Condanna dovuta a colpa dell’imputato, ma se c’è anche lo “zampino” del giudice, scatta il risarcimento

La colpa grave costituisce causa ostativa al riconoscimento della riparazione dell’errore giudiziario quando abbia dato causa all’errore medesimo, non anche quando si sia limitata ad essere una delle cause concorrenti.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 43590, depositata il 20 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Genova respingeva la domanda di riparazione di un notaio, che era stato condannato nel 2001 per aver indicato, nella denuncia dei redditi del 1994, ricavi inferiori a quelli effettivi, ed assolto definitivamente, nel 2010, per insussistenza del fatto. La domanda veniva respinta in quanto si era ritenuto che l’errore giudiziario fosse stato causato dal comportamento gravemente colposo del notaio, il quale aveva tenuto le scritture contabili in maniera irregolare, così da sviare le indagini della guardia di finanza, soprattutto riguardo alla verifica dell’entità dell’imposta dovuta e non pagata. Ciò aveva dato origine al procedimento penale, che si era poi concluso favorevolmente non per l’insussistenza del fatto, ma per il mutamento legislativo l’introduzione del d.lgs. n. 74/2000 della soglia di evasione per la rilevanza penale. Il notaio ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di non aver indicato gli elementi che avevano integrato dolo o colpa grava, insiti nell’atteggiamento tenuto dal notaio, sia prima che durante il processo. In colpa, ma non soltanto lui. La Cassazione ricorda che la colpa grave costituisce causa ostativa al riconoscimento della riparazione dell’errore giudiziario quando abbia dato causa all’errore medesimo, non anche quando si sia limitata ad essere una delle cause concorrenti. Non doveva essere condannato. Nel caso di specie, l’omissione dell’indicazione dei ricavi non aveva rappresentato la causa esclusiva della condanna errata, dovuta anche alla mancata applicazione dello ius novum , il quale era sopravvenuto alla condotta del notaio, ma anteriore alla sentenza di condanna del marzo 2001. Con l’introduzione dell’art. 3, d.lgs. n. 74/2000, relativo alle soglie di punibilità, la condotta del ricorrente doveva ritenersi non punibile penalmente, in quanto non erano state superate né la soglia relativa all’ammontare complessivo dei ricavi non dichiarati né quella riguardante l’imposta evasa. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione alla Corte d’appello di Genova.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 20 ottobre 2014, numero 43590 Presidente Romis – Relatore Casella Ritenuto in fatto Con ordinanza 12 marzo 2103, la Corte d'appello di GENOVA respingeva la domanda di riparazione dell'errore giudiziario patito da C.F., esercente la rofessione notarile, per effetto della condanna irrogatagli dalla Corte d'appello di Firenze con sentenza numero 801/2001, quale responsabile del delitto di cui agli artt. 8 della legge numero 4 del 1929 e 4 lett. f della legge numero 512 del 1982 - per aver indicato,ella denunzia dei redditi dell'anno 1994, al fine di evadere le imposte sui redditi, ricavi inferiori a quelli effettivi, con una seguente evasione di imposta, di lire 730milioni. Con sentenza in data 23 giugno 2010, l'istante era stato definitivamente assolto da ogni addebito, dalla Corte d'appello di Genova in sede di revisione, per insussistenza del fatto. La pronunzia reiettiva, oggetto di impugnazione, risulta motivata sul rilievo che l'errore giudiziario abbia trovato causa in un comportamento quantomeno gravemente colposo del notaio C.,integrato, nel caso specifico, dalla irregolare tenuta delle scritture contabili dello studio di guisa da provocare lo sviamento dell'attività di indagine della Guardia di Finanza non tanto in ordine alla evasione stessa,ma quanto alla verifica della entità della imposta dovuta e non pagata. Da tale errore ebbe quindi origine il procedimento penale a carico dell'istante poi conclusosi favorevolmente in sede di revisione non per una ritenuta insussistenza del fatto,quanto per un mutamento legislativo in punto alla soglia della evasione per la rilevanza penale . Ricorre per cassazione il C. articolando due motivi, per vizi di violazione di legge e per vizi della motivazione del provvedimento impugnato, così sintetizzati. Con la prima doglianza, si denunzia l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 643 cod. proc. penumero per avere la Corte d'appello di Genova ravvisato il dolo o la colpa grave - ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione - nelle modalità di tenuta delle scritture contabili, omettendo di considerare che tale condotta extra processua le, siccome integrante l'elemento materiale stesso del reato contestato al C. ex art. 4 lett. f delle legge numero 516 del 1982, non avrebbe potuto entrare nella valutazione richiesta, a' sensi dell'art. 643 codice di rito. Con il secondo motivo lamenta il difensore il difetto di motivazione dell'ordinanza impugnata per avere la Corte distrettuale mancato di indicare gli elementi integranti dolo o colpa grave insiti nell'atteggiamento tenuto dal notaio sia anteriormente all'instaurazione del processo nei rapporti con la P.G. che nel corso di esso. Annota a tale proposito il ricorrente che il C., nella fase delle indagini, ebbe sempre a collaborare con la Guardia di Finanza e che, nel corso del processo, ebbe ad evidenziare, mediante una memoria tecnica, l'erronea quantificazione della imposta evasa - cui era autonomamente pervenuta la Guardia di Finanza - nella misura di 730 milioni di lire anziché in quella di lire 136.498.000 con penale irrilevanza del fatto a norma dell'art. 3 D.I.vo numero 74 del 2000 . Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta in atti, ha concluso per l'annullamento della impugnata ordinanza, giudicando fondato il proposto ricorso. Il Ministero resistente dell'Economia e delle Finanze, come rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con memoria depositata in cancelleria il 5 febbraio 2014, ha richiesto il rigetto del ricorso, con il conseguente regolamento delle spese,come per legge. Considerato in diritto Il Collegio non può non condividere quanto osservato dal Procuratore Generale nella requisitoria scritta,laddove si è evidenziato che il provvedimento impugnato non resiste alle censure dedotte dal difensore con i due motivi di ricorso, tra loro intimamente connessi e quindi da trattarsi congiuntamente. Preliminarmente deve richiamarsi l'ormai consolidato insegnamento di questa Corte cfr. Sez. 4 numero 2569 / 1999 rv. 213141 Sez. 4 numero 9213 / 2010 rv. 246803 secondo il quale la colpa grave costituisce causa ostativa al riconoscimento della riparazione dell'errore giudiziario quando abbia dato causa all'errore medesimo e non anche quando si sia limitata ad essere una delle cause concorrenti ciò a differenza delle disciplina normativa sullì'incidenza della stessa causa ostativa ai fini della riparazione dell'ingiusta detenzione. La pronunzia impugnata ha invero disatteso siffatta affermazione di principio. La Corte d'appello ha individuato la causa dell'errore giudiziario nel comportamento del C. che, al fine di evadere le imposte dovute, ebbe ad omettere l'indicazione dei ricavi così incorrendo in una violazione tributaria, dotata di rilevanza penale, all'epoca dei fatto, tale da determinarne la condanna poi annullata in sede di revisione. Ora, dalla sentenza di revisione è emerso che siffatta omissione non ha rappresentato la causa esclusiva dell'errata condanna del C., dovuta altresì alla mancata applicazione del jus novum , sopravvenuto alla condotta dell'istante,ma comunque anteriormente alla pronunzia della sentenza della Corte d'appello di Firenze in data 5 marzo 2001 con cui fu confermata la condanna emessa dal Giudice di prime cure nei confronti del C. quale responsabile del reato di cui al capo B, sopraindicato condanna poi divenuta irrevocabile a seguito della sentenza emessa il 18 aprile 2002 dalla Terza Sezione penale di questa Corte che rigettò il ricorso per cassazione proposto dal C In sostanza alla stregua del jus superveniens art. 3 D.l.vo 10 marzo 2000 numero 74, la condotta del C.,integrata dall' aver indicato, nella dichiarazione dei redditi dell'anno 1994, al fine di evadere le imposte sui redditi, ricavi inferiori a quelli effettivamente percepiti in tanto avrebbe potuto conservare rilevanza penale in quanto come chiarito dalla sentenza di revisione fossero state superate entrambe le soglie di punibilità, espressamente previste dalla novellata disposizione normativa de qua, quanto all'ammontare complessivo dei ricavi non dichiarati ed a quello dell'imposta evasa. Orbene, nel caso di specie, ha accertato la Corte d'appello di Genova in sede di revisione che i ricavi non dichiarati erano pari a lire 556.067.000 importo quindi inferiore a tre miliardi ed al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi dei reddito e che l'imposta sui redditi evasa per l'anno 1994 ammontava a lire 136.509.013 importo quindi inferiore al limite di 150.000.000 lire . Ne discende che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte d'appello di Genova affinchè alla luce di quanto fin qui osservato, proceda a nuovo esame della domanda di riparazione dell'errore giudiziario, come proposta dal ricorrente. Allo stesso giudice di rinvio va altresì demandato di procedere al regolamento delle spese tra le parti, anche per il presente giudizio. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Genova cui demanda la regolazione delle spese tra le parti anche per il presente giudizio.