Assoluzione dall’omesso versamento di trattenute previdenziali: attenti alla c.d. terza legge

Alla luce dell'entrata in vigore della l. n. 67/2014, il cui art. 2 delega il Governo a trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463/1983, i giudici di merito hanno escluso la responsabilità del datore di lavoro per omesso versamento di trattenute previdenziali. Tuttavia, occorre decidere se il comportamento del datore sia ancora penalmente rilevante o meno, alla stregua dei principi cardine della materia ragionevolezza, uguaglianza e legalità. Anche perché, in assenza di una nuova disciplina di dettaglio in attuazione della delega mediante l’emanazione di uno o più decreti delegati , che colmi il vuoto normativo, è inaccettabile dare applicazione alla proposta di depenalizzazione, e al conseguente verdetto assolutorio per il datore di lavoro. Il pericoloso costrutto della terza legge” non può imporsi come una sorta di violazione della legge in nome della legge.

Il datore di lavoro non risponde più di omesso versamento delle trattenute previdenziali. Due Tribunali Bari, 16.6.2014, e Asti, 27.06.2014 hanno concordemente escluso la responsabilità del datore di lavoro per omesso versamento di trattenute previdenziali, in ragione – questa la tesi dei due Giudici – dell’intervenuta abrogazione del reato per effetto di un provvedimento di delega legislativa nel quale si indica, tra le direttrici dell’emanando decreto attuativo, la degradazione della fattispecie da reato ad illecito amministrativo. Il datore di lavoro in causa non ha versato le quote di contribuzione, trattenute ai lavoratori, di competenza dell'INPS, per l’importo di 2.780 euro. Tale comportamento è penalmente rilevante a norma all'articolo 2, comma 1- bis , del d.l. numero 463/1983, che punisce il mancato versamento delle trattenute previdenziali, indipendentemente dal loro importo nella formulazione originaria, con reclusione fino a 3 anni e la multa fino a 2 milioni . Occorre decidere se il comportamento del datore sia ancora penalmente rilevante oppure no, alla luce dell'entrata in vigore, il 17 maggio 2014, della l. numero 67/2014, il cui articolo 2 delega il Governo a trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all’articolo 2, comma 1- bis , del d.l. numero 463/1983, se l'omesso versamento è inferiore ai 10 mila euro annui. L’ipotesi, in breve, è che l’espressa volontà del legislatore di depenalizzare l’illecito debba condurre ad applicare in forma diretta ed immediata il principio di retroattività piena ed illimitata dell’ abolitio criminis . Nessuna sanzione, di conseguenza, per la commissione di quel fatto. Segnali di approvazione sono emersi in letteratura, e la consonanza tra le due decisioni di merito richiamate in avvio attesta come l’ipotesi abbia trovato terreno fertile anche in giurisprudenza. Nulla quaestio anche per le sanzioni tributarie vale la logica dell’abolitio. Facile, a tal proposito, richiamare un arresto ormai datato” della Cassazione nella parte motiva della sentenza numero 24559/2007 in senso conforme anche numero 27760/2005 si legge che Questa Corte, inoltre, ha avuto modo di pronunciarsi in materia esprimendo il principio di diritto secondo cui in applicazione del principio del favor rei e di legalità, espresso in tema di sanzioni tributarie dal d.lgs. numero 472/1997, art. 3, - il quale statuisce che salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile” -, il contribuente non può essere sottoposto a sanzione in relazione a qualunque fatto attinente ad un’imposta non più esistente , con l’unica eccezione che il rapporto sia ormai definito . Implicazioni sistematiche del caso di specie I attrito con il principio di ragionevolezza/uguaglianza. Del tutto trascurate sembrano però le implicazioni sistematiche dell’indirizzo tracciato, che emergono in modo inquietante da un’esemplificazione di non difficile rappresentazione. Infatti, il soggetto che commette questo illecito beneficia della totale impunità e diversamente non potrebbe accadere sulla base delle premesse sostenute dal citato indirizzo di pensiero , mentre il soggetto che commette illeciti anche amministrativi di minor disvalore, ma a tutt’oggi previsti, è chiamato a scontare la sanzione amministrativa , restata immutata. Così, ad esempio, il contribuente che provveda al tardivo versamento dell’Iva è punibile con la sanzione ridotta del 3,75%, nel caso di regolarizzazione entro il termine della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, in applicazione del 1° comma dell’art. 13 del d. lgs. numero 472/97. In più, l’applicazione retroattiva della depenalizzazione condurrebbe a rigore alla liberazione” di tutti i condannati per quel fatto, salvo poi vedere applicato, nei confronti di autori degli stessi comportamenti, un rigore sanzionatorio aumentato con l’entrata in vigore della nuova disciplina. Tutto questo è del tutto irragionevole, e quindi contrastante con elementari esigenze di uguaglianza ecco una prima debolezza della tesi assolutoria. II attrito con il principio di legalità. Il fenomeno della c.d. terza legge. Di più, a voler focalizzare altri aspetti ugualmente fondanti, che vanno ad aggiungere al contrasto con il principio di uguaglianza quello con il principio di legalità, lo scenario non appare in alcun modo confortante. È un topos più che ricorrente, normativamente ben radicato in diritto penale il Giudice non può piegare le indicazioni rivenienti da due differenti formule legislative alle esigenze del caso e comporre una sintesi inedita che accolga elementi dell’una e dell’altra. Ne verrebbe fuori una nuova disciplina, costruita per via interpretativa, che per l’appunto si suole etichettare come terza legge”. Viceversa, il Giudice deve sciogliere un concorso apparente tra le due norme rectius i complessi di norme in modo da scegliere una di esse, ed una soltanto electa una via, non datur recursus ad alteram . Nella successione di leggi penali nel tempo, con particolare riferimento alla retroattività della lex mitior irretroattività della lex gravior e alla connessa ultrattività della lex mitior non ultrattività della lex gravior , si verifica infatti una situazione di concorso apparente di norme in chiave diacronica entrambe le discipline quella del tempus commissi delicti e quella vigente al momento del processo sono astrattamente idonee a disciplinare il caso e l’art. 2, comma 4, c.p. assegna prevalenza alle disposizioni più favorevoli siano esse precedenti che successive . In questo ambito, la nota ed indeclinabile priorità concerne la sicurezza intorno alla libertà delle scelte d’azione consentite C. Cost., numero 364/1988 , di esclusivo appannaggio del Parlamento. Non è un’esagerazione piuttosto, la riconosciuta forza espansiva della lex mitior recede di fronte al primato della legge il giudice non può ammorbidire il trattamento sanzionatorio attingendo liberamente ai contenuti di differenti quadri normativi, costruendo all’uopo un nuovo, personale”, articolato normativo, in violazione del monopolio legislativo. Perché la legge delega non basta. Sicché, la pur appassionata difesa del principio secondo il quale la legge delega conterrebbe norme provviste di piena efficacia, ai fini dell’applicazione dell’art. 2 c.p., non può trovare consenso, a dispetto del fatto indubitabile che il legislatore ha mutato orientamento sulla qualificazione del fatto e non può trovare consenso perché questo mutamento è previsto solo a livello di legge delega, la quale, per assurdo, potrebbe anche non vedere alcun decreto attuativo, specie nella cronica lentezza del legislatore italiano. Concludendo. La conclusione non può che essere una ed una sola in assenza di una nuova disciplina di dettaglio in attuazione della delega mediante l’emanazione di uno o più decreti delegati , che colmi il prospettato vuoto normativo, è inaccettabile dare applicazione alla proposta di depenalizzazione, e al conseguente verdetto assolutorio per il datore di lavoro. Emergerebbero, nei termini tracciati, gravi conseguenze sia sul piano della violazione del principio di uguaglianza, sia sul piano della violazione di quelle prerogative del legislatore che si vorrebbero, ex adverso , salvaguardare. Il pericoloso costrutto della terza legge” non può imporsi come una sorta di violazione della legge in nome della legge abbiamo troppo da perdere.

Tribunale di Asti, sez. Penale, sentenza 20 – 27 giugno 2014, n. 3107 Giudice Corato Motivi della decisione Ritiene questo Giudice che, già ad oggi, il fatto ascritto all'imputato non costituisca più reato, alla luce dell'apprezzamento congiunto e sistematico di due dati dell'ordinamento giuridico. Il primo di questi è costituito dalla più recente giurisprudenza della Consulta la quale, con sentenza n. 139 del 19 maggio 2014 è nuovamente intervenuta sulla questione della legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1-bis d.l. 463/1983, nell’occasione sollevata a partire da fattispecie concrete di omessi versamenti di cifre risibili o, comunque, di entità modesta con riferimento ad ogni singolo periodo di imposta. Pur ribadendo la piena legittimità della disposizione, nel solco di plurime precedenti decisioni, la Corte Costituzionale ha sottolineato l'utilità, anche nell'ambito di tale fattispecie criminosa, del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta, ciò che permetterebbe di escludere rilievo penale a condotte apparentemente tipiche quando, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, esse risultino in concreto prive di significato lesivo cfr. altresì Corte Cost. 333/1991 . Isolatamente considerata, la sentenza n. 139/2014, pur nella sua piena e commendevole legittimazione della concezione c.d. realistica del reato anche in relazione all'art. 2 d.l. 463/1983, indica un canone ermeneutico che, già di per sé scivoloso, riferito ad una fattispecie criminosa di omesso versamento pecuniario demanda al Giudice una valutazione suscettibile di assumere i contorni paradossali del sorite. Se infatti i pensatori greci disquisivano paradossalmente del momento a partire dal quale un mucchio di sabbia, privato progressivamente dei singoli granelli, cessa di essere mucchio , è del tutto evidente l'impossibilità logico-giuridica di individuare, senza gravi pregiudizi del principio di uguaglianza, la cifra al di sotto della quale sussisterebbe una penalistica inoffensività. Cionondimeno, la recentissima pronuncia della Consulta riveste un'importanza capitale, fornendo l'autorevole base per la ricerca interpretativa di parametri sufficientemente oggettivi di offensività e ritiene questo Giudice che un parametro siffatto ad oggi esista nell'ordinamento giuridico positivo. L'art. 2 1. 67/2014 conferisce Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria , e nello specifico per trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all’art. 2 comma 1 bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni dalla legge il novembre 1983 n 638, purchè l'omesso versamento non ecceda il limite complessivo di 10.000 euro annui [ ] Come chiarito dalla dottrina più autorevole nonché dalla stessa Corte Costituzionale con sentenza n. 224 del 1990, la legge delega non è legge meramente formale, ciò che significa che essa non si limita a disciplinare i rapporti interni tra Parlamento e Governo ma costituisce fonte direttamente produttiva di norme giuridiche. Ad avviso di chi scrive, da quanto precede deriva che il contenuto di delega della l. 67/2014, se certamente non ha provveduto ad una formale depenalizzazione dell'art. 2 d.l. 463/1983, possiede tuttavia, con certezza, l'attitudine ad orientarne l'interpretazione e, più in particolare, a completare il contenuto precettivo di quanto affermato dal Giudice delle Leggi. In questi termini, se il Giudice di merito è legittimato ad effettuare una valutazione in termini di offensività delle condotte asseritamente costitutive del reato in parola, costituisce dato altrettanto oggettivo il fatto che il Parlamento, ossia l'organo costituzionale espressione della volontà popolare e titolare del potere legislativo, ha stabilito, in termini espliciti, che omessi versamenti inferiori a € 10.000,00 per ogni periodo di imposta non devono e non possono considerarsi offensivi di interessi penalisticamente tutelati. In definitiva, pare a questo Giudice che la risultante delle argomentazioni che precedono debba essere l'assoluzione dell'imputato perché il fatto ascrittogli non è più previsto dalla legge come reato, per legge intendendosi, nel solco della giurisprudenza CEDU, la combinazione ermeneutica del decisum di un organo superiorem non recognoscens quale la Corte Costituzionale e di una volontà popolare espressa e inequivoca per il concetto di legge nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo vd. C.edu, S.W. c. Regno Unito, 22/11/1995, § 35 C.edu, C.R. c. Regno Unito, 22/11/1995, § 35 C.edu, Baskaya e Okcuoglu c. Turchia, 08/07/1999, § 36 . P.Q.M. Visti gli artt. 129, 530 c.p.p ASSOLVE l'imputato perché il fatto ascrittogli non è previsto dalla legge come reato.

Tribunale di Bari, sez. II Penale, sentenza 16 giugno 2014, n. 1465 Giudice Dello Preite Svolgimento del processo In atti generalizzato, veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati a lui contestati in rubrica. Revocato il decreto penale di condanna da lui opposto, veniva escusso il teste del PM, , ispettore dell' INPS di Bari, il quale riferiva dell' accertamento fatto e dell' intimazione formale al pagamento entro tre mesi della somma di euro 2.780,00, coca che non era avvenuta, con la conseguente denuncia all' Autorità Giudiziaria, donde il presente processa. All' odierna udienza, all' esito dell' istruttoria dibattimentale, le parti concludevano corree da verbale. Motivi della decisione Dalla documentazione prodotta e dagli atti processuali, emerge pacificamente che l' imputato non ha versato somme di spettanza dell' INPS. Dunque, al vaglio di questo giudice la decisione relativa al reato di omesso versamento di contributi previdenziali all' INPS, così corre previsto dall' art. 2, camma l bis det DL 12,09.83 n° 463, convertito con modificazioni nella L 11.11.83 n° 638, il cui importo, coree si legge nel capo d' imputazione, é pari ad € 2.780,00. Com' é noto, la recentissima L. 28.04.14 n° 67 Deleghe ai governa in materia di pene detentive nari carcerarie e di ri fo rea del sistema s r ic ratorïo, Disposizioni in materia di di sospensione dei procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili , all'art. 2 Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionataria , prevede che La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie di cui al presente comma è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi a omissis b omissis, c trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all'art. 2, comma I-bis del decreto-legge 12.09.83 n ° 463, convertito con modificazioni nella L 11.11.83 n° 638, purché 1'omesso versamento non ecceda il limite complessivo di euro 1.000 annui e preservando il principio per cui il datore di lavoro non risponde a titolo di illecito amministrativo, se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione . . Lo stesso articolo, ai commi 4 e 5, fissa in diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge 67/14, l’adozione dei relativi decreti legislativi ed in ulteriori diciotto mesi dalla promulgazione dell'ultima, l'emanazione di uno o più decreti correttivi tanto in ossequio al dettato dell'art. 76 della Costituzione l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti . Poiché sotto l' aspetto transitorio nulla viene detta in ordine al trattamento dei processi pendenti che rientrano nella fattispecie depenalizzatrice, come nel caso di cui ci si occupa, occorre ricorrere a criteri interpretativi per la lore regolamentazione ed eventuale definizione occorre verificare, cioè, se questa fattispecie inferiore alla soglia di € 10.000 debba già ritenersi espunta dal corpus dei reati sin dal momento dell' entrata in vigore della legge-delega oppure da quello in cui saranno operativi i decreti legislativi di attuazione ulteriore corollario della seconda ipotesi è quello di vagliare in via preliminare ed astratta la situazione laddove i decreti di attuazione non siano promulgati o vengano promulgati in ritardo, oltre i tempi indicati dalla legge delega diciotto mesi . Trattandosi di fattispecie penale, questo giudice ritiene elle vada adottato un generale criterio di favor rei in tutte le possibili applicazioni ed implicazioni causate dallo jus superveniens. La legge delega de qua si riferisce ad una fattispecie che, entro certi limiti, non assume penale rilevanza, se non si superano determinati parametri quantitativi omesso versamento delle ritenute previdenziali, oltre i 10.000 euro in particolare la nuova previsione stabilisce che al di sotto di quei parametri, debba prevedersi una funzione amministrativa, laddove 1’autore della violazione, non ottemperi entro tre mesi dall’intimazione formale dell' INPS. Queste Giudice, tuttavia, è chiamata a decidere ora, in estrema sede di discussione ed alla luce dellojus superveniens, se già in, questo incruento quella fattispecie debba essere sanzionata ancora penalmente, come avanzato nella requisitoria del PM, o debba ritenevi in questo momento storica in cui si emette la presente sentenza già almeno formalmente depenalizzata e con quali conseguenze. Una prima soluzione al problema sarebbe quella fornita dalle prassi giudiziarie adottate in molti Tribunali che prevedano lunghi rinvii in attesa dei decreti legislativi di attuazione. Questa soluzione non appare convincente. Nel caso di cui ci sl occupa vi sono tre ostacoli dal punto di vista processuale 1 a questo Giudice non é consentito rinviare per un periodo così lungo sia pure con quella motivazione poiché incombono i termini prescrizionali, ragione per cui ha l' obbligo di trattare il presente processo -2 a questo giudice, inoltre non é consentito sospendere la prescrizione, poiché quest' ipotesi non rientra nei casi tassativamente contemplati dall'art. 16 del Codice Penale in quanto per evitare tale inconveniente occorrerebbe che il difensore dell'imputato chieda un differimento per gli innegabili vantaggi che ne derivano, cosa che nel caso di specie non é avvenuta -3 per gli imperscrutabili equilibri che reggono l'attività politica e le sorti del Governo chiamato a pronunciare i decreti legislativi di attuazione, il rinvio potrebbe rimanere tale senza che quei provvedimenti vengano emanati oppure che vengano emanati in ritardo si pensi, ad. es., ad una crisi politica in questo caso rimane la volontà della legge di depenalizzare il reato sia pure con tardiva o marcante attività dell’Esecutivo per il perfezionamento della direttiva. Queste scarne considerazioni fanno si che il criterio del rinvio non sia percorribile e che si debba entrare necessariamente nel merito della vicenda. La domanda da porsi è quindi una sola questa fattispecie già da considerarsi in questo momento non più prevista dalla legge come reato oppure accorre aspettare l'emanazione dei decreti legislativi perché, solo allora, si potrà fare tanto? Com'è noto le leggi penali, contrariamente a tutte le altre, sono portatrici di particolari garanzie note a tutti gli operatori del diritto principi di legalità, di riserva di legge, di tassatività, di irretroattività ecc, ecc. , per cui questo giudice non starà certamente a rimarcarle in questa sede. Il punto di partenza é la volontà del legislatore della L. 67/2014 di depenalizzare quella fattispecie in modo chiara ed inequivocabile secondo i comuni criteri ermeneutici le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regale generali o ad altre leggi, non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale non v' è dubbio che la norma in questione disciplina una fattispecie penale can sua degradazione ad illecito amministrativo. Inoltre . se la legge del tempo in cui, fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo art. 4° comma del Codice Penale . Sempre l'art. 2 del Codice penale, all'ultimo comma, prevede che le disposizioni di quest'articolo si applicano, altresì, bei casi di decadenza o mancata ratifica di un decreto-legge e nei casi di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti Quest' ultimo caso è illuminante per capire l’effettiva volontà del legislatore penale con riguardo agli atti dell'esecutivo nell'ipotesi di atti aventi forza di legge, sia pure con provvisoria decretazione, ma appena il caso di far rilevare come questa norma vecchia ma validissima, ancorché contenuta nel codice penale Mussolini Rocco non poteva comprendere anche l'ipotesi del decreto legislativa in attuazione della legge delega, concetto, questo, inoltrato soltanto successivamente con 1'art. 7 della Costituzione Repubblicana. Infatti, il decreto legge presuppone la sua emanazione da parte del Governo con limitata efficacia temporale e la sua successiva approvazione e ratifica da parte del Parlamento, mentre il decreto legislativo è emanata dal Governo successivamente all'emanazione di una legge delega che lo autorizza preventivamente a tanto. I due atti aventi forza di legge, in buona sostanza, sono atti dell'esecutivo sottoposti al vaglio parlamentare in via preventiva nel decreto legislativo ed in via successiva nel decreto-legge. Orbene, trattandosi di leggi penali, già il legislatore del 1930 si era preoccupalo di salvaguardare gli atti dell' esecutivo il decreto legge} nell' ipotesi di mancata conversione o di conversione con emendamenti questa significa che, nell' ipotesi di atti aventi forza di legge in materia penale, sia pure per un limitato periodo di tempo, vengano salvati tutti gli effetti in bonam partem, ancorché quel decreto non sia convertito o convertito cori modificazioni. Quindi, se la depenalizzazione del reato a quo fosse avvenuta con decreto legge, 1' art. 2, 6° comma Codice penale, già avrebbe fornito la soluzione nel momento storico di emanazione della sentenza sotto la vigenza del decreto legge si sarebbe dovuta emettere una sentenza assolutoria, in quanto le future vicende relative alla conversione sarebbero state del tutto ininfluenti e, si badi bene che nel decreto legge non v' é alcuna volontà del Legislatore, ma solo dell’Esecutivo. Il discorso fatto al rovescio certamente ben più ampio e garantista di quello fatto con l' ipotesi del decreto legge con una preventiva volontà del legislatore tramite legge delega e con una successiva attività dell' esecutivo per una formale disciplina della materia, fa si che questa seconda ipotesi assuma toni addirittura più autorevoli e che, ancorché non disciplinati espressamente dalla norma art. 2, 6° comma del Codice penale per i motivi storici sopra accennati, porta questo giudice a trarre, comunque, le seguenti conclusioni -1 la volontà del legislatore é chiara questi fatti non debbono esser più previsti come reati ma come illeciti amministrativi è questo che rileva e non già i decreti attuativi che sono solo un aspetto meramente esecutivo di quella volontà, sia pure con un atto avente forza di legge, tant' è che una loro difformità sarebbe censurabile costituzionalmente per violazione della superiore fonte che é la legge delega -2 l' attuale assenza o, in futuro, il ritardo di quei decreti, non fanno venir meno in alcun modo lo spirito abrogativo della legge che, come tale resta nel corpus legislativo sia pure senza attuazione formale -3 a tutto voler concedere, comunque, l' attuale assenza, il ritardo o la mancanza di quei decreti, fanno salvi in bonam partem quelle situazioni createsi medio tempore, come nel caso di cui ci si occupa. Per tutte queste considerazioni, vi sono motivi necessari e sufficienti per mandare assolto l'imputato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato inoltre, a sommesso parere di questo giudice, trattandosi di criteri interpretativi sulla vigenza di una legge nel tempo, in analoghe situazioni, si può arrivare a tali conclusioni anche con definizione anticipata e art. 469 CPP. Nel corso della discussione il PM ha tuttavia puntualizzato la necessità di trasmettere gli atti all'Autorità Amministrativa competente, in caso di proscioglimento, per l'irrogazione della relativa sanzione. Pur obiettandosi che non si conosce, allo stato, né la sanzione né l'Autorità preposta alla sua irrogazione probabilmente sarà l'INPS , l' ostacolo maggiore per l'accoglibilità di tale richiesta dato dal principio di legalità racchiuso nell'art. 1 della L. 24.11.89 n° 689 che vieta la sottoposizione di chiunque a sanzione amministrativa non in forza di una legge emessa prima della commissione del fatto. Pertanto, tutti i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge 28.04.14 n° 67 non sono passibili di alcuna sanzione amministrativa e questo anche appare doveroso aggiungerlo come inevitabile corollario in presenza dei futuri decreti legislativi di attuazione che non potrebbero avere effetto retroattivo in virtù del noto principio sopra richiamato. I notevoli carichi di lavoro di quest' Ufficio hanno impedito di indicare il deposito nei termini ordinari. P.Q.M. il giudice, letto 1'art. 530 CPP, assolve perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Motivi entro 90 g.