Tassi da usuraio: minacciare la vittima non rientra nell’esercizio delle proprie ragioni

Il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie, destinate l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria, aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, di cui l’una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44366, depositata il 24 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Milano condannava per il reato di estorsione un imputato, il quale ricorreva in Cassazione. Veniva contestata l’assenza dell’elemento psicologico, in quanto l’uomo aveva agito nella convinzione di procedere al recupero del proprio credito, per cui i fatti dovevano essere qualificati ai sensi dell’art. 393 c.p. esercizio arbitrario delle proprie ragioni . Inoltre, come ulteriore motivo per integrare la fattispecie dell’art. 393 c.p., si deduceva che la parte offesa aveva restituito all’imputato una somma inferiore al capitale mutuato, per cui quest’ultimo avrebbe comunque potuto agire ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c. sugli interessi. Tassi usurari. La Cassazione, tuttavia, riteneva adeguatamente dimostrata la condotta usuraria del ricorrente, che in diverse occasioni aveva anche percosso la vittima. In più, il costante incremento degli interessi pretesi dall’imputato deponeva per la sussistenza di un prestito a tassi usurari che precludeva qualsiasi pretesa di legittima azionabilità della somma relativa al capitale mutuato, per cui la violenza e le minacce erano rivolte non alla restituzione solo dell’originario prestito, ma della cifra più consistente che si è accumulata nel tempo. Doppia fattispecie di reato. Il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie, destinate l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria, aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, di cui l’una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Perciò, nella prima, il verificarsi dell’evento lesivo del patrimonio altrui non è l’effetto del reato, ma il suo elemento costitutivo, che, in caso di integrale adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito. Il secondo caso si verifica, invece, quando la promessa del corrispettivo non viene mantenuta, per cui il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta. Nel caso di specie, gli interessi erano oggettivamente di carattere usurario, il che escludeva la legittimità dell’eventuale pretesa giuridicamente azionabile di ottenere il rimborso dell’intero capitale mutuato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 – 24 ottobre 2014, n. 44366 Presidente Fiandanese – Relatore Macchia Osserva Con sentenza del 6 giugno 2013, la corte di appello di Milano in riforma della sentenza emessa il 9 luglio 2008 dal Tribunale di Varese nei confronti di T.A. imputato di estorsione e tentata estorsione, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine agli episodi di tentata estorsione antecedenti il 6 febbraio 2005 perché estinti per prescrizione ed ha ridotto la pena inflitta per la restante imputazione ad anni tre e mesi otto di reclusione ed euro 700 di multa. Propone ricorso per cassazione personalmente l'imputato e il suo difensore. Nel ricorso dell'imputato si lamenta vizio di motivazione in riferimento alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, non correttamente apprezzate anche in rapporto alla transazione intervenuta presso uno studio legale di Varese. La Corte territoriale, poi, avrebbe dato credito alla versione del denunciante senza considerare le numerose contraddizioni in cui lo stesso era caduto, vuoi sull'ammontare delle somme, vuoi sulla ricostruzione dei fatti e dei rapporti intercorsi con l'imputato. Si sottolinea, infine, l'assenza dell'elemento psicologico, avendo l'imputato agito sempre nella convinzione di procedere al recupero del proprio credito - donde la sollecitazione relativa alla qualificazione dei fatti nel reato di cui all'art. 393 cod. pen. - e si aggiunge al riguardo la sussistenza di gravi condizioni di salute psicologica in cui lo stesso versava. Nel ricorso proposto dal difensore, parimenti si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, osservandosi che la parte offesa avrebbe restituito all'imputato una somma inferiore al capitale mutuato, con la conseguenza che avrebbe potuto agire a norma dell'art. 1815, secondo comma, cod. civ. Sussisterebbero dunque i presupposti per ritenere nella specie applicabile l'art. 393 cod. pen. Il giudice dell'appello, poi, avrebbe dovuto valutare la condotta dell'imputato in un contesto unitario e dunque rapportare gli elementi del profitto e del danno alla pretesa creditoria non soddisfatta dalla parte offesa. Non sussisterebbe, infine, l'elemento psicologico del contestato reato ma, semmai, quello della ragion fattasi. I ricorsi sono palesemente infondati. La Corte territoriale ha, infatti, adeguatamente messo in luce il coeso quadro indiziario atto ad asseverare la responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, in particolare ponendo in risalto il numero e la cadenza delle varie querele della persona offesa la sostanziale affidabilità delle sue dichiarazioni, rimaste inalterate nel loro nucleo essenziale la circostanza che alcuni dati significativi - quale lo stato di intimidazione in cui versava la persona offesa e l'atteggiamento minaccioso dell'imputato - venne personalmente riscontrata. dai Carabinieri il sequestro delle cambiali e degli assegni rilasciati dalla persona offesa il rinvenimento, in possesso dell'imputato, di annotazioni relative a prestiti effettuati dall'imputato stesso a terze persone, a dimostrazione della attività di prestito ad interesse dallo stesso normalmente praticata le deposizioni testimoniali di alcune persone, dalle quali è risultata confermata la condotta usuraria e violenta dell'imputato, che ebbe anche a percuotere la vittima della usura la sostanziale inattendibilità della versione difensiva offerta dal prevenuto. Quanto, poi, alla complessa dinamica della vicenda, articolatasi per anni, il costanze incremento degli interessi pretesi dall'imputato, reso evidente dal rilascio dei vari titoli a garanzia da parte dalla vittima, univocamente depone per la sussistenza di un prestito a tassi usurari che preclude qualsiasi pretesa di legittima azionabilità della somma relativa al capitale mutuato, giacchè la violenza e le minacce dispiegate dall'imputato erano tese, non certo alla restituzione solo dell'originario prestito, ma della ben più consistente cifra venutasi ad accumulare nel tempo. D'altra parte, questa Corte ha reiteratamente avuto modo di sottolineare che il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie - destinate strutturalmente l'una ad assorbire l'altra con l'esecuzione della pattuizione usuraria - aventi in comune l'induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l'una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l'altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Ne consegue che nella prima il verificarsi dell'evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia, non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all'eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell'illecito, il quale, nel caso di integrale adempimento dell'obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell'obbligazione rimasta inadempiuta. Cass., Sez. II, n. 38812 del 1 ottobre 2008, Barreca . E' quindi corretto l'assunto dei giudici a quibus, secondo il quale gli interessi promessi e pretesi dall'imputato erano ontologicamente di tipo usurario e tali da contaminare - tanto sul piano materiale che psicologico - la legittimità della eventuale pretesa giuridicamente azionabile di ottenere il rimborso dell'intero capitale mutuato. La qualificazione giuridica dei fatti deve pertanto reputarsi del tutto corretta. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2014.