Il CdA risponde del reato se partecipa attivamente ad un illecito

L’intero consiglio di amministrazione di una società, compresi gli ex consiglieri, risponde del reato di frode fiscale se ha partecipato consapevolmente all’organizzazione di un illecito, indipendentemente da chi abbia presentato la dichiarazione fraudolenta e dal fatto che un socio si sia dimesso tempo prima della dichiarazione di fallimento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 42899 del 14 ottobre 2014, ha stabilito che tutto il consiglio di amministrazione di una società per azioni risponde della frode fiscale quando partecipa all’organizzazione dell’illecito per i giudici di legittimità è irrilevante che al momento della presentazione della dichiarazione fraudolenta un socio si fosse già dimesso. La Corte di Cassazione, in sostanza, con la sentenza in commento conferma la responsabilità a carico di tutto il consiglio di amministrazione, per una dichiarazione dei redditi fraudolenta basata sull’utilizzo di fatture false. Società dichiarata fallita, ma il socio si era già dimesso. Con sentenza del marzo 2012 la Corte d'Appello riconosceva la responsabilità di un socio di una società per azioni, componente del consiglio di amministrazione della stessa, per un triennio la società è stata dichiarata fallita quando il socio si era già dimesso da circa un anno. Le accuse erano di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso con altri amministratori della società e dichiarazioni fraudolente mediante l’utilizzo di fatture false. La tesi difensiva davanti alla Corte di Cassazione dell’ex socio ricorrente si basava sul fatto che neppure nel breve periodo in cui era stato membro del consiglio di amministrazione, questi aveva mai compiuto direttamente atti gestione o di amministrazione della società in quanto tanto dal verbale di constatazione della Guardia di Finanza, che da dichiarazioni testimoniali, di cui la Corte di Appello non aveva tenuto conto, il dominus della società, almeno per le operazioni più importanti, era stato il presidente del consiglio di amministrazione, coadiuvato da altri dirigenti della società, tra i quali un direttore gestionale, un responsabile commerciale e un responsabile delle aree operative, mentre il ricorrente era inquadrato semplicemente nell'ufficio acquisti. Nel ricorso in Cassazione, inoltre, il socio ricorrente rilevava che le dichiarazioni fiscali, per i periodi di imposta 1999 e 2000, erano state presentate quando era già uscito dal consiglio di amministrazione di conseguenza secondo la tesi difensiva, da una parte mancava l'elemento materiale del reato, dall'altro era assente il dolo specifico essendo rimasto estraneo alle registrazioni contabili della società. La dichiarazione fraudolenta. Il d.lgs. numero 74/2000 prevede diverse ipotesi delittuose che si commettono a seguito di utilizzazione di fatture false quella contenuta nell’art. 2, oggetto della sentenza della Cassazione in commento, delinea il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti la norma prevede che è punito con la reclusione da un anno e 6 mesi a 6 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi . Per integrare la fattispecie in questione è necessario che il soggetto colui che ha ricevuto la fattura e l’ha successivamente inclusa in dichiarazione abbia agito con il fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto e abbia, quindi, indicato nella dichiarazione annuale presentata elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture o altri documenti sostanzialmente falsi. È necessario, altresì, che la fattura falsa sia annotata nelle scritture contabili obbligatorie ovvero sia conservata a fini di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria mancando, in caso contrario, l’insidiosità della condotta. La bancarotta fraudolenta, disciplinata dall’art. 216, r.d. numero 267/1942 c.d. Legge Fallimentare è, senza dubbio, la figura delittuosa più rappresentativa e rilevante all’interno del diritto penale fallimentare. È un reato proprio e di pericolo, nel senso che è commesso nell’ambito della procedura fallimentare e solamente da quei soggetti, quale l’amministratore, che occupano la particolare qualifica o posizione indicata espressamente dalle norme incriminatici, e si sostanzia in una serie di condotte illecite idonee ad arrecare un grave pregiudizio sia ai creditori, sia alla collettività in generale, in quanto vengono commesse in un contesto economico caratterizzato dal dissesto dell’impresa commerciale. L’imputato ha avuto un ruolo attivio? La Corte di Cassazione in riferimento al ricorso dell’ex socio, osserva che, con la censura di violazione di legge, il riconoscimento del ruolo attivo dell'imputato nella gestione della società poi dichiarata fallita, alla base dell’affermazione di responsabilità per gli episodi distrattivi, nonché per le violazioni finanziarie dichiarate prescritte, è carente di fondamento. L'insistenza dell’ex socio ricorrente nell’escludere che nel breve periodo in cui era stato membro del consiglio di amministrazione egli avesse compiuto direttamente atti di gestione o di amministrazione della società, essendo il dominus di questa incarnato dal presidente dell'organo amministrativo, la cui azione era coadiuvata da quella di altri soggetti, non è comunque giustificata dalle dichiarazioni testimoniali di 3 dipendenti della società fallita che, secondo i giudici di legittimità, sono addirittura controproducenti rispetto agli obiettivi difensivi. Per la Corte di Cassazione, inoltre, sono infondate le motivazioni di inosservanza od erronea applicazione dell’art. 2, d.lgs. numero 74/2000. Il rilievo, finalizzato ad escludere la sussistenza del contributo materiale del socio ricorrente al reato, della presentazione delle dichiarazioni fiscali per i periodi di imposta 1999 e 2000, in epoca successiva alla sua uscita dal consiglio di amministrazione, non tiene conto che il concorso del reato di cui all’art. 2 d.lgs. numero 74/2000, è configurabile, come ampia giurisprudenza di legittimità osserva, anche nei confronti di coloro che , anche se addirittura estranei o privi di cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta, abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento nella specie, il socio ricorrente, ha consentito all’amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia che proveniva anche da periodi di imposta in cui il socio ricorrente era nel consiglio di amministrazione. Tale orientamento è in linea con il principio, proprio del concorso di persone di reato, per il quale esso è configurato anche dalla consapevole partecipazione solo ad un segmento della linea unitaria della condotta criminosa, allorché, consentendo il raggiungimento dell'evento, abbia avuto efficacia decisiva nella realizzazione del piano ideato dal correo . La Corte di Cassazione, in conclusione, respinge il ricorso e condanna il socio anche al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 giugno – 14 ottobre 2014, n. 42899 Presidente Marasca – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16-3-2012 la Corte d'Appello di Milano, confermando in ordine ai capi d'imputazione 6, 7 e 8 quella in data 4-5-2006 del Gip del tribunale della stessa città che sotto altro profilo era riformata con dichiarazione di prescrizione del reato, sub capo 3, di cui all'art. 2 d.lgs.74/2000 per avere gli imputati, al fine di evadere le imposte dirette e l'IVA, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, indicato nelle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi pari a 18 milioni di Euro nel 1999 e a 7 milioni di Euro per il 2000 , riconosceva la responsabilità di V.P. , quale socio della INFOTECH spa, dichiarata fallita il 20-9-2001, e componente del consiglio di amministrazione della stessa dal 30-4-1999 al 3-7-2000, per tre ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in concorso con F.R. , quest'ultimo in veste, nei vari periodi, di amministratore unico, presidente del consiglio di amministrazione e liquidatore della società, e con P.R. , quale socio, consigliere di amministrazione e amministratore di fatto della stessa, separatamente giudicati. 2. La prima ipotesi di bancarotta, di cui al capo 6, riguarda il finanziamento della controllata Brain Store srl per il complessivo importo di 2 miliardi e 200 milioni di lire, a breve distanza dalla messa in liquidazione della stessa, quando la Infotech versava già in insanabile crisi finanziaria. La seconda, capo 7, è relativa all'incasso di oltre sei miliardi di lire da istituti di credito mediante anticipazioni sulle ricevute bancarie Ri.Ba. , con utilizzo delle relative somme per pagamenti a favore di società fornitrici di comodo inserite nel meccanismo fraudolento alla base del reato finanziario dichiarato prescritto. La terza, capo 8, attiene alla distrazione di merci per oltre 2 miliardi e seicento milioni di lire, non pagate ai fornitori e non rinvenute dal curatore fallimentare all'atto dell'inventario, nonché di beni relativi ad un contratto di leasing. 3. V. ha proposto ricorso tramite il difensore deducendo plurime doglianze. 4. Primo motivo violazione di legge in relazione a tutti i capi d'imputazione, ivi compreso il 3, dichiarato prescritto, con riferimento al ruolo dell'imputato all'interno della società. 5. Neppure nel breve periodo in cui era stato membro del consiglio di amministrazione 30-4-1999/27-6-2000, data nella quale aveva inoltrato lettera di dimissioni questi aveva mai compiuto direttamente atti gestione o di amministrazione della società in quanto tanto dal verbale di constatazione della Guardia di Finanza 7-8-2002, che da dichiarazioni testimoniali, di cui la corte territoriale non aveva tenuto conto, il dominus della società, almeno per le operazioni più importanti quali quelle di Trading, era stato il presidente del consiglio di amministrazione, F.R. , coadiuvato da Pe.Fe. , direttore gestionale, da M.C.V. , responsabile commerciale e da P.R. , responsabile delle aree operative, mentre V. era inquadrato semplicemente nell'ufficio acquisti. 6. Le testimonianze valorizzate in sentenza non erano invece significative in quanto provenienti da soggetti che avevano realmente fornito merci alla Infotech, i rapporti del V. con i quali non potevano stupire dato il suo ruolo di assistenza ai clienti e di promozione dei prodotti della società. Tra l'altro il 30-11-2000 l'imputato era stato licenziato con lettera sottoscritta dal presidente F. , il che concorreva a farne escludere la posizione centrale nell'ambito della società invece attribuitagli nella decisione impugnata. 7. Il secondo ed il terzo motivo investono, con la deduzione rispettivamente di inosservanza o erronea applicazione dell'art. 2 d.lgs. 74/2000, e di vizio di motivazione, il reato sub 3, dichiarato prescritto. 8. Sotto il primo profilo si evidenziava da un lato che le dichiarazioni fiscali per i periodi di imposta 1999 e 2000 erano state presentate quando V. era già uscito dal consiglio di amministrazione il 3-7-2000 , mancando quindi l'elemento materiale del reato, dall'altro che comunque mancava il dolo specifico essendo V. rimasto estraneo alle registrazioni contabili della società. 9. Sotto il secondo profilo il ricorrente osservava come la corte milanese non avesse [ motivato in punto inapplicabilità dell'art. 129 cod. proc. pen. limitandosi a richiamare le pagg. 14-16 della sentenza di primo grado ignorando la questione della mancata presentazione da parte del V. di dichiarazioni fiscali. 10.11 quarto ed il quinto motivo investono con lo stesso tipo di censure l'affermazione di responsabilità per il capo 6. Premesso che l'imputato non era stato amministratore né di Infotech, per quanto sopra, né di Brain Store srl ma invece di Brain Store snc , l'operazione di finanziamento in favore di Brain Store srl era stata valutata lecita e non distrattiva dal collegio sindacale con lettera, ignorata nella sentenza di primo grado, inviata al curatore in cui si precisava che il solo fine dell'operazione era stato quello di trasformare in credito di finanziamento un credito commerciale di Infotech nei confronti della controllata, senza alcun aggravamento della situazione finanziaria della società e senza alcuna distrazione. Comunque, dato lo scopo dell'operazione, mancava la prova del dolo, desunta dai giudici di merito dalla qualità di amministratore di entrambe le società, mentre V. non era né socio né amministratore di Brain Store srl, né si era mai occupato di contabilità in Infotech. 11. Inoltre la corte milanese si era limitata al richiamo anche testuale della sentenza di primo grado ignorando i motivi di appello, in particolare omettendo di spiegare perché non aveva valutato a favore del prevenuto il parere del collegio sindacale qualificato sbrigativamente come memoria per'pararsi da responsabilità . 12. I motivi sesto e settimo riguardano il capo 7 concernente le distrazioni delle somme ricevute dal sistema bancario mediante anticipazioni sulle Ri.Ba., distrazioni realizzate tramite l'annotazione in contabilità - dal maggio all'agosto 2000 - di note di credito e di una fattura di quattro società Binda spa, IBES srl, MSC srl e IOPI srl per un importo totale di oltre sei miliardi e 600 milioni di lire, a storno di operazioni commerciali fittizie concluse alcuni mesi prima, importo ricevuto dalle banche tramite anticipazioni su Ri.Ba., distratto mediante pagamenti a favore di fornitori di comodo Tecnotrend sas di Cecere Antonio, Setup di D.G. , Digitech srl . 13. Il sesto motivo deduce inosservanza o erronea applicazione di legge in relazione all'art. 216 legge fall., richiamato dall'art. 223, comma 1, stessa legge, in quanto, come già evidenziato nell'atto di appello, benché soltanto la nota di credito nei confronti della Binda spa per due miliardi e 650 milioni circa fosse stata emessa nel periodo in cui V. era membro del C.d.A., a gli erano state addebitate anche le operazioni realizzate mediante documenti contabili emessi successivamente alla sua uscita da quel consiglio 3-7-2000 b quanto alla presunta natura fittizia delle operazioni rettificate mediante le note di credito che rappresentavano peraltro una limitata parte delle cessioni effettuate da Infotech alle stesse società , era mancata la verifica in concreto dell'effettiva destinazione finale della mercé mediante un analitico controllo della movimentazione di magazzino c il giudice di primo grado aveva ritenuto soltanto ragionevole” che la merce, essendo stata acquistata da cartiere, non fosse mai esistita d mancava comunque l'elemento psicologico e V. , anche nel periodo in cui era stato consigliere di amministrazione, non aveva mai compiuto direttamente atti di gestione/amministrazione, come risultava dalle indagini preliminari assistenza ai clienti e promozione dei prodotti f non ricorreva neppure responsabilità ex art. 40 cpv. cod. pen 14. A fronte di tali argomentazioni, la corte territoriale si era limitata ad affermare che le operazioni fittizie, antecedenti e sottostanti all'annotazione delle note di credito, si collocavano in un periodo temporale ascrivibile all'imputato, aggiungendo, senza spiegarne il motivo, che le osservazioni del giudice di primo grado rendevano superflua ogni ulteriore indagine circa la movimentazione di magazzino, così incorrendo in vizio di motivazione motivo settimo . 15. Con l'ottavo motivo si deduceva violazione di legge in relazione all'applicazione della norma incriminatrice quanto al capo 8, relativo alla distrazione di merci e di diritti patrimoniali nascenti da contratti di leasing il ricorrente ne cita quattro, mentre nel capo d'imputazione risulta contestato solo quello stipulato con Cardine Leasing il 6-4-1999 . A fronte delle argomentazioni esposte nell'atto di appello mancanza di elemento psicologico, mancata analisi della condotta del V. in ordine alle varie forniture di merci, verifica del curatore circa il ritiro delle merci in locazione finanziaria da parte delle società di leasing , la corte del territorio aveva evidenziato che le merci non erano state rinvenute dal curatore senza che l'equivalente fosse entrato nelle casse sociali richiamando il ruolo centrale attribuito al V. nella sentenza di primo grado, ma aveva trascurato completamente gli accertamenti del curatore che escludevano la distrazione dei diritti patrimoniali. 16. Il nono motivo investe lo stesso capo 8 con la censura di vizio motivazionale per mancato esame delle dichiarazioni del curatore appena ricordate. 17. Il decimo motivo lamenta erronea applicazione dell'art. 130 codice di rito in quanto la corte milanese aveva integrato la decisione, con procedura di correzione di errore materiale successiva alla pronuncia del dispositivo della sentenza, con la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di PC e la liquidazione delle stesse, mentre l'indirizzo delle sezioni unite penali di questa corte che lo consente 7945/2008 si riferisce alla sentenza di patteggiamento e il relativo principio non è applicabile al giudizio dibattimentale per la sua radicale diversità. Il ricorrente richiama anche Cass. Sez. U, 16103/2002 e Sez. I 2094/1993, che distinguono l'errore materiale, frutto di lapsus o di svista, da quello concettuale, ricorrente nel caso in esame, non emendabile con la procedura di correzione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel complesso da disattendere. 2. Il primo motivo, che attacca con la censura di violazione di legge il riconoscimento del ruolo attivo dell'imputato nella gestione di Infotech, alla base dell'affermazione di responsabilità per gli episodi distrattivi - nonché per le violazioni finanziarie dichiarate prescritte -, è carente di fondamento. 3. Va in primo luogo ricordato, grazie al rapporto di mutua integrazione ricorrente tra sentenza di primo e di secondo grado, che la decisione del Gip, cui quella impugnata fa espresso richiamo, da pag. 65 si occupa specificamente della posizione V. e ne evidenzia la posizione di socio con rilevante partecipazione sempre conservata nell'ambito delle ripartizione del capitale di Infotech tra soli tre soggetti, nonché il ruolo di direttore degli acquisti sia dal punto di vista commerciale che per le registrazioni contabili, con conseguenti svolgimento di un'attività effettiva e piena consapevolezza della fittizietà delle operazioni poste in essere dalla società. 4. Ciò posto, l'insistenza dell'impugnante nell'escludere che nel breve periodo in cui era stato membro del consiglio di amministrazione 30-4-1999/27-6-2000, data nella quale aveva inoltrato lettera di dimissioni egli avesse compiuto direttamente atti di gestione o di amministrazione della società - essendo il dominus di questa incarnato dal presidente dell'organo amministrativo, F.R. , la cui azione era coadiuvata da quella di altri soggetti -, non è comunque giustificata dalle dichiarazioni testimoniali di tre dipendenti di Infotech, tra l'altro citate nel ricorso per stralci selezionati, inframmezzati da omissis. 5. Al di là dell'incompletezza delle relative citazioni, si osserva che quelle di A. G. sono addirittura controproducenti rispetto agli obiettivi difensivi, risultando da esse come la teste, impiegata amministrativa, non si occupasse di acquisti, dei quali invece si occupava generalmente il V. , e solo in casi particolari il P. o il M. , e come l'imputato - per quanto, benché socio, si comportasse come un dipendente -, tuttavia ben conosceva le operazioni poste in essere dalla società. In tal modo la testimonianza incide a sfavore dell'imputato sotto due profili cruciali per l'affermazione di responsabilità e cioè da un lato l'inserimento dell'imputato nel settore acquisti, dall'altro la sua consapevolezza delle operazioni societarie, rilevanti per tutte le ipotesi distrattive e fiscali. 6. Il contributo dichiarativo di C. Pa. , poi, pure evocato per stralci nel ricorso, è di scarsa significatività ai fini perseguiti indicando come la teste, che si occupava dei rapporti con le banche dal 1-1-2000, si fosse accorta di discordanze e, volendo controllare la mercé in entrata e quella in uscita operazioni il trait d'union delle quali all'interno dell'azienda era M. , avesse avuto degli screzi con il P. che le celava la verità, ciò peraltro non escludendo il ruolo del V. . 7. La testimonianza di P.G. C. , assunto il 21-3-2000, coordinata con quella della G. , neppure esclude la consapevolezza del V. delle operazioni della società, pur avendo evidenziato che le operazioni di trading con l'estero erano svolte da F. , M. e P. . 8. Alla valutazione della scarsa rilevanza in senso favorevole all'imputato delle testimonianze richiamate nel ricorso, deve accompagnarsi quella di infondatezza dell'assunto dell'impugnante - tendente a svalutare le testimonianze valorizzate invece in sentenza - secondo il quale, provenendo queste da soggetti che avevano realmente fornito merci alla Infotech, era normale che essi avessero intrattenuto rapporti con il V. dato il suo ruolo di assistenza ai clienti e di promozione dei prodotti della società. 9. Infatti, premesso che tali contributi dichiarativi danno conto nel complesso del ruolo effettivo e centrale dell'imputato nei rapporti con clienti e fornitori, va osservato che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, la IBES e la IOPI i cui legali rappresentanti sono tra coloro che hanno reso tali testimonianze fanno parte di quelle società, di cui al capo 7, che avevano emesso note di credito/fatture a storno di precedenti operazioni fittizie, per le quali la fallita aveva usufruito di anticipazioni bancarie su Ri.Ba Segno dunque che V. era in rapporti anche con clienti inseriti nel giro delle operazioni simulate. 10. La circostanza, poi, che il 30-11-2000 sarebbe intervenuto il licenziamento dell'imputato con lettera sottoscritta dal presidente F. , sottolineata al fine di smentire la posizione centrale nella società accreditatagli in sentenza, è non solo assertiva, ma anche irrilevante posto che, come già evidenziato, egli mantenne sempre la posizione di socio sui tre della società con rilevante partecipazione, non potendo quindi essersi estraniato alle vicende e alle scelte di Infotech. 11. Del pari infondati sono il secondo ed il terzo motivo che investono, con la deduzione rispettivamente di inosservanza od erronea applicazione dell'art. 2 d.lgs. 74/2000, e di vizio di motivazione, il reato sub 3, dichiarato prescritto. 12. Il rilievo, finalizzato ad escludere la sussistenza del contributo materiale del V. al reato, della presentazione delle dichiarazioni fiscali per i periodi di imposta 1999 e 2000 in epoca successiva alla sua uscita dal consiglio di amministrazione avvenuta il 3-7-2000 , non tiene conto che il concorso nel reato di cui all'art. 2 del d.lgs. 74/2000 è configurabile anche nei confronti di coloro che -anche se addirittura estranei o privi di cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta - abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento - come nella specie, per quanto sopra, il V. -, che ha consentito all'amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia Cass. 35729/2013 . 13. Il che è in linea con il principio, proprio del concorso di persone di reato, per il quale esso è configurato anche dalla consapevole partecipazione solo ad un segmento della linea unitaria della condotta criminosa, allorché, consentendo il raggiungimento dell'evento, abbia avuto efficacia decisiva nella realizzazione del piano ideato dal correo. 14. Né ha maggior pregio la censura di insussistenza del dolo specifico per l'asserita estraneità del V. alle registrazioni contabili della società, da un lato in contrasto con la contraria affermazione in fatto dei giudici di merito, dall'altro irrilevante stante la sua partecipazione al meccanismo alla base delle dichiarazioni fraudolente. 15. Consegue a quanto sopra l'infondatezza anche della censura di vizio di motivazione in punto inapplicabilità dell'art. 129 cod. proc. pen. per mancato esame della questione della presentazione da parte di altri delle dichiarazioni fiscali, questione che, come già osservato, è inconsistente alla luce della partecipazione dell'imputato alla fase antecedente della realizzazione del meccanismo fraudolento, alla quale la sentenza di primo grado ha dedicato non solo le pagg. 14-16, ma anche le pagg. da 16 a 63 per l'analisi delle singole operazioni, e da 64 a 66 per l'esame delle singole posizioni. 16. Privi di fondatezza sono anche il quarto e quinto motivo di ricorso che investono l'affermazione di responsabilità per il capo 6. 17. Invano si reitera il rilievo che V. non fosse stato amministratore né di Infotech, per quanto sopra, né di Brain Store srl, ma invece della diversa società Brain Store snc, avendo la corte territoriale già considerato irrilevante tale circostanza, prospettata anche con l'atto di appello, alla luce del ruolo del prevenuto di legale rappresentante della snc facente capo allo stesso gruppo di persone e di interessi, della sua mai cessata qualità di socio di Infotech di cui aveva sempre detenuto una quota importante pari a quella di P. , delle sue funzioni nel settore acquisti di Infotech, sia dal punto di vista commerciale che per le registrazioni contabili -con conseguente piena consapevolezza della fittizietà delle operazioni compiute dalla società -, della ratifica da parte sua del finanziamento a Brain Store srl. 18. Il fatto poi che detto finanziamento fosse stato ritenuto lecito dal collegio sindacale con lettera inviata al curatore - in cui il fine dell'operazione era individuato nella trasformazione in credito di finanziamento di un credito commerciale di Infotech nei confronti della controllata, senza alcun aggravamento della situazione finanziaria della prima -, non è stato ignorato dalla corte territoriale che, con piena ragione, ha attribuito alla missiva finalità di autoesonero da responsabilità dei componenti dell'organo sociale, avendo il curatore qualificato l'operazione come finanziamento a fondo perduto dal momento che Infotech non aveva ricevuto alcun corrispettivo né garanzia di restituzione. 19. Ciò è avvalorato, premesso che Infotech vantava un rilevante credito commerciale per forniture nei confronti della controllata, dal contenuto stesso dell'operazione, consistita nel finanziamento alla seconda da parte della prima per importo pari al debito, finanziamento con il quale Brain aveva estinto il credito commerciale diventando obbligata per un debito da finanziamento. Il che, a ben vedere, non integra la mera trasformazione del debito giustificata dal collegio sindacale, dal momento che Infotech era ripagata dei debiti commerciali di Brain con provvista della stessa Infotech, la quale, dopo aver effettuato le forniture senza riceverne il corrispettivo, aveva finanziato la controllata per consentirle di adempiere, ma senza garanzie né possibilità di restituzione, perché di lì a poco Brain sarebbe stata posta in liquidazione. 20. Il che fa definitivamente giustizia anche della censura relativa alla sussistenza del dolo del reato stante la palese portata distrattiva dell'operazione. 21. Anche i motivi sesto e settimo del gravame sono infondati. 22. Essi riguardano il capo 7 che concerne le distrazioni delle somme ricevute dal sistema bancario mediante anticipazioni sulle Ri.Ba., realizzate tramite l'annotazione in contabilità - dal maggio all'agosto 2000 - di note di credito e di una fattura di quattro società Binda spa, IBES srl, MSC srl e IOPI srl per un importo totale di oltre sei miliardi e 600 milioni di lire, a storno di operazioni commerciali fittizie concluse alcuni mesi prima, importo ricevuto dalle banche tramite anticipazioni su Ri.Ba. e distratto mediante pagamenti a favore di fornitori di comodo Tecnotrend sas di Ce.An. , Setup di D.G. , Digitech srl . 23. Il sesto motivo sorregge la censura di inosservanza od erronea applicazione di legge in relazione all'art. 216 legge fall., richiamato dall'art. 223, comma 1, stessa legge, con una raffica di considerazioni tutte peraltro già oggetto di puntuale disamina e motivata reiezione nelle sentenze di merito. 24. Così la circostanza che soltanto la nota di credito nei confronti della Binda spa comunque per il ragguardevole importo di due miliardi e 650 milioni di lire circa fosse stata emessa nel periodo in cui V. era membro del C.d.A., mentre gli erano state addebitate anche le operazioni realizzate mediante documenti contabili emessi successivamente alla sua uscita da quel consiglio, risulta priva di contenuto alla stregua da un lato del rilievo che le operazioni fittizie, antecedenti e sottostanti all'annotazione delle note di credito, si collocano in un periodo temporale ascrivibile all'imputato quale componente dell'organo amministrativo di Infotech, dall'altro dell'esistenza degli elementi, già evidenziati, in ordine al perdurante mantenimento da parte del V. della qualifica di socio e della sua consapevolezza delle operazioni societarie. 25. I rilievi circa la natura fittizia delle operazioni rettificate mediante le note di credito, che sarebbe stata ritenuta nonostante l'assenza della verifica in concreto della destinazione finale della mercé mediante un analitico controllo della movimentazione di magazzino, sono inevitabilmente destinati a cedere dinanzi al percorso argomentativo, immune da vizi, della sentenza di primo grado - richiamato in quella impugnata-, che a pag. 76, all'osservazione secondo cui l'acquisto della mercé da cartiere” rendeva ragionevole” che essa non esistesse, ha fatto seguire ampia giustificazione di tale assunto con argomenti in fatto non contestati dal ricorrente, il quale si è limitato a criticare il richiamo al criterio della ragionevolezza, trascurando l'ulteriore motivazione, e a ribadire il ruolo marginale del V. e l'assenza dell'elemento psicologico, aspetti, questi ultimi, già sopra esaminati. 26. È emblematica al riguardo la ricostruzione da parte dei giudici di merito, nei termini seguenti, dei rapporti Infotech/Binda, consistiti in cessioni di merce dalla prima alla seconda che registrava le fatture con credito IVA e poi a sua volta la cedeva a società comunitarie con operazioni non imponibili. Infotech, benché debitore IVA, non versava l'imposta perché sempre a credito in conseguenza di attività fraudolenta. 27. La fittizietà di tali cessioni era ritenuta sulla base di documentazione extracontabile e di ulteriori convergenti elementi probatori esaminati in dettaglio a pag. 77 della sentenza di primo grado esemplificativamente contenuto di e-mail, contributo dichiarativo del magazziniere Bozzoli che non vedeva la mercé transitare, utilizzo dello stesso vettore in un unico giorno da parte di più società, impiego di mezzi di trasporto con capacità insufficienti rispetto al quantitativo di merci apparentemente movimentate . 28. Le simulate vendite a Binda e alle altre società indicate nel capo d'accusa in esame, erano utilizzate da Infotech per ottenere anticipazioni bancarie su RiBa con la conseguenza che, quando intervenivano le note di credito in rettifica, le anticipazioni erano state già ottenute e irreversibilmente distratte mediante pagamenti ai fornitori di comodo inseriti nel meccanismo fraudolento. 29. A fronte di tale ineccepibile ricostruzione, risulta esente da vizio di motivazione l'assunto della corte territoriale circa la superfluità di ogni ulteriore indagine in ordine alla movimentazione di magazzino. 30. L'ottavo e nono motivo, che investono con le censure di violazione di legge e vizio motivazionale l'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 8, relativo alla distrazione di merci e di diritti patrimoniali nascenti da contratti di leasing, sono manifestamente privi di fondamento laddove, premesso che non riguardano la distrazione di merci, da un lato si riferiscono a quattro contratti di leasing, mentre nel capo d'imputazione risulta contestato solo quello stipulato con Cardine Leasing il 6-4-1999, dall'altro richiamano accertamenti del curatore fallimentare, che escludevano la distrazione dei diritti patrimoniali connessi ai contratti, relativi a leasing diversi da quello per cui è stata confermata la responsabilità. 31. Il decimo motivo, che involge una questione in diritto, non merita accoglimento. 32. Esso fa leva sull'erronea applicazione dell'art. 130 codice di rito per essere stata utilizzata la procedura di correzione di errore materiale per integrare il dispositivo della sentenza con la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di parte civile e la liquidazione delle stesse, asseritamente in contrasto con l'indirizzo di questa corte, anche a sezioni unite Cass. Sez. U, 7945/2008 e 16103/2002, Cass. Sez. I 2094/1993 , che la consente nel caso di sentenza di patteggiamento, principio inapplicabile, secondo il ricorrente, al giudizio dibattimentale per la sua radicale diversità rispetto a quello di applicazione della pena su richiesta. 33. Il collegio è consapevole che, dopo la pronuncia delle sezioni unite del 2008, la giurisprudenza delle sezioni singole di questa corte si caratterizza per non essere univoca in materia di applicabilità del principio di cui sopra alle sentenze che non siano di patteggiamento, pur essendo altrettanto consapevole che la giurisprudenza di legittimità è invece concorde nel ritenere la procedura di correzione degli errori materiali applicabile nel caso in cui questa corte, nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso, abbia omesso la statuizione sulle spese giudiziali sostenute dalla parte civile nel , grado tanto sul rilievo che la relativa statuizione riveste natura accessoria e obbligatoria nonché consequenziale alle statuizioni principali adottate, in termini agevolmente determinabili sulla base delle stesse Cass. 6809/2009, 17326/2013, 8668/2014 . 34. Ciò posto, il collegio ritiene di dare continuità all'indirizzo, maggiormente argomentato e convincente, secondo il quale non vi sono ragioni per non applicare il principio di diritto affermato dalle sezioni unite 2008 anche alla sentenza dibattimentale Cass. 51169/2013, 4597/2010 - e, è il caso di aggiungere, anche, per eadem ratio , a quella emessa, come nella specie, ad esito di giudizio abbreviato -, stante l'omogeneità tra il disposto dell'art. 444, comma 2 fine, cod. proc. pen. e quello dell'art. 541, comma 1, stesso codice. 35. Invero l'orientamento di segno contrario fa leva esclusivamente, da un lato, sul dettato dell'art. 535, comma 4, codice di rito, che consente la correzione nel solo caso di omessa condanna alle spese processuali nonché sul rilievo che in caso di patteggiamento la condanna alle spese di parte civile sarebbe una conseguenza obbligatoria costituendo quindi una statuizione accessoria Cass. 45238/2013 , dall'altro sulla considerazione della radicale diversità procedimentale riscontrabile fra l'applicazione della pena su richiesta delle parti, disciplinata dagli artt. 444 e segg. cod. proc. pen., e il dibattimento Cass. 41571/2009, 37194/2010, 46840/2011 . 36. Tuttavia - osserva il collegio sulla scia dell'opposto indirizzo -, mentre è indiscutibile l'esistenza di rilevanti difformità strutturali tra il procedimento di applicazione della pena su richiesta e quello dibattimentale, non si ravvisano significative ragioni di diversità quanto al profilo inerente alle spese di parte civile, regolato anzi in modo uniforme art. 444, comma 2, fine e art. 541, comma 1, cod. proc. pen. , né è fondatamente sostenibile l'assunto, il quale non trova motivata giustificazione nelle pronunce in tal senso, che soltanto nel primo caso la condanna alle spese di parte civile sarebbe una conseguenza obbligatoria della statuizione principale, mentre nel secondo così non sarebbe. Inoltre l'espressa qualificazione come errore materiale dell'omessa , condanna alle spese processuali art. 535, comma 4, codice di rito , non esclude la possibilità di qualificare allo stesso modo l'omissione della condanna alle spese di parte civile. 37. Anche nel caso di sentenza diversa da quella di applicazione della pena su richiesta e in particolare anche in quello di sentenza ad esito di abbreviato alla quale si applicano le disposizioni dell'art. 529 e segg. cod. proc. pen., richiamate dall'art. 442, comma 1, stesso codice , si ritiene quindi applicabile il criterio dettato dalle sezioni unite 2008 secondo cui l'omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità non riguardando una componente essenziale dell'atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all'art. 130 codice citato, rientrando in tale ipotesi, in tutti i casi in cui non emergano - come nella specie - specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione totale o parziale delle spese astrattamente esercitabile anche con la sentenza di patteggiamento ex art. 444, comma 2 fine, cod. proc. pen. , l'omissione della condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che ne abbia fatto richiesta, in cui sia incorso il giudice nell'emettere sentenza di condanna del prevenuto. 38. Anche in questo caso, infatti, tale condanna ha carattere accessorio in quanto consegue obbligatoriamente alla pronuncia penale di condanna salvi i casi di compensazione, la cui ricorrenza risulti dal contesto della decisione e richiede, da parte del giudice, non diversamente che nel caso di patteggiamento, un'operazione di tipo tecnico-esecutivo, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi predeterminati, di liquidazione dell'importo dovuto. 39. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'impugnante alle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.