggetto di richiesta. Sulla base di tale presupposto logico, il reato in astratto ascrivibile all'imputato sarebbe stato quello di truffa aggravate e non già la concussione per induzione. La sentenza sarebbe poi intrinsecamente contraddittoria poiché tra le dichiarazioni delle persone offese e quelle della coimputata P. vi sarebbe insanabile contrasto, non rilevato dalla Corte d'appello, non avendo le prime riferito di aver versato denaro al C. , né di aver mai ricevuto da lui alcuna richiesta al riguardo. 5. In subordine, C. chiede la cassazione della gravata sentenza con rinvio ad altra Corte d'appello per rideterminare la pena irrogata sulla base del sopravvenuto e più favorevole regime sanzionatorio recato dall'art. 319-quater cod. pen Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato e va pertanto respinto. La sentenza impugnata appare invero essere immune dai vizi logici e giuridici denunciati, sia per quanto riguarda la qualificazione giuridica delle condotte ascritte al C. , sia per quanto attiene il complessivo percorso argomentativo utilizzato per pervenire alla condanna. L'esaustiva ricostruzione delle condotte del C. operata dalla Corte di merito descrive infatti situazioni caratterizzate, da un lato, dalla effettiva e cosciente partecipazione dell'imputato alle condotte della P. , e, dall'altra, dalla piena consapevolezza dei privati di dare o promettere qualcosa di non dovuto. Particolarmente significativi sono al riguardo i riferimenti alle vicende relative a Co.Mo. che riferisce della presenza del C. alla richiesta di 7000 Euro da parte della P. e a F.F. il quale pure dà conto della presenza dell'imputato e della sua interlocuzione con la persona offesa in occasione di una richiesta di dilazione avanzata da esso F. alla P. , del resto in ciò del tutto coerenti con gli altri episodi riferiti e oggetto di condanna. A tale riguardo, corretto e non contraddittorio appare anche il riferimento operato in sentenza alle dichiarazioni rese dalla coimputata P. . La Corte di merito ha poi correttamente ritenuto - sulla base di puntuali, coerenti riferimenti alle dichiarazioni delle persone offese - che l'avere il C. prefigurato l'indisponibilità di nuove licenze commerciali a causa dell'esaurimento del relativo contingente integra il comportamento ostruttivo finalizzato all'induzione dei richiedenti all'indebito pagamento, quale descritto nel capo di imputazione la prospettazione di difficoltà e rallentamenti nello svolgimento dell'iter burocratico . In tale contesto, corretta appare l'affermazione della Corte d'Appello secondo la quale l'inganno, pur non essendo elemento necessario della concussione, non è in contrasto con la natura e la struttura di tale reato. Naturale e logico appare a tal proposito che la Corte di merito non abbia indugiato sulla circostanza dell'effettivo esaurimento del contingente delle licenze commerciali al momento delle domande dei privati. Invero, anche se quella circostanza fosse stata esistente non avrebbe fatto venir meno per i privati l'evidenza del carattere indebito della dazione richiesta, che anzi si sarebbe collegata ad un atto - il rilascio di una licenza esorbitante rispetto al contingente disponibile - per sua natura chiaramente illegittimo. Appare dunque evidente, a prescindere dal fatto che il contingente delle licenze fosse oppure no esaurito, che i privati fossero pienamente consapevoli della non doverosità della dazione richiesta dai pubblici ufficiali, elemento questo caratterizzante l'abuso induttivo contestato al C. , rettamente ritenuto nella sentenza impugnata, in rapporto alla fattispecie di truffa da ultimo, Cass. Sez. 6, 12 giugno 2012, Mucciacito e Antenucci . 2. È invece fondato il motivo relativo alla necessità di determinazione della pena sulla base del sopravvenuto regime sanzionatorio di cui all'art. 319-quater cod. pen Sussiste infatti continuità normativa, quanto alla posizione del pubblico agente, tra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 cod.pen. e il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater cod. pen., considerato che la pur prevista punibilità, in quest'ultimo, del soggetto indotto, non ha mutato la struttura dell'abuso induttivo, ferma restando, per i fatti pregressi, l'applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma SU 12 marzo 2014, n. 10 . Limitatamente a tale punto, va pertanto disposto l'annullamento dell'impugnata sentenza con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia per la rideterminazione della pena irrogata alla stregua del più favorevole trattamento sanzionatorio sopravvenuto. P.Q.M. Qualificato il fatto come reato di cui all'art. 319 quater c.p., annulla limitatamente alla pena la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte d'Appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.