Bancarotta: nella negligenza sta la semplicità

Il dolo generico che caratterizza la bancarotta fraudolenta documentale, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che l’irregolare tenuta delle scritture renda impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere sovrapponibile alla pura e semplice volontà di non tenere le stesse scritture.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 40015, depositata il 26 settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Roma riformava in parte la sentenza di primo grado, assolvendo un imputato dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e riducendo la pena per quello di bancarotta fraudolenta documentale. Tali reati erano relativi al fallimento di una società, dichiarato nel 2001. L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di averlo condannato in qualità di amministratore legale della società, nonostante lui non ricoprisse più tale carica già dal 1995. Erroneamente la Corte d’appello avrebbe giudicato irrilevante questo dato, non essendo state registrate le nomine dei nuovi amministratori. Inoltre, lamentava la mancanza del movente di una tenuta irregolare delle scritture, che dovrebbe essere connotata dalla consapevolezza e dalla volontà di impedire la ricostruzione del patrimonio. Natura dichiarativa, non costitutiva. A giudizio della Cassazione, entrambi i motivi di ricorso sono fondati la mancata registrazione delle nomine dei nuovi amministratori non poteva portare automaticamente alla conclusione che il ruolo formale di amministratore non fosse stato trasferito dal ricorrente ad altri soggetti. In più, il potere di rappresentanza degli amministratori deriva esclusivamente dall’atto di conferimento dei relativi poteri e non dalla pubblicità della nomina infatti, l’iscrizione degli atti riguardanti la società ha efficacia dichiarativa e non costitutiva. Perciò, i giudici di merito avrebbero dovuto verificare l’esistenza di un valido atto di conferimento dei poteri agli amministratori indicati dall’imputato. La Cassazione rileva poi che l’imputato è stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, e non di quello meno grave di bancarotta semplice, in presenza di un accertamento oggettivo che segnalava la semplice carenza di documentazione contabile. Obiettivi diversi. Tuttavia, la differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale art. 216, comma 1, n. 2, l.f. e quella semplice art. 217, comma 2, l.f. , consiste nell’elemento psicologico che, nel primo caso, è il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture contabili, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore. Nel secondo caso, invece, è costituito dal dolo o indifferentemente dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza o volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture. Perciò, il dolo generico che caratterizza il reato fraudolento, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che l’irregolare tenuta delle scritture renda impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere sovrapponibile alla pura e semplice volontà di non tenere le stesse scritture. Al contrario, è necessario un interesse del reo a mettere in pericolo l’interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche della società. Nel caso di specie, invece, l’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale era stato ritenuto sussistente, affermando semplicemente che la carenza delle scritture dimostrava la precisa volontà dell’imputato di impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione alla corte d’appello di Roma.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 giugno – 26 settembre 2014, n. 40015 Presidente Dubolino – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione B.R. , avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, in data 18 aprile 2013, con la quale è stata parzialmente riformata quella di primo grado, che era stata di condanna in ordine ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, relativi al fallimento della società a responsabilità limitata B. Supermercati, dichiarato il omissis . In appello, l'imputato è stato poi assolto dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e gli è stata ridotta la pena per il solo reato di bancarotta fraudolenta documentale, rimasto confermato. Deduce 1 la violazione di legge ed il vizio di motivazione, per essere stato ritenuto responsabile quale amministratore legale della società. In realtà, egli era stato sostituito nella carica già nel 1995 da B.F. e nel 1996 da B.G. nel 1997 era stato nominato un liquidatore della società con atto notarile. La Corte d'appello aveva però negato validità a tali eventi, sul presupposto che le nuove nomine degli amministratori, succeduti al ricorrente, non erano state registrate, dimenticando tuttavia che gli articoli 2475, 2383 e 2487 bis del codice civile prevedono che l'atto della registrazione è onere del nuovo amministratore e/o liquidatore. La registrazione, peraltro, ha efficacia dichiarativa in un costitutiva 2 la violazione dell'articolo 216 legge fallimentare e il vizio della motivazione, non essendo dimostrato l'elemento psicologico che deve distinguere il reato contestato da quello di bancarotta semplice e ciò, soprattutto in un caso, quale è quello di specie, in cui era stata esclusa qualsiasi attività distrattiva da parte dell'imputato, invero assolto dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Mancava cioè il movente stesso di una tenuta irregolare delle scritture che dovrebbe essere connotata dalla consapevolezza e volontà di impedire la ricostruzione del patrimonio. Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno. Il primo motivo di ricorso costituisce, invero, la ripetizione di analoga doglianza sottoposta al giudice dell'appello, da questi però affrontata e risolta con argomentazioni non esaustive. Il giudice dell'appello ha cioè posto in evidenza che il dato del conferimento della carica di amministratore a soggetti diversi dall'imputato, dal 1995 fino al fallimento, è effettivamente presente nelle dichiarazioni del curatore, il quale ha tuttavia anche precisato che le corrispondenti deliberazioni non erano state comunicate alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, al pari della messa in liquidazione della società. Ebbene, da siffatta circostanza non poteva farsi automaticamente discendere, come la Corte territoriale ha fatto, anche la conclusione che il ruolo formale di amministratore - col carico di responsabilità che gli sono proprie - non poteva ritenersi trasferito dalla persona del ricorrente ad altri soggetti. Infatti la giurisprudenza costante di questa Corte di legittimità afferma, così come sostiene anche il ricorrente, che il potere di rappresentanza degli amministratori deriva esclusivamente dall'atto di conferimento dei relativi poteri e non dalla pubblicità della nomina, avendo, al riguardo, l'iscrizione degli atti riguardanti la società, efficacia dichiarativa e non costitutiva Sez. 3, Sentenza n. 4173 del 12/04/1995 Rv. 491759 conformi N. 1873 del 1985 Rv. 439791 . La analisi del giudice del rinvio, compatibilmente con il perimetro del devoluto, dovrà dunque incentrarsi solo sulla esistenza o meno di valido atto di conferimento dei poteri agli amministratori indicati dal ricorrente, con riferimento al periodo di interesse. Il ricorso appare peraltro fondato anche con riguardo alla ulteriore censura. L'imputato è stato infatti ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale e non del meno grave reato di bancarotta semplice, in presenza di un accertamento oggettivo, testimoniato dal curatore, che ha fatto registrare la semplice carenza di documentazione contabile. Or bene è noto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216 comma primo n. 2, L. fall., e quella semplice prevista dall'art. 217, comma secondo, stessa legge, consiste nell'elemento psicologico che, nel primo caso, viene individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore e, nel secondo caso, dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture Sez. 5, Sentenza n. 6769 del 18/10/2005 Ud. dep. 23/02/2006 Rv. 233997 . Ne consegue che il dolo generico che caratterizza il reato fraudolento, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che la irregolare tenuta delle scritture renda impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere ritenuta sovrapponibile alla pure semplice volontà di non tenere quelle stesse scritture. Si percepisce, cioè, la differenza tra i due elementi psicologici richiamati, nel fatto che soltanto il primo di essi, e cioè quello che caratterizza la bancarotta fraudolenta, deve risultare arricchito di componenti soggettive che afferiscano esplicitamente al tema della messa in pericolo dell'interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche della società un interesse che, a sua volta, viene generalmente desunto da indicatori precisi quali la consistenza del materiale documentale tenuto in violazione di legge oppure la correlazione di tale condotta con attività distrattiva che il disordine contabile appaia destinata, per l'appunto, a celare. Nel caso di specie, nessuno di tali indicatori è stato valorizzato nella sentenza impugnata ove, al contrario, l'elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale risulta solo assertivamente affermato, con l'espressione secondo cui la accertata carenza di essa dimostra incontrovertibilmente la precisa volontà dell'imputato di impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari . Si tratta di un'affermazione inaccettabilmente ellittica, in ordine alla quale si impone il rinvio al giudice del merito affinché analizzi, con l'approfondimento necessario e nel rispetto dei principi di diritto sopra evocati, in riferimento al caso di specie, la differenza dal punto di vista dell'elemento psicologico, delle due fattispecie in considerazione e si pronunci motivatamente sulla configurabilità dell'una piuttosto che dell'altra evocata nel ricorso. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.