Abuso e infedeltà dell’amministratore: l’operazione è dolosa

In tema di fallimento determinato da operazioni dolose” art. 223 l.f. , l’elemento soggettivo risiede nella mera dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dall’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa. E’, quindi, sufficiente per la configurabilità del reato in questione la rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della società

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 38728, depositata il 23 settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello confermava la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato l’imputato, quale amministratore, prima formale e poi di fatto di una società, colpevole del reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l.f. fatti di bancarotta fraudolenta . Ricorreva per cassazione l’imputato, lamentando violazione di legge e difetto di motivazione e l’erronea valutazione delle risultanze processuali. Sosteneva, inoltre, la mancanza dei presupposti della contestata fattispecie delittuosa e del rapporto di causalità. Le censure sono prive di fondamento. La sentenza impugnata difatti risulta motivata adeguatamente in riferimento al giudizio di colpevolezza a carico dell’imputato. Accezione lata di operazioni dolose”. E’ del tutto corretto – chiarisce la Cassazione - il richiamo alla nozione di operazioni dolose”, in termini di ampia accezione, che prescinde da qualsivoglia riferimento a fatti costituenti reato o comunque illeciti, in chiave civilistica, per ricomprendere in essa qualsiasi comportamento del soggetto agente, che concretandosi in un abuso od in un’infedeltà delle funzioni e nella violazione dei doveri derivanti dalla relativa qualità, cagioni lo stato di decozione della società, con pregiudizio della stessa, dei soci, dei creditori e di terzi interessati . La nozione di operazioni, invero, postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo come ad esempio distrazione, dissipazione, occultamento o distrazione ma da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o una pluralità di atti Cass., n. 17690/2010 . L’elemento soggettivo. In tema di fallimento determinato da operazioni dolose, l’elemento soggettivo risiede nella mera dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dall’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare. E’ sufficiente per la configurabilità del reato in questione la rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della società Cass., n. 17690/2010 . Insindacabile, quindi, nel caso in esame, l’apprezzamento di merito, in quanto congruamente motivato. Il Giudice d’appello ha ritenuto che l’accensione di un ingente mutuo, al fine dichiarato di consolidamento di posizione debitoria nei confronti di due istituti di credito, che, singolarmente presentavano onerose fideiussioni bancarie a garanzia dello stesso finanziamento e il pagamento delle sole due prime rate del piano di ammortamento, nonostante la società avesse liquidità per farvi fronte, fossero attività integranti la nozione di operazioni dolose, caratterizzate da abusività degli elementari doveri inerenti alla qualità di amministratore. Sulla base di tali argomenti il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 aprile – 23 settembre 2014, n. 38728 Presidente Ferrua – Relatore Fumo Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Lecce confermava la sentenza del 18 dicembre 2009 con la quale il Tribunale di quella stessa città aveva dichiarato R.A. - nella qualità di amministratore, prima formale e, poi, di fatto, della società fallita Panorama S.r.l. - colpevole del reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, legge fall., e, concesse attenuanti generiche, l'aveva condannato alla pena condizionalmente sospesa di anni due di reclusione, oltre conseguenziali statuizioni. 2. Avverso l'anzidetta pronuncia l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione dell'art. 606 lett. b c ed e in relazione agli artt. 125, 127, 191, 197 e 192 cod. proc. pen. Si duole, al riguardo, dell'assoluto difetto di motivazione e dell'erronea valutazione delle risultanze processuali. Sostiene, inoltre, la mancanza dei presupposti della contestata fattispecie delittuosa e del rapporto di causalità. Con la memoria in epigrafe indicata, l'avv. Valentini ha proposto motivi nuovi, con i quali ha eccepito violazione dell'art. 606, lett. b ed e cod. proc. pen. in relazione all'art. 223, comma 2, n. 2 legge fall., ribadendo la mancanza degli elementi costitutivi della stessa fattispecie delittuosa. Considerato in diritto 1. Le censure del ricorrente sono destituite di fondamento. Ed invero, la sentenza impugnata non può, di certo, ritenersi priva di compiuta motivazione a sostegno del ribadito il giudizio di colpevolezza a carico dell'imputato. Non può neppure dirsi che la stessa sia affetta da errori di diritto o da distorta valutazione delle risultanze di causa. È, invece, ineccepibile il percorso giustificativo che ha portato all'individuazione, nella fattispecie in esame, dei presupposti necessari ai fini della relativa riconducibilità al paradigma del reato di cui all'art. 223, comma 2, sub specie dell'aver cagionato il fallimento della società per effetto di operazioni dolose . Le premesse metodologiche di tale sviluppo argomentativo sono del tutto corrette, posto che il giudice di appello ha preso le mosse da ineccepibile puntualizzazione in diritto degli elementi strutturali e soggettivi dell'ipotesi di reato in questione, sulla base di indiscussa lezione giurisprudenziale di questa Corte di legittimità per poi condividere la corretta sussumibilità della fattispecie concreta nell'alveo dell'ipotizzata norma incriminatrice. Così è del tutto corretto il richiamo alla nozione di operazioni dolose tratteggiata dalla giurisprudenza di legittimità, in termini di ampia accezione, che prescinde da qualsivoglia riferimento a fatti costituenti reato o comunque illeciti, in chiave civilistica, per ricomprendere in essa qualsiasi comportamento del soggetto agente tra quelli espressamente indicati dallo stesso art. 223 l.f. , che, concretandosi in un abuso od in un'infedeltà delle funzioni e nella violazione dei doveri derivanti dalla relativa qualità, cagioni lo stato di decozione della società, con pregiudizio della stessa, dei soci, dei creditori e di terzi interessati. Alla corretta individuazione della componente obiettiva, ha fatto poi riscontro l'esatta focalizzazione del requisito soggettivo, consistente nella volontà diretta non già al fallimento a differenza della diversa ipotesi, prevista dalla stessa norma, della causazione dolosa del fallimento , bensì alla stessa operazione dalla quale poi consegua, sul piano della mera causalità materiale, il dissesto fallimentare, che si ponga, dunque, come conseguenza prevedibile e persino accettata nel rischio del suo verificarsi. All'indubbia giustezza di siffatte affermazioni, possono solo aggiungersi i seguenti rilievi. Nel ribadire l'accezione lata della locuzione operazioni dolose va precisato che a differenza delle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale c.d. impropria, nella specifica fattispecie in esame la nozione di operazioni postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già, direttamente, dall'azione dannosa del soggetto attivo distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione , bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato così Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247314 . Non è, del resto, revocabile in dubbio che, in mancanza di puntualizzazione normativa del relativo concetto, l'individuazione dell'essenza precipua della norma incriminatrice vada effettuata per esclusione rispetto ad altre ipotesi incriminatrici meglio definite o di più immediata percezione. Così rispetto all'analoga, diversa, fattispecie prevista nello stesso capoverso dell'art. 223, al n. 2, ossia la causazione volontaria del fallimento, balza evidente che alla sostanziale identità, o possibile sovrapponibilità sul piano oggettivo, fa riscontro una netta divaricazione della componente soggettiva. Infatti, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, configurabile come eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l'elemento soggettivo risiede nella mera dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell'operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell'astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare. Deve, infatti, reputarsi sufficiente, per la configurabilità del reato in questione la rappresentazione dell'azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della società Sez. 5, n. 17690 del 18.2.2010, rv. 247315 . 2. Così delineata la corretta cornice giuridica di riferimento, non v'è dubbio che l'inquadramento in essa della concreta fattispecie non appare né erroneo né implausibile. Ed infatti, con insindacabile apprezzamento di merito, tale in quanto congruamente motivato, il giudice di appello ha ritenuto che l'accensione di un ingente mutuo, al fine dichiarato del consolidamento di posizione debitoria nei confronti di due istituti di credito, che, singolarmente, prestavano onerose fideiussioni bancarie a garanzia dello stesso finanziamento il pagamento delle sole due prime rate del piano di ammortamento, nonostante la società avesse liquidità per farvi fronte la custodia, assolutamente imprudente ed irragionevole di tali liquidità non già in banca, bensì nella cassaforte della sede sociale ed il successivo furto delle stesse ad opera di ignoti, sono state ritenute integranti la nozione di operazioni dolose, caratterizzate da abusività degli elementari doveri inerenti alla qualità di amministratore. Con apprezzamento, parimenti, insindacabile è stato ritenuto che tali dolose condotte abbiano causato il dissesto della società, le cui condizioni economiche, peraltro, erano tutt'altro che floride, avendo presentato, nelle ultime annualità, bilanci sempre in perdita. In piena coerenza con quanto in precedenza affermato, in ordine all'irrilevanza delle illiceità delle dette condotte sotto il profilo civilistico, è stato correttamente ritenuto irrilevante l'esito positivo del giudizio civile di responsabilità a carico dell'odierno ricorrente, posto che la prospettiva penalistica risponde a logiche diverse, nei termini sopra puntualizzati. 3. Per quanto precede, il ricorso - globalmente considerato - deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali.