Cane morde un bimbo: colpevole la padrona, nonostante tenesse l’animale al guinzaglio

Lesioni notevoli per il bambino, morso al volto. Fatale la disattenzione della padrona del cane, la quale non può attenuare la propria responsabilità spiegando di aver tenuto sempre l’animale al guinzaglio.

Raptus di follia per un cane, che, nonostante sia tenuto al guinzaglio dalla padrona, aggredisce un bambino di appena 2 anni, mordendolo al volto. Fatale la scarsa attenzione prestata dalla donna, che non può discolparsi ricordando di aver tenuto sotto controllo il proprio animale Cassazione, sentenza n. 44095, sez. IV Penale, depositata il 23 ottobre 2014 . Morso. Contesto del brutto episodio è una mostra canina lì, purtroppo, un animale, nonostante il guinzaglio, morde al volto un bambino di 2 anni, che riporta lesioni serie, come ‘certificato’ dal referto sanitario . A finire sotto accusa è la padrona dell’animale, la quale viene condannata, sia in primo che in secondo grado, per il reato di lesioni personali colpose, alla pena di 1.000 euro di multa e al risarcimento del danno . Unica ‘soddisfazione’ per la donna è il riconoscimento, in Tribunale, del concorso di colpa della vittima, quantificato nel 40 per cento . Disattenzione. Secondo la donna, però, i giudici di merito hanno sottovalutato il fatto che ella portasse il cane al guinzaglio, rispettando in pieno la normativa per la Tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione di cani , ove è previsto l’obbligo, per i detentori di cani, di applicare la museruola o il guinzaglio ai cani quando si trovano nelle vie o in altro luogo aperto al pubblico . Tale obiezione, però, viene ritenuta irrilevante dai giudici della Cassazione, i quali evidenziano la ‘colpa’ della donna, ossia la omessa vigilanza del cane ella, in sostanza, in presenza di più persone nell’ambito della mostra, avrebbe dovuto tenere una condotta di particolare attenzione ed idonea ad evitare l’evento . Non a caso, aggiungono i giudici, la normativa richiamata dalla donna richiede di vigilare con particolare attenzione sulla detenzione degli animali al fine di evitare ogni possibile aggressione a persone .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 giugno – 23 ottobre 2014, n. 44095 Presidente Brusco – Relatore Izzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 4\4\2013 il Tribunale di Lecce, sez. dist. di Maglie, confermava la condanna di R.D. per il reato di cui all'art. 590 c.p. per lesioni colpose in danno del minore G.N. che pativa un morso da un cane condotto dall'imputata in una villa in cui era in corso una mostra canina acc. in Sanarica -LE il 16\9\2007 . Osservava la Corte che la responsabilità dell'imputata emergeva dal referto ospedaliero e dalle deposizioni dei testi presenti al fatto, i quali avevano riferito dell'aggressione del cane al piccolo N. di anni due che, improvvidamente gli si era avvicinato. La negligenza della R. consisteva nel non avere vigilato sull'animale e nel non avergli fatto indossare la museruola. Il Tribunale, rilevato il concorso di colpa della vittima, quantificato nel 40%, riduceva la pena ad € 1.000= di multa, confermano la statuizione di condanna al risarcimento del danno. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, lamentando il difetto di motivazione della condanna, non essendo certo che il minore fosse stato morso anzi, non essendo stata espletata una perizia medica, era mancata la assunzione di una prova decisiva. I testi presenti, in particolare il R., non erano indifferenti, in quanto si accompagnavano alla madre della vittima per cui la loro attendibilità non era sicura. Quanto al mancato utilizzo della museruola, tale strumento era alternativo al guinzaglio che, nel caso di specie, legava l'animale alla padrona. 3. Con memoria depositata il 18\6\2014 il difensore della parte civile chiedeva il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. In relazione alla prova dei morso e della sua riconducibilità al cane dell'imputata, i giudici di merito riportano le plurime deposizioni testimoniali, tutte convergenti nella ricostruzione della vicenda così come effettuata nella sentenza impugnata. Peraltro le deposizioni, come evidenziato dal tribunale, hanno trovato riscontro nella certificazione medica versata in atti e nelle foto del volto del bambino ove sono visibili i segni dell'aggressione. 3. Quanto al lamentato difetto di motivazione sulla prova della colpa, va premesso il richiamato disposto dell'ordinanza del Ministro della Salute del 13\1\2007, n. 10, avente per oggetto la Tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione di cani , ove è previsto l'obbligo per i detentori di cani di applicare la museruola o il guinzaglio ai cani quando si trovano nelle vie o in altro luogo aperto al pubblico inoltre di vigilare con particolare attenzione sulla detenzione degli stessi al fine di evitare ogni possibile aggressione a persone. Spetta pertanto al detentore dell'animale scegliere il mezzo più adeguato museruola o guinzaglio idoneo a garantire la sicurezza dei terzi presenti in luoghi pubblici. Nel caso che ci occupa il giudice di merito ha rinvenuto nella omessa vigilanza del cane il profilo di colpa dell'imputata la quale, in presenza di più persone nell'ambito di una mostra, avrebbe dovuto tenere una condotta di particolare attenzione ed idonea ad evitare l'evento poi verificatosi. Le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso rispetto alla ricostruzione del fatto operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo. Segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000 al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1000,00 mille . La condanna, inoltre dal pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00= mille in favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi € 1.500,00 oltre accessori come per legge.