Peculato o truffa? Cambiando le modalità di acquisizione del possesso del denaro il reato cambia

L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata va individuato con riferimento alle modalità lecite o meno di acquisizione del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38612, depositata il 22 settembre 2014. Il caso. Con sentenza, la Corte d’Appello, in riforma della decisione del Tribunale, assolveva gli imputati con la formula il fatto non sussiste”, revocando contestualmente la confisca disposta con la sentenza di primo grado. Gli imputati erano in origine stati chiamati a rispondere in concorso tra loro del reato di truffa aggravata e continuata art. 61 n. 7, 81 cpv, 110, 640, comma 2, n. 1, c.p. nonché del reato di concorso in peculato continuato ed aggravato artt. 61 n. 7, 81 cpv, 110, 314 c.p. , per aver, quali rappresentanti legali ed amministratori di società cooperative, mediante artifizi e raggiri, violato la normativa di settore in materia di produzione del latte e ottenendo indebitamente dalla regione Friuli Venezia Giulia autorizzazioni quali primi acquirenti. Ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello il Procuratore Generale. Truffa o peculato? A giudizio del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere insussistente il reato di truffa privilegiando, invece, la qualificazione giuridica di peculato facendo leva sulla disciplina pubblicistica che regola la materia delle quote latte e non tenendo conto del fatto che mentre il peculato è configurabile nel caso di appropriazione di somme inizialmente legittimamente possedute, nel caso in cui, le somme ab origine , vengano acquisite illecitamente e successivamente siano oggetto di appropriazione sarebbe correttamente configurabile il reato di truffa. L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata va individuato con riferimento alle modalità di acquisizione del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene Cass., Sez. VI, n. 5087/14, n. 41599/13, n. 39010/13 . Ne discende che sono le modalità lecite o meno di acquisizione del denaro successivamente oggetto di appropriazione a determinare la configurazione dell’uno o dell’altro reato. Nel caso di specie, tutta la manovra posta in essere dagli imputati è consistita nella collocazione delle società cooperative nel ruolo di primi acquirenti”, apparentemente caratterizzata da una facciata” lecita, ma di fatto avente scopo truffaldino, pacificamente orientata alla possibilità di ottenere ingenti somme di denaro. Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso e annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 luglio– 22 settembre 2014, n. 38612 Presidente Gentile– Relatore Alma Ritenuto in fatto Con sentenza in data 11/6/2013 la Corte di Appello di Trieste, in riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone del 4/5/2010 ha assolto B.S.A. , R.G. , la società Cooperativa Produttori Latte Savoia Cinque e la società Cooperativa Latte 2003 in relazione alle imputazioni loro rispettivamente ascritte perché il fatto non sussiste revocando contestualmente la confisca disposta con la menzionata sentenza di primo grado. Prima di proseguire oltre, giova brevemente ricostruire la particolare vicenda processuale che in questa sede ci occupa. B.S.A. e R.G. erano in origine stati chiamati a rispondere in concorso tra loro del reato di truffa aggravata e continuata art. 61 n. 7, 81 cpv., 110, 640, comma 2, n. 1, cod. pen. nonché del reato di concorso in peculato continuato ed aggravato artt. 61 n. 7, 81 cpv., 110, 314 cod. pen. . In estrema sintesi si imputava agli stessi, quali rappresentanti legali ed amministratori della società Cooperativa Produttori Latte Savoia Cinque e della società Cooperativa Latte 2003, mediante artifizi e raggiri posti in essere in frode alla normativa di settore in materia di produzione del latte eccedente le quote fissate dagli organismi pubblici nella parte in cui stabilisce l'obbligo per i primi acquirenti del latte di versare nell'apposito conto corrente acceso presso l'istituto tesoriere AGEA il prelievo supplementare per il prodotto assegnato ai conferenti, di avere costituito ed utilizzato le predette società cooperative come fittizi primi acquirenti, di avere simulato l'operatività delle predette società anche ottenendo dalla Regione Friuli Venezia Giulia la relativa autorizzazione successivamente revocata quali primi acquirenti e di essersi così posti formalmente come soggetti deputati al trattenimento e versamento del prelievo supplementare stabilito dalla normativa, di essersi posti in una situazione di preordinata, strutturale e volontaria insolvenza nei confronti del creditore AGEA, deviando così il flusso finanziario spettante all'Erario mediante trasferimento ai produttori del corrispettivo delle cessioni di latte comprensivo dell'importo non versato all'AGEA attraverso un fittizio anticipo su compensazione . Contemporaneamente, come detto, veniva contestato al B. ed al R. il reato di concorso peculato realizzato, per l'appunto, attraverso l'appropriazione e l'indebita distribuzione delle somme delle quali si è detto avendo essi assunto a tutti gli effetti di legge la qualifica di agenti della riscossione e svolgendo, quindi, una attività inquadrabile quale pubblico servizio agli effetti dell'art. 358 cod. pen Quanto alle società cooperative menzionate veniva contestato, in relazione ai fatti descritti, l'illecito amministrativo previsto e sanzionato dall'art. 24, commi 1 e 2 del D.Lvo 231/2001 in relazione al reato di truffa aggravata. Deve, ancora, essere doverosamente evidenziato che il Tribunale di Pordenone, con l'indicata sentenza del 4/5/2010 assolveva gli imputati B. e R. dal menzionato reato di peculato perché il fatto non sussiste mentre condannava gli imputati medesimi per truffa e le società cooperative per le violazioni amministrative loro ascritte a pene ritenute di giustizia. La sentenza del Tribunale di Pordenone è stata impugnata dai difensori degli imputati e degli enti ma non dal Pubblico Ministero. Ricorre per Cassazione avverso la menzionata sentenza della Corte di Appello di Trieste il Procuratore Generale, deducendo 1. Violazione di legge art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. in relazione all'art. 640, comma 2, lett. a, cod. pen. - Configurabilità del reato di truffa aggravata in ordine alle condotte contestate al capo A della rubrica. Evidenzia, innanzitutto, il ricorrente che la Corte di cassazione con la propria sentenza in data 2/10/2008, peraltro pronunciata in sede di esame della misura cautelare reale sequestro di ingenti somme di denaro finalizzato alla confisca disposta nel corso delle indagini preliminari e, quindi nei limiti tipici della fase, ha già preso netta posizione con riguardo alla fondatezza dell'impostazione accusatoria. Aggiunge poi il ricorrente che nei fatti esaminati dai Giudici territoriali sono certamente ravvisabili sia l'induzione in errore, realizzata attraverso la fittizia assunzione da parte delle due società cooperative della veste di primi acquirenti ad esse riconosciuta con provvedimenti regionali e che non assume alcun rilievo la circostanza che le due società fossero o meno dei soggetti meramente apparenti in quanto ad essere concepita in termini fittizi era piuttosto la qualifica di primi acquirenti . Ancora l'AGEA sarebbe stata comunque tratta in inganno sull'identità del primo acquirente e, quindi, ha omesso di chiedere ai reali destinatari del prodotto il pagamento dei prelievi, con la conseguenza che le due società cooperative sono state in grado di dirottare in favore dei soci produttori gli ingenti importi destinati all'ente pubblico. Avrebbe quindi errato la Corte territoriale nel ritenere insussistente il reato di truffa privilegiando, invece, la qualificazione giuridica di peculato facendo leva sulla disciplina pubblicistica che regola la materia delle quote latte e non tenendo conto del fatto che mentre il peculato è configurabile nel caso di appropriazione di somme inizialmente legittimamente possedute, nel caso in cui, le somme ab origine, vengano acquisite illecitamente e successivamente siano oggetto di appropriazione sarebbe correttamente configurabile il reato di truffa. 2. Violazione di legge art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. in relazione all'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. - Mancata riqualificazione giuridica del fatto. Rileva, al riguardo, il ricorrente, ponendo il secondo motivo di ricorso in via subordinata all'accoglimento del primo, che nell'impostazione iniziale delle imputazioni, le condotte realizzative del reato di peculato erano già ricomprese in quelle contestate al capo A , cioè la truffa differenziandosene esclusivamente con riguardo alla qualificazione giuridica. Orbene il Tribunale di Pordenone, ritenendo sussistente il reato di truffa ha, di fatto, escluso la configurabilità di quello di peculato. In realtà, trattandosi, delle medesime condotte sotto il profilo materiale, la Corte di Appello avrebbe errato nel momento in cui, riqualificando le stesse come peculato, ha ritenuto la questione sotto quest'ultimo profilo già coperta dal giudicato ed ha assolto gli imputati con la formula perché il fatto non sussiste . Al contrario i fatti sussisterebbero come ha finito per riconoscere la Corte territoriale e, a detta del ricorrente, la soluzione corretta avrebbe dovuto consistere non nell'assoluzione tout court degli imputati, bensì nella riqualificazione dell'ipotesi delittuosa sotto il diverso titolo di reato ritenuto in sentenza e nella eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio comunque in senso non deteriore rispetto a quanto stabilito nella decisione impugnata tenendo contro del divieto della reformatio in peius che peraltro esplica la sua portata in relazione al trattamento sanzionatorio e non in relazione alla qualificazione giuridica del fatto. Ciò non avrebbe neppure inciso sui diritti di difesa atteso che l'ipotesi di accusa di peculato formava già oggetto dell'iniziale contestazione di accusa sulla quale gli imputati hanno avuto modo di sviluppare ampiamente le proprie difese. In data 10/7/2014 il difensore di fiducia dell'imputato R.G. ha depositato in cancelleria una memoria ex art. 611 cod. proc. pen. con la quale, dopo avere ricostruito le vicende processuali, ha confutato i motivi di ricorso del Pubblico Ministero evidenziando, in particolare che le cooperative sopra menzionate avevano effettivamente svolto l'attività tipica del primi acquirenti , operando nel mercato ed effettuando tutte le incombenze previste, fatta eccezione per il versamento all'AGEA delle somme dovute. Si evidenziano, inoltre, nella memoria le ragioni per le quali sarebbe impossibile riqualificare i fatti come peculato. Considerato in diritto 1. Al fine di affrontare le problematiche proposte con il primo motivo di ricorso appare doveroso prendere le mosse dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte riguardante gli elementi differenziali tra il reato di truffa e quello di peculato in base alla quale l'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata dall'abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione va individuato con riferimento alle modalità di acquisizione del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene ex ceteris Cass. Sez. 6, sent. n. 5087 del 23/01/2014, dep. 31/01/2014, Rv. 258051 Sez. 6, sent. n. 41599 del 17/07/2013, dep. 08/10/2013, Rv. 256867 Sez. 6, sent. n. 39010 del 10/04/2013, dep. 20/09/2013, Rv. 256595 . Ne discende che sono le modalità lecite o meno di acquisizione del denaro successivamente oggetto di appropriazione a determinare la configurazione dell'uno o dell'altro reato. Tra l'altro nel caso di specie la problematica nasce dal fatto che avendo il pubblico ministero elevato in origine due distinte imputazioni in relazione a condotte in parte sovrapponibili, quasi in un'ottica di un'imputazione alternativa, le opposte decisioni alle quali sono addivenute il Tribunale e la Corte territoriale, oltretutto con il passaggio in giudicato della parte della sentenza del giudice di prime cure in ordine all'assoluzione degli imputati per il reato di peculato, ha reso più problematica la soluzione giuridica del caso. Come detto, la sentenza della Corte di appello di Trieste sottoposta all'odierno vaglio di questa Corte suprema tende ad escludere la sussistenza del reato di truffa a favore di quello di peculato. Le ragioni principali per la quali, con una motivazione certamente congrua, la Corte territoriale è giunta a tale affermazione possono essere riassunte come si dirà nel prosieguo, sul presupposto, comunque non messo in dubbio anche dal Giudice di appello, che la costituzione delle cooperative sopra menzionate è avvenuta - da parte dei soci allevatori - con lo scopo di avvalersi di un proprio soggetto giuridico quale primo acquirente, al fine di conseguire la possibilità di omettere il versamento delle somme dovute per la produzione di latte in eccesso rispetto alle quote assegnate a ciascun allevatore. Se, infatti, non vi fosse stata tale interposizione e la veste di primo acquirente fosse stata attribuita alle società trasformatrici del latte su queste ultime sarebbe gravato l'obbligo di provvedere alla detrazione dal prezzo del latte degli importi dovuti all'AGEA ed alla effettuazione dei relativi versamenti. Peraltro, ha osservato la Corte territoriale, da un lato le società cooperative di cui trattasi hanno realmente operato in relazione agli altri obblighi previsti dalla legge annotazione delle quote di splafonamento e degli importi dovuti sull'apposito registro informatico SIAN e, dall'altro, le stesse hanno comunque intrattenuto rapporti con le società trasformatrici del latte, con la conseguenza che non si può ipotizzare che le stesse fossero di fatto inesistenti. Anche il cambiamento della sede sociale di una delle predette società dal Piemonte a Brugnera di Pordenone non può di per sé essere considerata alla stregua di artifici e raggiri ai sensi dell'art. 640 cod. pen. non costituendo la stessa una manipolazione della realtà idonea ad influire sulla corretta rappresentazione dei fatti da parte nel terzo nella specie la Regione Friuli Venezia Giulia la quale prima di emettere il decreto di riconoscimento del ruolo di primo acquirente aveva l'onere, ragionevolmente adempiuto, di verificarne i requisiti . Del pari, sempre, secondo la Corte territoriale non può essere considerato elemento costituente degli artifizi e raggiri il fatto della mancata contabilizzazione all'interno delle cooperative degli importi dovuti atteso che l'ente territoriale di controllo non accedeva alla contabilità interna del primo acquirente quanto piuttosto direttamente al registro informatico che invece veniva regolarmente compilato. Sia la Regione che l'AGEA avevano quindi la possibilità di controllare in ogni momento tali dati e non potevano essere tratte in inganno da comportamenti omissivi delle cooperative. Ma la Corte territoriale, nella motivazione della sentenza impugnata si è spinta anche oltre rilevando che ancorché si voglia ritenere fittizia la costituzione delle predette cooperative e realizzata al solo fine di acquisire, sia pure indirettamente, la disponibilità delle somme calcolate sugli splafonamenti al fine di ometterne il versamento all'AGEA, la truffa non sarebbe comunque configurabile sia perché non risponde al vero il fatto che l'AGEA attraverso le operazioni sopra descritte sarebbe stata indotta a non richiedere le somme a lei dovute al reale primo acquirente, ciò perché il versamento delle somme introitate dal primo acquirente non avviene su richiesta dell'AGEA ma è il primo acquirente che è direttamente obbligato a versarle, sia perché non è stata acquisita la prova che le società trasformatrici del latte abbiano partecipato all'accordo relativo alla interposizione delle società cooperative di cui trattasi, con la conseguenza che l'AGEA non potendo agire contro le società trasformatrici che non avevano certo acquisito il ruolo di primo acquirente attribuibile alle stesse solo mediante un provvedimento amministrativo , ma avendo cercato di agire direttamente contro le società cooperative, in tale attività non fu ostacolata da alcuna condotta fraudolenta. Non ritiene l'odierno Collegio di condividere tale tesi che, pure essendo estremamente suggestiva, non pare cogliere l'aspetto centrale della condotta truffaldina emergente dalle condotte descritte. Non è corretto, infatti, il ragionamento della Corte territoriale nella parte in cui analizzando i singoli aspetti della condotta posta in essere attraverso la creazione delle cooperative e l'attività che ne è conseguita non ritiene di ravvisare in alcuno di essi la sussistenza di artifizi e raggiri idonei a configurare il reato di truffa. In realtà e l'intera condotta tenuta dagli imputati che deve essere presa in considerazione ed il risultato al quale la stessa ha consentito di pervenire che debbono essere considerati unitariamente. È la combinazione di singoli atti che singolarmente considerati possono essere ritenuti leciti che ha portato alla creazione della situazione di immutatio veri e che ha consentito l'ottenimento dei consistentissimi profitti che ne sono derivati agli interessati. Il cuore degli artifizi e raggiri posti alla base dell'operazione truffaldina non consiste, infatti, nell'operatività o meno delle due società cooperative sopra menzionate ma nel fatto che si è procurato in capo alle due società cooperative il riconoscimento amministrativo di primo acquirente , ruolo che nella realtà le stesse non avevano come scopo principale di rivestire, il che ha spianato la strada alle successive manovre economiche che hanno portato alla distrazione delle somme di denaro che dovevano essere versate all'AGEA. È proprio in questo primo passaggio consistito nella creazione di società cooperative chiamate ad assumere il ruolo di primo acquirente ed all'evidenza presentate come tali alla Regione Friuli Venezia Giulia al fine di ottenere l'emissione del decreto che ne riconosceva tale status - mentre in realtà gli scopi della loro creazione e della loro attività erano ben diversi - a costituire quegli artifizi e raggiri che hanno rappresentato il momento di innesco dell'operazione truffaldina, poi proseguita anche attraverso il passaggio del ruolo dalla prima alla seconda società cooperativa così da dilazionare ulteriormente nel tempo la scoperta dell'illecita manovra. Tale complesso di azioni ben può consentire di configurare nel caso in esame il reato di truffa ciò in quanto, anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze nella specie il fatto che le società cooperative erano state create per scopi differenti rispetto a quello prospettato di primi acquirenti ruolo del quale non avevano intenzione di rispettare integralmente gli obblighi giuridici integra l'elemento oggettivo ai fini della configurabilità del reato di truffa, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare uno dei soggetti coinvolti nella vicenda nella specie la Regione Friuli Venezia Giulia a prestare un consenso attraverso l'autorizzazione a rivestire tale ruolo che altrimenti non avrebbe dato. Del resto questa Corte Suprema, seppure in materia di truffe contrattuali ha già avuto modo di chiarire, con un assunto che l'odierno Collegio condivide, che l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria Cass. Sez. 2, sent. n. 5801 del 08/11/2013, dep. 06/02/2014, Rv. 258203 . Orbene tale principio può ben essere trasfuso anche nella valutazione del caso in esame, nel quale, come detto, tutta la manovra consistita nella collocazione delle società cooperative di cui si è detto nel ruolo di primi acquirenti , apparentemente caratterizzata da una facciata lecita ma di fatto avente scopo truffaldino, era pacificamente orientata alla possibilità di ottenere il transito di ingentissime somme di denaro la cui destinazione sarebbe nei propositi iniziali poi realizzati stata sviata rispetto alla destinazione stabilita dalla legge. Poiché, quindi, l'acquisizione delle somme da parte delle predette cooperative poi ridistribuite attraverso un fittizio anticipo su compensazione ai singoli produttori invece che essere versate all'AGEA è avvenuta in modo illecito facendo ritenere legittimato alla loro raccolta un soggetto che veniva qualificato come primo acquirente ma che in realtà ed all'evidenza era stato chiamato a rivestire tale ruolo proprio per realizzare l'operazione illecita di cui si è detto, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale sopra indicato è certamente ravvisabile nei fatti il reato di truffa e non quello di peculato. La sentenza impugnata è quindi viziata in punto di qualificazione giuridica del fatto e per l'effetto deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste per un nuovo giudizio. 2 L'accoglimento del primo motivo di ricorso rende superata la necessità di analizzare il secondo che era stato formulato soltanto in via subordinata. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste per nuovo giudizio.