Attività di meretricio: immorale, ma non socialmente pericolosa

Agli effetti dell’inclusione di una persona nella categoria di soggetti socialmente pericolosi ex art. 1, comma 1, n. 3 l. n. 1423/1956, non è sufficiente il mero svolgimento abituale di attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume, bensì occorre che siano acquisiti, sulla base della condotta tenuta dal soggetto, elementi di fatto dimostrativi della commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Di conseguenza, il mero esercizio dell’attività di prostituzione, non costituendo di per sé reato, non può legittimamente fondare l’appartenenza alla categoria di persone socialmente pericolose.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38701, depositata il 23 settembre 2014. Il caso. La Corte di Appello confermava la sentenza emessa dal Tribunale che aveva dichiarato l’imputata colpevole del reato previsto dall’art. 2 l. n. 1423/1956, sul presupposto che la stessa, esercitando l’attività di prostituzione per strada, in prossimità di civili abitazioni, con atteggiamenti scandalosi e adescatori”, rientrasse tra le persone pericolose” di cui all’art. 1 n. 3 della predetta disposizione di legge. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputata. Il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatoria. Il provvedimento amministrativo del Questore deve specificamente enunciare gli elementi di fatto dai quali viene desunta la pericolosità sociale del soggetto e, quindi, la sua riconducibilità ad una delle categorie indicate nell’art. 1 della l. n. 1423/1956. Nel caso di specie, il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatoria è stato adottato dal Questore sull’erroneo presupposto dell’appartenenza dell’imputata, in qualità di prostituta esercente il meretricio sulla pubblica via, alla categoria di soggetti socialmente pericolosi individuati nell’art. 1 n. 3 della l. n. 1423/1956. La categoria di soggetti socialmente pericolosi. Agli effetti dell’inclusione di una persona nella categoria di soggetti socialmente pericolosi ex art. 1, comma 1, n. 3 l. n. 1423/1956, non è sufficiente il mero svolgimento abituale di attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume, bensì occorre che siano acquisiti, sulla base della condotta tenuta dal soggetto, elementi di fatto dimostrativi della commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica Cass., Sez. I, n. 20319/14 Cass., Sez. I, n. 4426/13 . Ne consegue che il mero esercizio dell’attività di prostituzione, non costituendo di per sé reato salvo che trascenda in una condotta penalmente rilevante , non può legittimamente fondare l’appartenenza alla categoria di persone socialmente pericolose. Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 luglio – 23 settembre 2014, n. 38701 Presidente Zampetti – Relatore Cassano Ritenuto in fatto. 1. Il 15 luglio 2013 la Corte d'appello di Ancona confermava la sentenza emessa il 15 maggio 2012 dal Tribunale di Fermo, sezione distaccata di S. Elpidio al mare che aveva dichiarato R. A. A. colpevole del reato previsto dall'ari. 2 1. n. 1423 del 1956 ed, esclusa la continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, l'aveva condannata alla pena di venti giornidi arresto. 2. Entrambi i giudici di merito argomentavano che l'imputata, esercitando l'attività di prostituzione per strada, in prossimità di civili abitazioni, con atteggiamenti scandalosi e adescatori rientra tra le persone di cui all'art. 1 n. 3 persone dedite alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza e la tranquillità pubblica e che la prostituzione, quando è esercitata sulle pubbliche vie, incide o può potenzialmente incidere sui giovani e sugli adolescenti. Pertanto il provvedimento del Questore era stato adottato in presenza dei requisiti di legge ed era legittimo e, in quanto tale, costituiva il valido presupposto del reato contestato. 3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l'imputata, la quale lamenta violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato, non ricorrendo i presupposti della pericolosità richiesta dalla legge alla luce dei comportamenti posti in essere e, quindi, le condizioni per la valida emissione del provvedimento di foglio di via obbligatorio che ben può essere oggetto della valutazione incidentale da parte del giudice penale. Osserva in diritto. Il ricorso è fondato. 1. Occorre premettere che Il giudice penale ben può sindacare la legittimità del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio al fine di verificare la sua conformità alle prescrizioni di legge, tra le quali rientra l'obbligo di motivazione sugli elementi indicativi della pericolosità sociale della persona Sez. 1, n. 248 del 13 dicembre 2007 Sez. 1, n. 664 del 9 dicembre 1999 I1 provvedimento amministrativo deve, infatti, specificamente enunciare gli elementi di fatto dai quali viene desunta la pericolosità sociale del soggetto e, quindi, la sua riconducibilità ad una delle categorie indicate nell'art. 1 della 1. n. 1423 del 1956. 2. Nel caso in esame il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatoria è stato adottato dal Questore sull'erroneo presupposto dell'appartenenza dell'imputata, in qualità di prostituta esercente il meritricio sulla pubblica via, alla categoria di soggetti socialmente pericolosi individuati nell'art. 1 n. 3 della l. n. 1423 del 1956, così come modificato dall'art. 2 1. n. 327 del 1988 e sostituito dall'art. l, comma l, lett. c , d. Igs. n. 159 del 2011. Il provvedimento amministrativo - costituente il presupposto del reato contestato - è illegittimo per inosservanza del disposto dell'art. 2 della 1. n. 327 del 1988 che ha eliminato il riferimento a coloro che svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume. Pertanto, agli effetti dell'inclusione di una persona nella categoria di soggetti socialmente pericolosi ex art. 1, comma 1, n. 3 1. n. 1423 del 1956 e successive modifiche, non è sufficiente il mero svolgimento abituale di attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume tra le quale é tradizionalmente ricompresa l'attività di prostituzione , bensì occorre che siano acquisiti, sulla base della condotta tenuta dal soggetto, elementi di fatto dimostrativi della commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica Sez. 1, n. 20319 del 10 aprile 2014 Sez. 1, n. 4426 del 5 dicembre 2013, dep. 30 gennaio 2014 Sez. 1, n. 51026 del 5 dicembre 2013 . In altri termini, ai fini dell'emissione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, è indispensabile che il comportamento concretamente realizzato dalla persona sia realmente lesivo dei suddetti beni giuridici. Ne consegue che il mero esercizio dell'attività di prostituzione, non costituendo di per sé reato salvo che trascenda in una condotta penalmente rilevante , non può legittimamente fondare l'appartenenza alla categoria di persone socialmente pericolose prevista dall'art. 1, comma 1, lett. c d. lgs. n. 159 del 2011 e, quindi, non può giustificare l'adozione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio. Né, d'altra parte, possono essere posti a carico del soggetto che si prostituisce eventuali reati o comportamenti pericolosi, commessi da terze persone, pur se occasionati dall'attività di meretricio. Diversamente, verrebbe surrettiziamente ripristinata, in palese violazione di legge, la previsione dell'art. 1, comma 1. n. 3, 1. n. 1423 del 1956, abrogata dall'art. 2 della 1. n. 327 del 1988. In tale contesto la sentenza impugnata, nel prescindere dalla compiuta ricostruzione delle diverse leggi succedutesi nel tempo, ha omesso di considerare che il provvedimento adottato dal Questore, oltre a richiamare un'attività, come quella di meretricio, non costituente di per sé reato, si fonda su mere presunzioni concernenti la commissione di reati come quello di atti osceni in luogo pubblico , sfornite di qualsiasi dimostrazione obiettiva. 3.Per tutte queste ragioni s'impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Così deciso, in Roma, il 3 luglio 2014.