In Appello è possibile ripristinare la custodia cautelare nei confronti dello scarcerato per decorrenza dei termini

Ciò, senza limiti temporali o di fase. Soccombe la tesi opposta che ammetteva il potere cautelare del giudice d’appello ex art. 307, comma 2, n. 2, c.p.p. solo in prossimità della fase decisoria del secondo grado di giudizio.

Il fatto processuale. Il giudice d’appello aveva ripristinato la custodia cautelare nei confronti di un imputato - condannato in primo grado - ormai in procinto di darsi alla fuga in Kenya, ai sensi dell’art. 307, comma 2, lett. b., c.p.p., che consente al giudice procedente, in caso di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, di rieditare la misura successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado. Nel caso il giudice d’appello aveva ripristinato la misura in un momento anteriore alla decisione di secondo grado. L’imputato ricorre in Cassazione sostenendo l’abnormità del provvedimento d’ordinanza della Corte d’appello, che avrebbe acquisito competenza per l’emanazione della misura de qua solo all’esito della condanna in secondo grado o al limite già concluso il dibattimento, e non nel corso delle fasi processuali intermedie che antecedono quella decisoria, come nel caso. La Cassazione, Sesta Sezione Penale, n. 43782/2014, depositata il 20 ottobre, sconfessa il ricorrente, svincolando la competenza a provvedere del giudice dell’appello ex art. 307 cit. dalla specifica tempistica processuale del secondo grado. La tesi negata il giudice procedente può disporre la misura solo nel corso delle fasi decisorie del giudizio. Per il ricorrente, il giudice d’appello avrebbe acquisito competenza temporale a decidere sulla misura cautelare solo già delibati i motivi dell’appello dell’imputato, all’esito della fase dibattimentale quando già questi aveva avuto la possibilità di difendersi in ordine alle contestazioni mosse. Il provvedimento del giudice d’appello ex art. 307 cit. sarebbe integrativo alla sentenza di condanna, supportando il giudizio di colpevolezza sui binari delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p. La soluzione sostenuta è per alcuni versi paradossale, nella fase antecedente a quelle decisoria di secondo grado nessun giudice sarebbe competente ad emettere la custodia cautelare in caso di pericolo di fuga. Non il giudice di primo grado, in quanto non più procedente, non il giudice di secondo grado, in quanto acquisirebbe competenza solo in prossimità della fase decisoria nel grado di giudizio. Si tratterebbe di un vuoto di potere cautelare nel segmento processuale detto, quando sussistono concreti pericoli di fuga dell’imputato. Appare insufficiente il solo strumento processuale dell’anticipazione dell’udienza di trattazione dell’appello ex artt. 465 e 593 c.p.p. Il giudice d’appello è sempre competente in secondo grado a ripristinare la custodia cautelare, non sussiste alcun vincolo temporale o di fase processuale. La Cassazione preme invece sul valore sostanziale della previsione ex art. 307 cit. Va verificata la sussistenza di un pericolo di fuga , per fatti o motivi nuovi rispetto a quelli fondativi della misura scaduta ai sensi dell’art. 303 c.p.p Più gli argomenti a sostegno. Va innanzitutto negata una biunivoca relazione fra giudizio di merito e procedimento cautelare, per cui il secondo sarebbe vincolato agli esiti del primo – maturati durante la fase decisoria -. Inoltre, sotto il profilo semantico, l’avverbio modale e temporale succcessivamente” non impone alcun specifico vincolo a fasi processuali. Sotto un profilo sistematico invece, vige ad ogni modo la regola generale ex art. 279 c.p.p. la competenza ad emettere ordinanze cautelari veste” il giudice ratione temporis procedente. Non è dunque prefigurabile alcun anzidetto vuoto di potere cautelare . Il giudice d’appello, verificati fatti sopravvenuti fondativi dell’emissione della custodia cautelare, può sempre emettere nuova ordinanza.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 settembre – 20 ottobre 2014, n. 43782 Presidente Agrò – Relatore Paoloni Ritenuto in fatto 1. Tratto a giudizio per rispondere, quale direttore amministrativo della ASL/RM-C negli anni 2002-2004, di plurimi fatti di peculato e di falsità ideologica in atti pubblici commessi nel quadro di indebiti trattamenti di favore riservate ad imprese sanitarie del gruppo societario Iannuzzi-Cappelli, l'imputato C.M. è stato condannato con sentenza del Tribunale di Roma del 19.11.2012, avverso la quale ha proposto appello, alla pena di otto anni e due mesi di reclusione. Lo stesso C. ha subito per ulteriori fatti reato collegati alla sua qualità di pubblico ufficiale altra condanna, divenuta definitiva, alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione. 2. In pendenza del giudizio di appello udienza fissata al 21.5.2014 avverso la prima decisione del 19.11.2012 la Corte di Appello di Roma, accogliendo specifica richiesta del Procuratore Generale, con ordinanza del 30.4.2014 ha ripristinato nei confronti del C. già sottoposto a misura cautelare carceraria e rimesso in libertà per decorrenza dei termini di fase la misura cautelare della custodia in carcere ai sensi dell'art. 307 - co. 2, lett. b - c.p.p., ritenendo sussistere un concreto pericolo di fuga dell'imputato, potenzialmente correlata all'eventuale conferma della condanna subita in primo grado e alla conseguente esecutività di una consistente pena a quella di quattro anni e otto mesi di reclusione ormai definitiva, potendo cumularsi, se confermata e non ulteriormente impugnata, quella di otto anni e due mesi di reclusione per un totale di oltre dodici anni di reclusione . Pericolo di fuga ritenuto utilmente fronteggiabile con la sola misura della custodia in carcere e che i giudici di merito dell'appello hanno desunto dai dati informativi comunicati al p.m. dalla p.g. note allegate alla richiesta cautelare del P.G. e segnatamente a dall'avere il C. manifestato il proposito di trasferirsi definitivamente in , dove da tempo risiede e lavora a M. il fratello S. e dove lui stesso si è recato più volte negli ultimi tempi come riferito dall'impiegata dell'agenzia della compagnia aerea Ethiopian Airlines presso la quale sono stati acquistati più biglietti aerei di andata e ritorno per il b dall'avere il C. ottenuto il 20.2.2013, a seguito di asserito smarrimento, un nuovo passaporto valido per l'espatrio attraverso l'ambasciata italiana in , pur risiedendo allo stato stabilmente in Italia, ma ben sapendo che qui mai gli sarebbe stato rilasciato un passaporto idoneo all'espatrio in presenza della patita condanna definitiva e della esecutività della relativa pena quattro anni e otto mesi di reclusione . 3. Adito dall'impugnazione dei difensori del C. , che ha correttamente qualificato come appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p. afferendo al ripristino della misura cautelare e non ad una sua prima adozione , il Tribunale distrettuale di Roma ha respinto il gravame e confermato la custodia carceraria applicata al prevenuto. Il Tribunale ha disatteso i rilievi difensivi in punto di addotta abnormità dell'ordinanza cautelare della Corte di Appello per supposta carenza di potere ad emettere il provvedimento ex art. 307 co. 2 c.p.p. e, congiuntamente, in punto di insussistenza di un reale pericolo di fuga riferibile all'imputato. Sotto il primo aspetto la tesi difensiva, per cui la Corte territoriale non avrebbe potuto emettere l'ordinanza cautelare prima della conclusione del giudizio di appello di cui avrebbe così anticipato l'esito decisorio , tale possibilità essendo riservata - ai sensi dell'art. 307 - co. 2, lett. b - c.p.p. alle sole fasi definitorie dei giudizi di merito di primo o di secondo grado e non anche alle fasi processuali intermedie, è stata dal Tribunale ritenuta contraddetta dal tenore letterale della citata disposizione, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità. Nel senso che il ripristino della custodia cautelare, ritenuta necessaria ex art. 275 c.p.p. per inadeguatezza delle altre misure, è conseguenza immediata e diretta dell'insorgere di un concreto pericolo di fuga dell'imputato condannato in primo grado o in appello e per ciò stesso non consente, per definizione, specifiche dinamiche temporali collegabili alla fase processuale in corso. Il solo presupposto per il ripristino della misura cautelare indotta dal pericolo di fuga è costituito, infatti, dalla sopravvenienza di una sentenza di condanna in primo grado o in appello . Sotto il secondo aspetto i giudici del gravame cautelare hanno affermato la validità dell'apprezzamento del pericolo di fuga del C. svolto dalla Corte di Appello, evidenziandone i profili di concretezza alla stregua a fronte delle condanne, definitiva e non, riportate dall'imputato delle seguenti evenienze segnalate dalla p.g. a l’8.2.2013 C. ha chiesto un nuovo passaporto all'ambasciata italiana in , rilasciatogli il 20.2.2013 in palese violazione - quanto ad idoneità del documento per l'espatrio in Stati extra Europei - dell'art. 3 L. 21.11.1967 n. 1185, secondo cui non possono ottenere il passaporto coloro che debbono espiare una pena restrittiva della libertà personale b l'imputato, anche utilizzando il nuovo passaporto, ha effettuato più viaggi aerei in c l'impiegata dell'agenzia della Ethiopian Airlines, che ha curato la prenotazione dei voli e l'acquisto dei biglietti aerei tale T.A. e in tale attività ha conosciuto i fratelli C. M. e Ma. , residenti a S. residente in , ha riferito come l'imputato abbia espresso il proposito di trasferirsi per sempre in ordinanza Tribunale, p. 6 la dipendente della compagnia aerea ha sottolineato come l'interesse del C. per tale meta fosse molto recente d la risalente presenza in Kenia con stabile attività lavorativa del fratello S. assicura all'imputato solide forme di assistenza logistica e residenziale e ad onta della rinuncia ad un volo prenotato per il nell'aprile del 2014 addotta dall'imputato e giustificata a riprova dell'esclusione di ogni suo intento di allontanarsi dall'Italia con la fissata udienza del giudizio di appello a suo carico e con la pendenza della procedura di affidamento in prova ai servizi sociali in relazione alla sua condanna definitiva con udienze fissate in entrambi i casi nel successivo maggio 2014 , l'annullamento della prenotazione aerea e il rimborso del biglietto risultano avvenuti solo il 6.5.2014, cioè subito dopo l'emissione dell'ordinanza custodiale della Corte di Appello. 4. Con il ministero dei difensori C.M. ha impugnato per cassazione il descritto provvedimento del giudice dell'appello cautelare, deducendo gli articolati vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione di seguito sintetizzati. 4.1. Violazione dell'art. 307 - co. 2, lett. b - c.p.p Il potere ripristinatorio della custodia cautelare previsto sulla scia dell'art. 272 c.p.p. 1930 dall'art. 307 - co. 2, lett. b - c.p.p. costituisce nella sistematica del processo penale manifestazione di un potere avente natura eccezionale e vincolato a precise condizioni temporali , data l'indubbia continuità normativa del detto art. 307 c.p.p. con il previgente art. 272 c.p.p. 1930. Tale potere può essere esercitato solo contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado che ha definito la rispettiva fase processuale, poiché la valutazione in concreto del pericolo di fuga deve fondarsi su un apprezzamento unitario degli elementi e delle circostanze oggettive che descrivono l'intera vicenda e, quindi, la personalità dell'imputato, la gravità dei fatti reato e tutti i dati sintomatici che rendano probabile l'eventuale sottrarsi dell'imputato al giudizio e alle relative conseguenze. 4.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sugli elementi sintomatici del pericolo di fuga riferito all'imputato. Il Tribunale ha travisato un elemento di decisiva importanza a sostegno della tesi della vacuità del paventato pericolo di fuga del C. . Quello relativo all'annullamento del viaggio aereo prenotato nel febbraio 2014 per il , avvenuto non appena il prevenuto ha appreso della fissazione delle udienze davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma per la decisione sull'affidamento in prova esecutivo della condanna definitiva e davanti alla Corte di Appello per la decisione sull'appello contro la sentenza del Tribunale del 19.11.2012. Erroneamente il Tribunale ha ipotizzato che il C. abbia disdetto il volo solo dopo l'emissione dell'ordinanza cautelare a suo carico. I giudici dell'appello cautelare hanno clamorosamente confuso la data del 6.5.2014 con quella dell'effettivo rimborso del biglietto aereo chiesto dal C. , trattandosi – invece - della data del rilascio di copia della relativa documentazione prodotta dalla difesa. Considerato in diritto 1. L'impugnazione proposta nell'interesse di C.M. va rigettata per infondatezza dei prospettati motivi di ricorso. 1.1. In via preliminare occorre subito evidenziare che effettivamente come emerge ex actis dai documenti allegati al ricorso il Tribunale ha equivocato la data concernente la rinuncia al volo per il e la richiesta del rimborso del relativo biglietto da parte del C. , data anteriore all'esecuzione della ripristinata custodia cautelare, facendola coincidere con quella del semplice rilascio delle copie cartolari della pratica di rimborso. Ciò non elide, tuttavia, la congruenza e pertinenza degli altri elementi rappresentativi del pericolo di fuga individuati dal Tribunale e prima sintetizzati. 1.2. La tesi difensiva incentrata sulla dedotta violazione dell'art. 307 - co. 2, lett. b - c.p.p. per mancanza, ratione temporis , del potere funzionale di ripristino della misura cautelare in capo alla Corte di Appello, giudice di merito di secondo grado, in epoca anteriore alla conclusione del giudizio di appello e alla pronuncia della relativa sentenza è priva di pregio, proprio alla luce - merita rimarcare - delle decisioni di legittimità in tema di misure cautelari adottabili dopo il decorso dei termini custodiali della fase processuale in corso, alle quali impropriamente si richiama il ricorso. Si sostiene nel ricorso che la valutazione complessiva della vicenda processuale può scaturire solo all'esito del dibattimento. Cioè al termine dei giudizi di primo o secondo grado, rispettivamente, dopo l'apprezzamento nel contraddittorio delle parti delle emergenze attinenti alla regiudicanda ovvero dopo la verifica della fondatezza o meno dei motivi di impugnazione dell'imputato. Affermare la validità funzionale della decisione ripristinatoria della cautela da parte della Corte di Appello prima del relativo giudizio di secondo grado, come ritiene il Tribunale di Roma, equivarrebbe ad una forzatura della norma codicistica. Il potere di ripristino nasce con la emissione della sentenza di condanna e gli incisi avverbiali della norma contestualmente o successivamente legittimano unicamente il giudice di merito che ha emesso la sentenza e non altri ad adottare la misura cautelare anche in un momento appena successivo a sostanziale integrazione della emessa sentenza. Il legislatore non ha affidato al giudice di appello il potere di ripristinare la custodia cautelare in base alla decisione del giudice di primo grado, unico legittimato nella propria fase processuale ad intervenire ai sensi dell'art. 307 co. 2 c.p.p Tale sentenza di primo grado per effetto dell'impugnazione dell'imputato deve ritenersi sottoposta alla condizione sospensiva della delibazione dei motivi di appello . Delibazione che può esperirsi unicamente all'esito del dibattimento di secondo grado alla presenza dell'imputato e nel contraddittorio delle parti. Siffatta tesi, sorretta da argomenti non privi di suggestione ma dai risultati applicativi a tacer d'altro singolari, prefigura una interpretazione del citato art. 307 c.p.p. praeter legem e affatto incompatibile con il tenore letterale della disposizione, oltre che con i principi ispiratori della relativa disciplina processuale. 1.3. Il peculiare ripristino della misura cautelare di cui alla lettera b dell'art. 307 co. 2 c.p.p., sempre preceduto, come ovvio, da una domanda del p.m. richiede necessariamente l'insorgere, al di là della possibile permanenza di un pericolo di fuga già considerato dalla anteatta misura cautelare scaduta ex art. 303 c.p.p. e, dunque, di per sé non più apprezzabile , la sopravvenienza di elementi e fatti nuovi intervenuti alla data della scarcerazione o in epoca successiva e tali da far emergere le esigenze di cautela di cui all'art. 274, lett. b , c.p.p La valutazione espressa dal giudice di merito, che abbia pronunciato una sentenza di condanna in primo o in secondo grado, sulla significatività del sopravvenuto pericolo di fuga dell'imputato già scarcerato per decorrenza dei termini custodiali ove l'imputato non sia stato già sottoposto a misura cautelare, trova eventuale applicazione la diversa disciplina prevista dall'art. 275, co. I-bis, c.p.p. presuppone - come recita l'art. 307 c.p.p. - una decisione di condanna, ma è da questa del tutto indipendente, la condanna potendo assumere rilievo indiretto unicamente in ragione della entità della pena inflitta all'imputato. Il giudizio di merito sulla responsabilità e il giudizio incidentale sulle esigenze cautelari connesse al sopraggiunto pericolo di fuga dell'imputato provvisoriamente condannato sono autonomi e immuni da possibili interferenze del primo sul secondo. Anche e soprattutto quando il pericolo di fuga si manifesti dopo la condanna di primo grado e prima della decisione di appello, del cui giudizio sia stato già investito il giudice di secondo grado, divenuto in tal modo il solo giudice che procede in detta specifica fase processuale a norma degli artt. 582 ss. e 593 ss. c.p.p. Sez. U., 29.10.2009 n. 47008, D'Amato, rv. 244810 Sez. 6, 16.12.2009 n. 8983/10, Torrisi, rv. 246406 . Non ha ragion d'essere, dunque, la possibile indebita anticipazione del giudizio di merito di secondo grado paventata nel ricorso per i casi in cui - come quello riguardante il C. - il giudice di appello ripristini la misura cautelare in un momento anteriore alla definizione del giudizio di secondo grado. 1.4. Nessun dato normativo autorizza ad ipotizzare la necessità che l'incidentale valutazione del pericolo di fuga dell'imputato condannato in primo grado intervenga alla fine del giudizio di appello, dopo la verifica della fondatezza o meno dei motivi di gravame dello stesso imputato, sì da introdurre una immaginaria condizione sospensiva della condanna di primo grado, come arditamente si sostiene in ricorso. Tanto più quando si sgombri il campo dall'equivoco che aleggia nello stesso ricorso con riguardo all'entità della pena riportata dal C. in primo grado. Nel quadro di quella che la dottrina ha definito la sintomatologia del pericolo di fuga la misura della pena inflitta all'imputato è un dato certamente non privo di rilievo, ma di per sé solo rimane un semplice indicatore di uno dei verosimili moventi che possono alimentare la propensione alla fuga dell'imputato, la cui concretezza per i fini dell'art. 307 c.p.p. deve scaturire dal concorso di altre circostanze oggettive che sorreggano le ragioni del rischio di fuga del prevenuto. Nessuna norma e tanto meno l'art. 307 c.p.p. lascia supporre che il giudice di merito dell'appello sia privo del potere funzionale di ordinare il ripristino su richiesta, merita ripetere, del p.m. della misura cautelare a fronte del sopravvenire di un pericolo di fuga ignoto al giudice di primo grado e che questi non potrebbe comunque più apprezzare, dopo l'interposto appello, non essendo più il giudice che procede. Per vero non è seriamente sostenibile che, in modo incongruo e in evidente contrasto logico e sistematico con la disciplina delle impugnazioni, il ripristino della custodia cautelare competa ancora al giudice di primo grado pur dopo che questi si è spogliato del processo, ritualmente transitato nella disponibilità conoscitiva e funzionale del giudice di secondo grado. Ragionando secondo la tesi enunciata in ricorso si perverrebbe, del resto, al paradossale risultato di introdurre nella dinamica del processo un non ammissibile segmento temporale, più o meno esteso, di vero e proprio vuoto di potere cautelare, affatto incompatibile con l'intera disciplina normativa delle misure cautelari personali e dei loro sviluppi endoprocedimentali. Dovrebbe credersi, in altre parole, che possibili situazioni rappresentative di un concreto pericolo di fuga dell'imputato già condannato in primo grado manifestatesi prima della celebrazione del dibattimento di appello e della relativa definizione del giudizio non potrebbero essere apprezzate e, se necessario, adeguatamente arginate con lo strumento offerto dall'art. 307 co. 2 c.p.p. durante il periodo intermedio tra l'assunzione in carico del procedimento da parte della Corte di Appello e la trattazione e definizione del giudizio di secondo grado. Periodo che può assumere significativa consistenza temporale, che solo in parte potrebbe essere limitata dalla eventuale anticipazione dell'udienza di trattazione dell'appello ex artt. 465 e 593 c.p.p 1.5. La verità è che proprio l'esplicito inserimento nel testo dell'art. 307 - co. 2, lett. b - c.p.p. dell'avverbio modale e temporale successivamente in opzione alternativa alla contestualità decisoria del giudizio di merito e della valutazione sul ripristino della cautela esclude che il giudizio incidentale sulla necessità o meno - in presenza di pericolo di fuga dell'imputato - di ripristinare l'anteriore misura cautelare possa lasciare spazio ad ipotetiche modulazioni temporali o a particolari scansioni differenziali a seconda della fase, intermedia o finale decisoria , del già instaurato procedimento di appello. Ineccepibile deve, per tanto, reputarsi l'impugnata ordinanza del Tribunale laddove ha riconosciuto la pienezza del potere ripristinatorio cautelare esercitato dalla Corte di Appello nei confronti del C. , afferendo lo stesso ad una decisione incidentale che va assunta, senza alcun rilievo per la fase del procedimento e come - del resto - accade in tutti gli altri omologhi casi previsti dal codice di rito, dal giudice che procede cioè dal giudice di merito investito della regiudicanda e, dunque, nel caso in cui si inquadra la posizione del ricorrente C. , dal giudice procedente nel momento in cu è emerso perché segnalato dal p.m. il pericolo di fuga dell'imputato cfr. Sez. 5, 29.11.1996 n. 5252/97, Di Dio, rv. 206575 Sez. 6, 11.1.1999 n. 30, Castrillon, rv. 212715 Sez. 6, 10.4.2003 n. 20897, Domingo, rv. 222034 . 1.6. Neppure i rilievi dei ricorrenti difensori in tema di concretezza del pericolo di fuga dell'imputato, stimato dal Tribunale con complessivo lineare giudizio sulle nuove sopraggiunte esigenze di cautela ex art. 274 - lett. b - c.p.p., sono fondati. Senza sottacere la già segnalata erronea lettura dei dati documentali offerti dalla difesa a supporto della non sospettabile rinuncia del C. al viaggio aereo in Kenia programmato per il maggio 2014, le considerazioni sviluppate dal Tribunale a sostegno della sussistenza di un effettivo pericolo di fuga dell'imputato e dei suoi connotati di concretezza non meritano censura. L'analisi dei giudici dell'appello cautelare è coerente rispetto ai dati di conoscenza provenienti dalla p.g. e costituiti innanzitutto dalle informazioni dell'impiegata della compagnia aerea etiopica che ha prenotato i viaggi aerei dell'imputato in Kenia in merito al non velato proposito del C. di volersi trasferire per sempre nello Stato africano. Informazioni riscontrate oggettivamente dai diversi viaggi aerei compiuti dall'imputato in Kenia e dalla incontestata disponibilità in quello Stato della stabile presenza di un suo fratello ormai del tutto inserito nel tessuto sociale e lavorativo di quel Paese. Dati di fatto cui si sovrappone l'altrettanto oggettiva evenienza dell'avvenuto rinnovo del passaporto in Kenia per mezzo della locale ambasciata italiana. Le notazioni del Tribunale non sottendono nessuna illazione circa la veridicità o meno del denunciato smarrimento del passaporto avvenuto in , limitandosi a constatare un dato di immediata lettura, quale quello della certezza per espressa previsione normativa che un nuovo passaporto valido per l'espatrio non sarebbe mai stato rilasciato in Italia al C. proprio a causa della sua condanna definitiva alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione. Non può sfuggire che la condotta dell'imputato, ben edotto degli eventi esecutivi susseguenti alla patita condanna, è a dir poco sorprendente, se deve prestarsi fede alla sua professione di stabile permanenza in Italia pur a fronte di una imminente possibile conferma della condanna ad otto anni di reclusione la cui sentenza egli ha appellato . E diviene ancor più singolare quando si osservi che l'ambasciata italiana in non ha rilasciato al C. il nuovo passaporto subito, ma otto giorni dopo la corrispondente richiesta. Tant'è che l'imputato si è fatto carico di ritornare appositamente in Kenia al solo scopo di ritirare il passaporto come emerge per tabulas e come attesta l'impiegata della compagnia aerea, ricordando che nell'occasione C. è andato e tornato dall'Italia al Kenia nell'arco di una stessa giornata . I rilievi del Tribunale ben trascendono, quindi, i termini di una mera presunzione, ricomponendo il ravvisato confermato pericolo di fuga del prevenuto nel contesto di una analisi chiara e razionale delle oggettive emergenze qualificanti il complessivo contegno del C. valutato rivelatore del ridetto pericolo di fuga. 1.7. Le censure formulate con il ricorso, quindi, non colgono nel segno, apparendo le stesse confondere - tra l'altro - i caratteri della concretezza e della attualità del pericolo di fuga dell'imputato. Ai fini dell'apprezzamento del pericolo di fuga ex art. 274, lett. b , c.p.p. il requisito della concretezza non è semplicisticamente omologabile a quello della attualità, vale a dire alla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli ad un incipiente progetto di fuga. Al contrario il requisito della concretezza è integrato dalla sola condizione, necessaria e sufficiente, dell'esistenza di elementi concreti cioè non meramente congetturali in base ai quali, come nel caso del C. , possa affermarsi che l'imputato, verificandosene l'occasione o l'opportunità, possa facilmente abbandonare il territorio nazionale, così sottraendosi all'esecuzione di una condanna già definitiva e di una possibile futura condanna ancor più onerosa. In questa prospettiva anche le critiche del ricorso in ordine alla sommaria negativa valutazione della applicabilità di una misura cautelare meno afflittiva della custodia in carcere non hanno pregio. Il Tribunale ha congruamente esposto le ragioni, logiche e storiche, della inidoneità cautelare di misure diverse da quella carceraria nel fronteggiare il pericolo di fuga dell'imputato, ivi inclusa quella del divieto di espatrio ex art. 281 c.p.p Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria curerà gli incombenti informativi connessi allo stato detentivo del ricorrente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94/1-ter disp. att. c.p.p