Senza parafamiliarità niente maltrattamenti sul posto di lavoro

Nel caso di mobbing strategico c.d. bossing, nella specie consistito nel formulare al lavoratore gratuite, infondate e strumentali contestazioni disciplinari, al fine di precostituirsi le condizioni per il licenziamento per giusta causa va esclusa la sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. nel caso in cui le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore e finalizzate alla sua emarginazione non si inquadrino in un rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente capace di assumere una natura parafamiliare.

Lo ha stabilito la sez. VI Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31774, depositata il 25 settembre 2014. Il caso concreto. Un datore di lavoro viene giudicato colpevole in primo grado del delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., per aver posto in essere ai danni di un suo lavoratore dipendente una serie di atti vessatori, aventi il carattere dell’abitualità, consistiti principalmente nell’attivare pretestuosamente delle contestazioni disciplinari per porre le basi giuridiche tendenti al licenziamento per giusta causa licenziamento effettivamente avvenuto . I giudici d’appello dichiaravano prescritto il reato di maltrattamenti, confermando però le statuizioni civili. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione il datore di lavoro ritenendo che le pronunce di merito avessero trascurato i numerosi procedimenti disciplinari conclusisi in suo favore. Tra l’altro – continua il ricorrente – essendo lecito lo strumento disciplinare nei confronti del lavoratore e mancando, sotto il profilo psicologico, l’intenzione di infliggere sofferenze morali al dipendente , non sarebbe ravvisabile nessun abuso, ragion per cui non potrebbe configurarsi nemmeno il delitto di abuso dei mezzi di correzione descritto dall’art. 571 c.p Dunque, nessun fenomeno di mobbing verticale ascendente poteva ravvisarsi in merito, nella prospettiva del datore di lavoro, la Corte d’appello non avrebbe vagliato l’attendibilità delle dichiarazioni della parte civile, nonostante quest’ultima appartenesse ad un’opposta fazione, esistente in seno all’azienda né tantomeno di c.d. bossing quale strategia aziendale tendente ad emarginare il lavoratore per costringerlo a dimettersi o precostituirsi le condizioni per il legittimo licenziamento . Le motivazioni della Suprema Corte. Gli Ermellini accolgono il ricorso ma seguono un iter logico-giuridico diverso da quello prefigurato dal ricorrente. Confermano, infatti, la copiosa giurisprudenza di legittimità secondo cui la norma incriminatrice di cui all’art. 572 c.p. può trovare applicazione ai rapporti di tipo lavorativo soltanto a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità dell’altra in un contesto di permanente propinquitas fra soggetti interessati, caratterizzato da abitudini di vita proprie alle comunità familiari, nonché dall’affidamento del sottoposto a chi eserciti l’autorità con modalità tipiche del rapporto familiare, in quanto connotate da ampia discrezionalità ed informalità da ultimo, Cass. nn. 31714/2014 e 18832/2014 . Il delitto di maltrattamenti non è dunque configurabile, anche in presenza di un chiaro fenomeno di mobbing lavorativo, laddove non siano riconoscibili quelle particolari caratteristiche, ad esempio se la vicenda si sia verificata nell'ambito di una realtà aziendale sufficientemente articolata e complessa, in cui non è ravvisabile quella stretta ed intensa relazione diretta tra datore di lavoro e dipendente, che determina una comunanza di vita assimilabile a quella del consorzio familiare i cui interessi la norma incriminatrice de qua ha inteso proteggere. Alla luce di tale criterio di giudizio, la Cassazione in passato ha annullato senza rinvio la sentenza che aveva condannato parte datrice di lavoro a fronte dell'accertata esistenza di una realtà aziendale di non ridotte dimensioni, caratterizzata da uno stabilimento di notevole entità spaziale e dalla non contestata presenza di circa cinquanta dipendenti, anche sindacalizzati Cass. n. 13088/2014 . Allo stesso modo, per la pronuncia in rassegna risulta incontrovertibilmente che si trattava di un’impresa di non piccole dimensioni, con svariati dipendenti, in assenza di un contesto di permanente propinquitas fra i protagonisti della vicenda e di abitudini di vita proprie alle comunità familiari, onde non risulta alcuno dei connotati sui quali ravvisare il requisito della familiarità. Quindi, non è configurabile il reato di cui all’art. 572 c.p. perché il fatto non sussiste. Esclusi i maltrattamenti sussistono altri reati? Una volta che si assolva l’imputato di mobbing verticale discendente dal delitto di maltrattamenti, il giudice di merito è comunque tenuto a verificare se le condotte mobbizzanti , esaminate separatamente e distintamente, sono illegittime ed in tal caso se possono integrare altre fattispecie di reato, in origine assorbite nella contestazione di cui all’art. 572 c.p. percosse, ingiurie, minacce . Così, in un caso pratico, gli Ermellini hanno ritenuto che la sentenza di appello non avesse considerato che le azioni concretizzanti il mobbing hanno causato lesioni consistite in disturbo dell'adattamento, reazione depressiva prolungata da problemi sul lavoro , comportante un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a giorni quaranta condizione psichica perdurante per più di quattro anni l'impugnata pronuncia, dunque, pur avendo escluso la sussistenza del reato di maltrattamenti, non poteva certo pretermettere la valutazione della rilevanza di condotte emergenti, peraltro, dalla stessa ricostruzione del compendio storico-fattuale idonee a configurare altre fattispecie di rilievo penale, pur meno gravi, che come tali dovevano comunque essere prese in considerazione nell'ambito della cognizione di merito Cass. n. 26803/2013 . La contestazione, sia pure a titolo di circostanza aggravante prevista dall’art. 572, comma 2, c.p. quando a seguito dei maltrattamenti derivino le lesioni personali gravi, gravissime o la morte della persona offesa , di un nucleo della condotta autonomamente isolabile nei suoi contorni storico-fattuali, non ne determina certo la giuridica irrilevanza, una volta che sia stata esclusa la configurabilità del delitto di maltrattamenti. E una volta riconosciuta la configurabilità dei singoli episodi mobbizzanti, derubricato il reato di cui all’art. 572 c.p. in altro meno grave, il risarcimento andrà limitato ai danni provocati soltanto da tale reato e non dall’insieme delle azioni vessatorie e persecutorie concretizzanti il mobbing . Nel caso in disamina, comunque, la Suprema Corte ha implicitamente ritenuto che le singole condotte persecutorie sul luogo di lavoro non potessero essere sussunte in altre fattispecie incriminatrici originariamente assorbite nella materialità e nell’abitualità del reato di maltrattamenti in famiglia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 maggio – 25 settembre 2014, n. 39774 Presidente Garribba – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. P.L. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro, in data 23-5-2013, che ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili, in ordine al reato di cui all'articolo 572 cod. pen., relativamente ad una serie di condotte vessatorie, aventi carattere di abitualità, poste in essere in qualità di amministratore della S.r.l. Autolinee P. e consistite nel formulare gratuite, infondate e strumentali contestazioni disciplinari, al fine di precostituirsi le condizioni per il licenziamento, per giusta causa, del dipendente R.F. , poi effettivamente avvenuto. 2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la sentenza impugnata ha trascurato i 17 procedimenti disciplinari cui è stato sottoposto il R. , per inadempimenti tutti documentati, e l'esito dei relativi giudizi di fronte al giudice del lavoro, conclusisi a favore del datore di lavoro, P.L. , che peraltro aveva irrogato sanzioni disciplinari non solo al R. ma anche ad altri dipendenti. 2.1. Con il secondo motivo, si deduce erroneità della qualificazione giuridica poiché il ricorso allo strumento disciplinare nei confronti del lavoratore, da parte del datore di lavoro, è del tutto lecito e non vi era alcuna intenzione di infliggere sofferenze morali al dipendente, onde manca il dolo del reato di maltrattamenti. Ne è ravvisabile alcun abuso, ragion per cui non è configurabile nemmeno il delitto di cui all'art. 571 cod. pen 2.2. Con il terzo motivo, si lamenta violazione dell'art. 578 cod. pen., in quanto il giudice di secondo grado è pervenuto alla conferma delle statuizioni civili senza esaminare compiutamente gli articolati motivi d'appello e il corredo documentale che avrebbe consentito di addivenire a una assoluzione nel merito, limitandosi a una motivazione apparente, senza vagliare l'attendibilità delle dichiarazioni della parte civile R. , pur riconoscendo che quest'ultimo apparteneva ad un' opposta fazione, esistente in seno all'azienda. Il giudice d'appello avrebbe dunque dovuto verificare se effettivamente i procedimenti disciplinari a carico del R. erano gratuiti, infondati e strumentali e se da essi sia derivata una menomazione dell'integrità psichica del dipendente,secondo quanto assume l'imputazione contestata, del tutto infondatamente, non essendo stato, oltretutto, prodotto alcun certificato medico in tal senso. Illogicamente poi la Corte d'appello valorizza la circostanza che altri dipendenti non abbiano subito le stesse sanzioni che sono state inflitte al R. , non essendo stata raggiunta alcuna prova relativamente ad una pretesa disparità di trattamento, tanto più che il dipendente A. ha subito, in media, tre sanzioni al mese contro una media nettamente più bassa riscontrabile nei confronti del R. 1,8 . Del resto, 9 delle 17 contestazioni sono state mosse dal datore di lavoro al R. a seguito delle verifiche compiute, in riferimento allo stato della pulizia dell'autobus affidato in consegna a quest'ultimo, non da P. ma dal personale dell'azienda deputato ai controlli e cioè da colleghi del R. . Un'altra violazione inerisce alla mancata registrazione dell'orario effettivo e il datore di lavoro si è limitato a rimproverare R. per iscritto. Un'altra contestazione ancora attiene ad un sinistro avvenuto per colpa del R. e il P. non ha fatto pagare all'autista i danni. Il P. ha d'altronde esternato la sua volontà di evitare il licenziamento, come emerge dalle stesse note di contestazione disciplinare. Ulteriori cinque infrazioni attengono al mancato indosso della divisa, fatto ammesso dallo stesso R. . In ordine all'alterco del 6 maggio 2005 fra il P. e il R. , i testi presenti hanno confermato la versione del P. . In ordine all'episodio del 22 ottobre 2005, il teste S.S. ha confermato che il R. sapeva che quel giorno doveva riprendere servizio dopo le ferie. Del resto, i procedimenti disciplinari sono quasi tutti antecedenti alle querele presentate da R. nei confronti del P. , onde non può formularsi sospetto di ritorsione. Anche in merito all'episodio relativo alla presunta aggressione in danno di Sa.Os. , il R. ha reso una versione inattendibile, tanto più che lo stesso Sa. ha negato l'aggressione, aggiungendo che R. gli aveva chiesto di accusare P.L. . Il DVD contenente la registrazione della conversazione tra P.T. e Sa.Os. , in cui quest'ultimo ammette di avere ricevuto uno schiaffo da P.L. , è inutilizzabile poiché la prova avrebbe dovuto essere acquisita non mediante la registrazione ma mediante l'audizione diretta del Sa. , in sede di investigazioni difensive. Inoltre il Sa. , nella registrazione, sembra intimidito da P.T. , che nutriva astio nei confronti del fratello L. . Per di più, oltre al danno morale, è stato riconosciuto al R. un inesistente danno esistenziale . Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Occorre pervenire all'accoglimento del ricorso, sia pure attraverso un iter logico-giuridico diverso da quello prefigurato dal ricorrente. La regiudicanda in disamina concerne, infatti, un'ipotesi di maltrattamenti da parte del datore di lavoro, in danno del dipendente di un'azienda. Orbene, la norma incriminatrice di cui all'art. 572 cod. pen. può trovare applicazione ai rapporti di tipo lavorativo soltanto a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di permanente propinquitas fra i soggetti interessati, caratterizzato da abitudini di vita proprie alle comunità familiari, nonché dall’affidamento del sottoposto a chi eserciti l'autorità con modalità tipiche del rapporto familiare, in quanto connotate da ampia discrezionalità ed informalità Cass. sez 6. n. 12517 del 28-3-2012, Rv. 252607 . Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione c.d. mobbing possono, conseguentemente, integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abitualità consuetudini di vita fra i soggetti,dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole in quello che ricopre la posizione di supremazia Cass. Sez. 6, 10-10-2011 n. 43100, Rv. n. 251368 Sez. 6, 22-9-2010 n. 685, Rv. 249186 . È vero, infatti, che l'art. 572 cod. pen. ha allargato l'area delle condotte che possono configurare il delitto di maltrattamenti oltre l'ambito dei rapporti endo-familiari, in senso stretto. Ma la fattispecie incriminatrice è pur sempre inserita nel titolo dei delitti contro l'assistenza familiare ed indica nella rubrica la limitazione alla famiglia sicché non può ritenersi idoneo alla configurazione di tale reato il mero contesto dei rapporti di subordinazione/sovraordinazione. Di qui la ragione dell'indicazione del requisito della parafamiliarità del rapporto di sovraordinazione, nel senso appena precisato. Se non vi fosse questo requisito, ogni relazione lavorativa caratterizzata da ridotte dimensioni e dal diretto impegno del datore di lavoro, dovrebbe configurare, per ciò solo, una sorta di comunità parafamiliare, idonea ad attrarre alla sfera dell'illiceità penale, ex art. 572 cod. pen., condotte che, se presentassero eguali connotazioni ma venissero poste in essere in un contesto più ampio, avrebbero solo rilevanza in ambito civile il c.d. mobbing in contesto lavorativo, cui fa riferimento tra le altre la sentenza Sez.6,685/2011 ,con evidente irragionevolezza del sistema. Dunque le dimensioni ridotte dell'impresa e l'impegno lavorativo personale del datore di lavoro sono elementi necessari ma non sufficienti ad integrare quel contesto parafamiliare che, per quanto finora argomentato, solo giustifica e consente l'applicazione dell'art. 572 cod. pen. ai rapporti di lavoro subordinato. Ciò che è necessario, oltre alla relazione di sovraordinazione, è che il rapporto di lavoro si svolga con forme e modalità tali da assimilarne i caratteri a quelli propri di un rapporto di natura para-familiare . Così, è stata esclusa la configurabilità del reato ex art. 572 cod. pen. laddove si tratti di rapporti non solo tra dirigente e dipendente di un'azienda di grandi dimensioni Sez. 6, sent. 26594/2009 ma anche tra sindaco e dipendente comunale Sez. 6, sent. 43100 del 2011 tra capo officina e meccanico Sez. 6, sent. 44803/2011 tra capo squadra e operaio Sez. 6, sent 685/2011 tra preside e insegnante Sez. 5, sent 33624/2007 .Può invece essere applicata la fattispecie di cui all'art. 572 cod. pen. ai rapporti di lavoro a carattere familiare ,come, ad esempio, quello tra colf e persone della famiglia o quello, non occasionale, tra maestro d'arte ed apprendista. Assidua comunanza di vita è, ad esempio, ravvisabile nella situazione di fatto che caratterizzava la peculiare vicenda definita da Sez. 6, sent 10090/2001, in senso favorevole all'applicazione dell'art. 572 cod. pen., che era caratterizzata da trasferte su unico pulmino consumo dei pasti insieme pernottamento nei medesimi alberghi e giovane età dei dipendenti, in un contesto connotato da gravi e permanenti angherie fisiche e verbali. 2. Nel caso in disamina, risulta incontrovertibilmente dalla sentenza impugnata che si trattava di una impresa operante nel settore delle autolinee, del noleggio e delle agenzie di viaggio, di non piccole dimensioni, con svariati dipendenti, in assenza di un contesto di permanente propinquitas fra i protagonisti della vicenda e di abitudini di vita proprie alle comunità familiari, onde non risulta alcuno dei connotati sulla base dei quali ravvisare il requisito della parafamiliarità. Ragion per cui non è configurabile il reato di cui all'art. 572 cod. pen La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, unitamente a quella di primo grado, emessa dal Tribunale di Cosenza il, il 23-10-2009, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nonché quella di primo grado emessa dal tribunale di Cosenza il 23.10.2009 perché il fatto non sussiste.