Grave inimicizia tra difensore e giudice: nessuna ricusazione

I rapporti interpersonali di inimicizia grave tra difensore e giudice, o un suo prossimo congiunto, non sono previsti, dalla disciplina penale vigente, come possibili cause di ricusazione.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 43884, depositata il 22 ottobre 2014. Il caso. Un uomo proponeva ricorso verso l’ordinanza con la quale la Corte d’appello aveva dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione proposta dallo stesso ricorrente nei confronti del Presidente della sezione penale del Tribunale. Il ricorrente deduceva violazione di legge ed eccepiva il carattere non endoprocessuale del fatto oggetto di ricusazione, ossia la circostanza che il difensore del ricorrente avesse interposto atto di denuncia penale per minaccia nei confronti del magistrato. Denuncia contro il magistrato non è ipotesi di ricusazione. La Cassazione nel decidere la questione in esame, ricorda il principio ormai consolidatosi in sede di legittimità, secondo cui la presentazione di una denuncia contro un magistrato non è da sola sufficiente ad integrare l’ipotesi di ricusazione di cui all’art. 37, comma primo, lett. a , in relazione all’art. 36, comma primo, lett. d , c.p.p., poiché il sentimento di grave inimicizia, per essere pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere semplicemente dal trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità Cass., n. 30443/2003 . Nessun rilievo al rapporto di inimicizia tra difensore e magistrato. Inoltre, i rapporti interpersonali di inimicizia grave tra difensore e giudice, o un suo prossimo congiunto, non sono previsti come possibili cause di ricusazione nel vigente sistema. Infatti, la disciplina penale limita espressamente i casi di astensione e di ricusazione per grave inimicizia ai soli rapporti fra giudice ed una delle parti private, escludendosi la possibilità di estensione analogica al difensore della parte privata la normativa distingue espressamente la parte privata, titolare di posizione sostanziale obbligante il giudice all’astensione e il difensore quale portatore di posizione consimile Cass., n. 974/1996 . In conclusione, la circostanza che l’avvocato difensore dell’imputato avesse denunciato per minaccia il magistrato è circostanza assolutamente irrilevante ai fini della ricusazione proposta avverso lo stesso magistrato. Sulla base di tali argomenti la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 – 22 ottobre 2014, n. 43884 Presidente Gentile – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. G.A. ha proposto ricorso avverso l'ordinanza 8/4/2013 con la quale la Corte d'appello di Trieste ha dichiarato inammissibile l'istanza di ricusazione proposta dal medesimo G.A. nei confronti del dr. F.G., presidente della Sezione penale del Tribunale di Trieste. 2. Al riguardo deduce distorsione dei fatti e violazione di legge ed eccepisce il carattere non endoprocessuale del fatto oggetto di ricusazione, vale a dire la circostanza che il difensore del G., avv. E.L., aveva interposto atto di denuncia penale per minaccia nei confronti dei dr. G. Considerato in diritto 1. Il ricorso è palesemente inammissibile. 2. In punto di diritto è del tutto pacifico che la presentazione di una denuncia contro un magistrato non è da sola sufficiente ad integrare l'ipotesi di ricusazione di cui all'art. 37, comma primo , lett. a , in relazione all'art. 36, comma primo, lett. d , cod. proc. pen., poiché il sentimento di grave inimicizia, per essere pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere semplicemente dal trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30443 del 18/06/2003 Cc. dep. 21/07/2003 Rv. 226571 . Del resto - ha precisato la S.C. - non può ammettersi che sia rimessa alla iniziativa della parte la scelta di chi lo deve giudicare Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8429 del 10/01/2007 Cc. dep. 28/02/2007 Rv. 236253 . 3. In ogni caso, secondo l'insegnamento di questa Corte, le posizioni interpersonali di inimicizia grave tra difensore e giudice od un suo prossimo congiunto non sono previste nel vigente sistema normativo quali possibili cause di ricusazione, posto ché l'art. 36 lett. d , cui rinvia l'art. 37 del codice di rito, limita espressamente i casi di astensione e, conseguentemente di ricusazione, per inimicizia grave ai soli rapporti fra giudice o un suo prossimo congiunto ed una delle parti private, senza possibilità di estensione analogica al difensore della parte privata, atteso che la norma fondamentale l'art. 36, cui si riallaccia, in gran parte specularmente, l'art. 37 distingue espressamente il difensore e la parte privata, menzionando nelle lettere a , b , d , e la parte privata quale titolare di posizione sostanziale obbligante il giudice all'astensione, e nelle sole lettere a e b il difensore quale portatore di posizione consimile Cass. Sez. 1, Sentenza n. 974 del 14/02/1996 Cc. dep. 13/04/1996 Rv. 204336 conforme Cass. Sez. 1, Sentenza n. 45799 del 22/11/2001 Cc. dep. 20/12/2001 Rv. 220508 . 4. Pertanto il fatto che l'avv. L. abbia presentato una denuncia penale contro il dr. G., dolendosi della minaccia di essere deferito all'ordine degli avvocati è circostanza assolutamente irrilevante ai fini della ricusazione proposta dal G. contro il suddetto magistrato. 5. Quanto poi alle dichiarazioni rilasciate alla stampa dal suddetto magistrato, sfavorevoli nei confronti di una protesta iscenata in un'aula del Tribunale dagli esponenti del movimento Trieste libera cui aderisce il ricusante, le stesse non sono espressive di inimicizia grave nei confronti dell'imputato ma costituiscono legittimo esercizio del diritto di critica art. 21 Cost. che certamente non può essere censurato dall'imputato. 3. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 mille/00 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.