Illegalità in Comune: Sindaco rimuove un dirigente scomodo per evitare la demolizione della propria abitazione realizzata in difformità alle norme edilizie…

Integra abuso d’ufficio la condotta del Sindaco che, per ritorsione, revochi l’incarico ad un dirigente comunale, in quanto immutata è la natura pubblicistica della funzione e dei poteri esercitati dai dirigenti amministrativi perché tale condotta integra violazione di legge sotto il profilo dell’offesa ai principi di imparzialità e buon andamento della P.A. che hanno immediata portata precettiva per il pubblico funzionario.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38357/14, depositata il 18 settembre scorso. Il caso. Il Sindaco di un Comune nel distretto della Corte d’appello di Lecce è stato condannato per abuso d’ufficio, in quanto imputato, nella detta qualità di Sindaco, di aver abusato dei suoi poteri nell’adottare o far adottare una serie di provvedimenti in palese violazione di legge d.lgs. n. 267/2000, c.d. TUEL e d.lgs. n. 163/2006, c.d. codice appalti . Tali provvedimenti, seconde le accuse, erano finalizzati a danneggiare ed a rendere in operativo e inoffensivo l’ingegnere Responsabile del Servizio Lavori Pubblici, Urbanistica e Assetto del Territorio, per ragioni personali del Sindaco. Motivo sottostante a tali decisioni sarebbe stato il fatto che l’ingegnere aveva adottato provvedimenti di rigetto di istanze di sanatoria presentate per abusi edilizi che riguardavano l’abitazione di residenza del pubblico ufficiale formalmente intestata alla moglie . Interesse privato del Sindaco. I giudici hanno ritenuto sussistere uno specifico e personale interesse del Sindaco nell’adozione delle delibere di esautoramento del Responsabile del Servizio dall’incarico dirigenziale fino ad allora ricoperto, nonché nella condotta di conseguente nomina di due ingegneri in sostituzione. Necessità di rimediare alle assenze del professionista? Secondo la tesi difensiva il conferimento dell’incarico ad altri professionisti non violava la legge, anzi si rendeva imposto dalla necessità organizzativa di rimediare alla perdurante assenza, dovuta a motivi di salute, del primo incaricato. Le delibere nei confronti dell’ingegnere, secondo questa tesi, erano motivate dalle precarie condizioni di salute, con l’effetto che l’attribuzione di questi ad altre diverse funzioni corrispondeva ad un interesse pubblico. No, è stato demansionamento. Scendendo nel cuore dell’accertamento compiuto, la Cassazione evidenzia che i giudici di merito hanno sottolineato che il Sindaco, a partire dal momento in cui si era insediato, aveva adottato provvedimenti tali da comportare un demansionamento del Responsabile dell’Area Tecnico Manutentiva, privato di detto ruolo e responsabilità e relegato a svolgere funzioni di collaboratore tecnico all’interno dell’ufficio di staff del Sindaco, di nuova costituzione. Si trattava di vero e proprio demansionamento riconosciuto anche dal giudice del lavoro a cui il professionista si era rivolto. motivato dalla ritorsione. La Corte d’appello ha evidenziato che i provvedimenti adottati o fatti adottare dal Sindaco avevano una valenza ritorsiva perché l’ingegnere si era occupato della pratica di sanatoria edilizia dell’abitazione ove risiedeva il Sindaco e aveva rigettato le richieste finalizzate ad evitare l’esecuzione dell’ordine di demolizione del fabbricato. A riprova si sottolineava che, rimosso il professionista dall’incarico e sostituito con un altro, la pratica aveva preso un decorso più favorevole ed era stato avviato un procedimento che garantiva il mantenimento dell’immobile. I provvedimenti adottati non erano legittimi. La persona offesa era stata dunque revocata e il servizio diviso in due parti con nomina, a capo di ciascuna, di due tecnici esterni all’amministrazione comunale. L’affidamento della responsabilità delle unità operative costituenti posizioni organizzative autonome ai due ingegneri subentrati era intervenuto in violazione della prescrizione secondo cui ciò è lecito solo in assenza di professionalità analoghe in seno all’ente pubblico. Nel caso di specie, si poteva fare affidamento sulla professionalità del Responsabile, persona offesa dal reato di abuso d’ufficio ascritto al Sindaco. Oltretutto non era stata osservata la procedura di evidenza pubblica e non era stata fornita motivazione adeguata circa le ragioni giustificative, anche alla luce della circostanza contraria per cui le condizioni di salute del dipendente pubblico non ne avevano ridotto il complessivo orario di lavoro. Non solo violazione del contratto di lavoro. La persona offesa ricopriva la veste di responsabile con funzioni e poteri di natura squisitamente pubblicistica, pertanto, sia la nomina che la revoca costituivano atti da riferire direttamente alle esigenze organizzative dell’ente pubblico. Per questi motivi, l’esautoramento delle funzioni aveva altresì integrato violazione dell’art. 97 Costituzione principi di imparzialità e buona amministrazione in quanto ne era discesa la nomina di soggetti privi di legittimità a ricoprire la posizione di responsabile organizzativo. Punto da valorizzare, poi, il fatto che tali provvedimenti erano stati assunti a fronte di uno specifico interesse del Sindaco che ne aveva tratto indebito vantaggio, in quanto la pratica aveva intrapreso un percorso diverso e più favorevole comunque scongiurando la demolizione totale , semplicemente sostituendo la persona che aveva titolo per accogliere o rigettare istanze. Norma costituzionale violata integra il requisito della violazione di legge. Costituisce ius receptum che, in tema di abuso d’ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella violazione del precetto costituzionale art. 97 che impone ad ogni funzionario pubblico di non usare il potere conferito dalla legge per realizzare favoritismi e procurare ingiusti vantaggi oppure per intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni. La norma costituzionale è precisa regola di comportamento, di immediata applicazione per il pubblico funzionario, e si applica anche al caso di vessazione, emarginazione o discriminazione derivante da ritorsione. Natura dei rapporti tra dirigente e Comune. La revoca delle funzioni alla persona offesa e la contestuale nomina di altri soggetti sono avvenute in palese violazione del principio di imparzialità e buon andamento della P.A., cristallizzati dall’art. 97 Cost. che si applica al caso in esame, giusta la natura dei rapporti tra persona offesa e amministrazione comunale. Invero, i provvedimenti di nomina e revoca di posizioni organizzative sono connessi intimamente al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente e conferiscono al dirigente poteri e funzioni di natura pubblicistica. Nel caso di specie i provvedimenti adottati contrastavano, di per sé, con norme di legge ed erano altresì finalizzate a danneggiare e a rendere in operativa la persona offesa. Doppia ingiustizia. Ricorreva, nel caso di specie la doppia ingiustizia perché contra legem era non solo la condotta ascritta all’imputato ma anche il fine sotteso alle decisioni assunte. In altre parole, era integrato il requisito della doppia ingiustizia richiesta dalla fattispecie astratta perché ingiusto era il vantaggio o il danno così come illegittimo era il mezzo impiegato. Le delibere adottate erano, infatti, contra legem perché emesse in difetto dei presupposti di legge e comunque erano in contrasto con il disposto dell’art. 97 Cost. inoltre, era ingiusto il danno arrecato alla persona offesa, esautorata dal ruolo ricoperto quale reazione ritorsiva da parte del Sindaco. Sindaco consapevole. I giudici riconoscevano altresì l’elemento soggettivo previsto dalla norma che è dato dal dolo intenzionale, nel caso di specie ravvisabile nella precisa volontà del Sindaco di estromettere la persona offesa dal ruolo apicale allo scopo di favorire una soluzione più favorevole della pratica edilizia personale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 giugno – 18 settembre 2014, n. 38357 Presidente Garribba – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 1 luglio 2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce del 24 giugno 2011, la Corte d'Appello della stessa città ha ridotto la pena applicata a M.M. a mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la decisione appellata, in relazione al reato di cui all'art. 81 cpv., 323, 48 e 323 cod. pen., commesso nei mesi di maggio e giugno 2008. La contestazione ha ad oggetto le condotte poste in essere dall'imputato, in qualità di Sindaco del comune di , laddove, abusando dei suoi poteri, adottava o faceva adottare una serie di provvedimenti in palese violazione di legge segnatamente degli artt. 110, comma 2, D. Lgs. n. 267/2000 e 10, comma 5, D. Lgs. n. 163/2006 , finalizzati a danneggiare ed a rendere inoperativo ed inoffensivo per motivi personali l’ing. D.G.G.O. , che, quale responsabile del Servizio Lavori Pubblici, Urbanistica ed Assetto del territorio, aveva adottato provvedimenti di rigetto di diverse istanze di sanatoria presentate per abusi edilizi che riguardavano l'abitazione di residenza del pubblico ufficiale, intestata alla di lui moglie S. . In linea con le valutazioni espresse dal primo giudice, la Corte d'appello ha ritenuto provati la violazione di legge - precisamente degli artt. 110, comma 2, D. Lgs. n. 267/2010, comma 5, D. Lgs. n. 163/2006 e comunque dell'art. 97 Cost. -, la sussistenza di uno specifico interesse personale del Sindaco nell'adozione delle delibere di esautoramento di D.G. dall'incarico dirigenziale e di nomina degli Ing.ri C. e P. nonché dell'ingiusto danno patrimoniale e di immagine cagionato al D.G. . La Corte territoriale, ritenuto fondato l'ultimo motivo di ricorso, ha proceduto alla rideterminazione della pena. 2. Avverso il provvedimento hanno presentato ricorso i difensori di fiducia di M.M. , Avv.ti Francesco Baldassarre e Andrea Sambati quest'ultimo poi revocato in data 3 giugno 2014, con nomina dell'Avv. Massimo Krogh , chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi 2.1. Violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b e lett. e , cod. proc. pen. in relazione all'art. 323 cod. pen. e con riferimento agli artt. 110, commi 1 e 2, D.Lvo n. 267/2000 e 10, comma 5, D.Lvo n. 163/2006. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha omesso di rispondere alle precise censure mosse nell'atto d'appello ed, in particolare, hanno evidenziato che il rapporto di collaborazione con gli Ing.ri C. e P. non viola il disposto dell'art. 110 D.Lgs. n. 165/2001, né l'art. 97 Cost. in quanto il Comune di è privo di dirigenti e quindi, a norma dell'art. 30 del T.U.E.L., può gestire personale in forma coordinata e sinergica con un altro ente locale che la mancata conferma dell'Ing. D.G. nella posizione organizzativa di responsabile dell'Area Tecnico manutentiva, scorporando l'Area in due unità affidate agli Ing.ri C. e P. , è disciplinata dall'art. 9 della C.C.N.L. delle regioni ed enti locali del 31 marzo 2006 che prevede la revoca degli incarichi relativi all'area delle posizioni organizzative prima della scadenza in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in presenza dell'accertamento dei risultati organizzativi , non si traduce in alcun demansionamento e non costituisce violazione di legge o di regolamento idonea ad integrare la fattispecie di abuso d'ufficio. Il conferimento dell'incarico a tali tecnici era dettato da esigenze organizzative e funzionali e volto a rimediare alla perdurante assenza del D.G. per motivi di salute nonché a fare fronte ad evidenti ragioni di economicità. Sotto diverso profilo, il ricorrente rimarca come, con sentenza del Tar Puglia n. 84 del 2009, il ricorso avverso l'ordinanza di demolizione dell'immobile sia stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, avendo tale atto perso efficacia successivamente, le opere costruite in parziale difformità rispetto al permesso a costruire sono state parzialmente demolite ed è stata applicata nei confronti della signora S. , coniuge di M. , una sanzione amministrativa pecuniaria quale indennità per il danno arrecato al paesaggio, sicché non risulta essere stata mai rilasciata un'autorizzazione paesaggistica ex post vietata dal D.Lgs. n. 42/2004, come erroneamente affermato dalla Corte d'Appello, mentre è stata applicata una sanzione pecuniaria prevista dalle norme vigenti al momento dell'abuso art. 164 D. Lgs. n. 490/1999 e art. 15 L. D. 1497/1939 . 2.2. Violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b ed e , cod. proc. pen. in relazione all'art. 323 cod. pen., avendo la Corte ravvisato in capo a M. l'elemento soggettivo senza considerare che le delibere nei confronti di D.G. erano giustificate dalle sue precarie condizioni di salute, sicché l'assegnazione di questi ad altre mansioni rispondeva ad un interesse pubblico di preminente rilievo pur in presenza di un concomitante danno al privato, situazione che, in linea con la giurisprudenza di legittimità, esclude l'integrazione del reato contestato. 3. Nella memoria depositata in Cancelleria, gli Avv.ti Andrea Sambati e Francesco Baldassarre hanno dedotto i seguenti motivi nuovi in difesa di M.M. 3.1. Violazione dell'art. 606, comma lett. e , cod. proc. pen., per avere la Corte omesso di motivare in ordine alla sussistenza del dolo intenzionale del M. e connessa violazione del diritto di difesa. 3.2. Violazione dell'art. 606, comma lett. b , cod. proc. pen. in relazione all'insussistenza dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 323 cod. pen., con contestuale richiesta di acquisizione del provvedimento del Tar del 26 febbraio 2014 ai fini della valutazione ai sensi dell'art. 609 cod. proc. pen Evidenzia il ricorrente che M. e la coniuge S. non hanno mai richiesto il rilascio del permesso a costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380/2001, né tantomeno l'autorizzazione paesaggistica ex post - peraltro vietata dall'art. 146 comma 4 D. Lgs. n. 42/2004 -, ma hanno documentato in maniera incontrovertibile con perizia tecnica giurata che, dopo la demolizione effettuata spontaneamente delle opere di pertinenza, era residuata una superfetazione di soli 25 m quadri sull'immobile residenziale per la quale non era possibile tecnicamente eseguire la riduzione in pristino senza compromettere la staticità dell'intero immobile regolarmente assentito con concessione edilizia. In relazione a tali circostanze, l'ingegner C. , dopo aver eseguito i necessari approfondimenti, ha applicato la sanzione pecuniaria con determina n. 83 del 2012. A seguito dell'esposto presentato da D.G. , l'amministrazione ha proceduto, in autotutela, all'annullamento della determina n. 83 del 2012 a seguito di ricorso della Signora S. avverso tale decisione, il Tar Puglia, con decisione del 26 febbraio 2014, ha accolto il ricorso e la tutela cautelare invocata dalla ricorrente, di tal che, allo stato, risulta pienamente efficace la determina di applicazione della sanzione pecuniaria, adottata sulla base della normativa vigente in materia all'epoca dell'abuso. 3.3. Violazione dell'art. 606, comma 1 lett. e , cod. proc. pen., per omessa motivazione in ordine alle questioni dedotte con l'atto d'appello in merito alle ragioni che avevano indotto l'amministrazione comunale ad assegnare D.G. ad una diversa funzione, legati sia alle sue condizioni di salute, sia ad esigenze economiche dell'ente. 4. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso. L'avv. Francesco Calabro, difensore della parte civile, ha chiesto che il ricorso sia rigettato. Gli Avv.ti Francesco Baldassarre e Massimo Krogh, difensori di M.M. , hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato e deve essere pertanto rigettato. In primo luogo, va rilevato che i motivi di ricorso - con i quali si contesta, da un lato, la sussistenza del presupposto della illegittimità dei provvedimenti adottati e fatti adottare dal Sindaco M. di esautoramento di D.G. e di nomina degli Ing.ri C. e P. , dall'altro lato, l'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 323 cod. pen. - si connotano per la prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti emergenti dall'istruttoria dibattimentale. Il che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibile il ricorso per cassazione, in quanto fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall'art. 606, comma primo, lett. E , cod. proc. pen., riguardanti la motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, P.C., Basile e altri, Rv. 258153 . Ed invero, per espressa volontà del legislatore, anche a seguito della novella operata dalla legge n. 46 del 2006, il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa - e per il ricorrente più adeguata - valutazione delle risultanze processuali ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099 Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Rv. 236893 . 2. In secondo luogo, deve essere ribadito il principio più volte espresso da questa Corte secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione Cass. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 . Ne discende che la valutazione circa la fondatezza o meno del dedotto vizio di motivazione deve essere compiuto operando una valutazione congiunta dell'apparato argomentativo della sentenza impugnata e della sentenza di primo grado cui questa abbia fatto richiamo. 3. Tanto premesso, ritiene il Collegio che alcuna violazione di legge né vizio di motivazione sia ravvisabile nel percorso argomentativo seguito dai giudici di merito per confermare la condanna di M.M. in ordine al reato ascrittogli ed, in particolare, che essi abbiano esaminato in modo accurato ed approfondito tutti gli elementi probatori rilevanti ed abbiano argomentato in ordine alle specifiche censure mosse nell'atto d'appello, con motivazione completa e coerente, giuridicamente corretta ed indenne da contraddizioni e da vizi logici. La Corte d'appello ha evidenziato come, da quando si era insediato il Sindaco M.M. , l'amministrazione del Comune di Vernole aveva adottato diversi provvedimenti che avevano comportato un demansionamento dell'Ing. D.G. , responsabile dell'Area Tecnico Manutentiva, che veniva privato di tale ruolo di responsabilità e destinato a svolgere funzioni di collaboratore tecnico nell'ambito del neo costituito ufficio di staff del Sindaco, demansionamento riconosciuto anche dal Giudice del Lavoro che ha accolto i ricorsi presentato da D.G. . La Corte territoriale ha rimarcato come i provvedimenti adottati o fatti adottare dal M. avevano una valenza ritorsiva, in quanto l’ing. D.G. si era occupato della pratica di sanatoria edilizia riguardante l'abitazione di residenza dello stesso Sindaco, rigettando le richieste tese ad evitare che si desse esecuzione all'ordinanza di demolizione dell'immobile. Rimosso D.G. dall'incarico, con conferimento del ruolo di responsabile dell'U.O. Edilizia, Urbanistica e Assetto del territorio da parte dell'Ing. C. , la pratica riguardante l'abitazione del Sindaco aveva preso una piega favorevole ed era stato avviato un procedimento teso a garantire il mantenimento dell'abitazione. Con specifico riguardo alla dedotta legittimità dei provvedimenti adottati dall'amministrazione comunale, il giudice d'appello ha diffusamente argomentato sul punto concernente la violazione di legge ed, in particolare, ha posto in risalto come i provvedimenti adottati e fatti adottare dal ricorrente abbiano violato sia l'art. 110, comma 2, D. Lgs. n. 267/2010 che prevede la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato di dirigenti, altre specializzazioni, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe all'interno dell'ente , sia l'art. 10, comma 5, D. Lgs. n. 163/2006 che prevede che il responsabile del procedimento delle procedure di affidamento esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture debba essere, in via preferenziale, un soggetto da individuarsi ai propri dipendenti in servizio . L'affidamento agli Ing.ri P. e C. della responsabilità delle unità operative costituenti posizioni organizzative autonome era infatti avvenuto in evidente violazione della prescrizione secondo la quale ciò è possibile solo in assenza di professionalità analoghe all'interno dell'ente , laddove nella specie l'amministrazione comunale poteva contare sulla specifica professionalità dell'Ing. D.G. . Inoltre, non era stata osservata la procedura di evidenza pubblica e, soprattutto, non era stata data una congrua motivazione delle eventuali eccezionali ragioni giustificative, laddove le condizioni di salute dell'Ing. D.G. non avevano mai comportato una riduzione del suo complessivo orario di lavoro la necessità di rimuoverlo dall'incarico non nasceva neanche dall'esigenza di dare maggiore impulso all'attività di progettazione dell'Area Vasta che, come anche riconosciuto dal Giudice del Lavoro, comportava un impegno limitato per D.G. di quale ora al mese e non lo avrebbe distolto dalle proprie responsabilità cfr. pag. 20 della sentenza impugnata . D'altra parte, il giudice di secondo grado ha rimarcato come, nella specie, non si era trattato - come dedotto dall'appellante - della mera violazione di norme del contratto di lavoro di natura privatistica. D.G. ricopriva, infatti, la veste di responsabile di posizione organizzativa con funzioni e poteri di natura prettamente pubblicistica, sicché la nomina come la sua revoca - in quanto strettamente connesse al miglior perseguimento di finalità istituzionali - erano da considerare atti direttamente riferite alle esigenze organizzative dell'ente pubblico l'esautoramento di D.G. dalle proprie funzioni aveva dunque integrato, oltre che una violazione delle su indicate norme, anche una palese violazione dell'art. 97 Cost., contravvenendo alle regole della imparzialità e della buona amministrazione, laddove aveva comportato la nomina di soggetti privi di legittimazione a ricoprire responsabilità di posizioni organizzative. Infine, la Corte ha posto l'accento sul fatto che i suddetti provvedimenti venivano assunti a fronte di uno specifico interesse personale del M. in relazione alla sanatoria edilizia e paesaggistica della sua abitazione di residenza. Ed invero, una volta rimosso l’ing. D.G. dalla responsabilità dell'Area Tecnico Manutentiva, la pratica edilizia che riguardava l'abitazione di M. veniva risolta in senso favorevole, in quanto non si dava corso al procedimento di demolizione totale dell'immobile ed il procedimento veniva definito in modo tale da garantire il mantenimento dell'abitazione. 4. Il tema dell'integrazione del presupposto dell'illegittimità dell'atto -oggetto dei motivi di ricorso di cui ai punti 2.1. e 3.3. del ritenuto in fatto – è stato trattato dalla Corte con motivazione lucida, coerente alle risultanze processuali e conforme a consolidati principi di diritto. 4.1. Corretta e ampiamente argomentata è la trattazione del punto concernente il conferimento degli incarichi dirigenziali a contratto agli Ing.ri C. e P. in assenza dei presupposti previsti dalla legge. A tale proposito, mette conto evidenziare che l'art. 110 del T.U. Enti Locali prevede, in materia di incarichi a contratto, prevede che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire . Come bene evidenziato dai giudici di merito, l'incarico di responsabile della Unità Operativa Edilizia, Urbanistica e Assetto del territorio veniva affidato all'Ing. C. , soggetto estraneo al comune di Vernole, nonostante il Comune potesse contare fra i propri dirigenti l’ing. D.G. , persona con specifiche competenze tecniche. Il rende manifesta la violazione della indicata disposizione. D'altra parte, l'art. 10 del Codice degli Appalti prevede - quanto alla figure del responsabile delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che, in caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio. Gli incarichi di responsabile dell'Unità Operativa Lavori Pubblici e Manutenzione del Patrimonio e di Responsabile Unico del Procedimento venivano affidati all'Ing. P. , soggetto con il quale il Comune di aveva un rapporto di collaborazione esterna, dunque oltre i limiti dell'oggetto di tale rapporto e nonostante l'amministrazione comunale potesse contare su dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, id est lo stesso Ing. D.G. . 4.2. In ogni caso, condivisibile è il richiamo compiuto dalla Corte territoriale alla violazione dell'art. 97 Cost Secondo la ricostruzione della vicenda compiuta dai giudici di merito conformemente alle risultanze della istruttoria dibattimentale, la revoca nei confronti della persona offesa delle funzioni di responsabile del servizio e la contestuale divisione in due parti del servizio e nomina a capo di ciascuno di esse dei due tecnici esterni all'amministrazione comunale sono avvenute in palese violazione dei principi di imparzialità e di buon funzionamento dell'amministrazione, codificati nel dettato costituzionale dell'art. 97. In primo luogo, quanto alla natura del rapporto intercorrente fra l’ing. D.G. e l'amministrazione comunale, in linea con quanto argomentato dai giudici di merito, si deve invero affermare che i provvedimenti di nomina e di revoca di posizione organizzativa sono strettamente connessi al migliore perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente e comportano il conferimento in capo al dirigente di funzioni e poteri di natura squisitamente pubblicistica, di tal che debbono ritenersi atti di natura pubblicistica e non meramente privatistica come sostenuto dal ricorrente . In secondo luogo, va rimarcato che, come questa Corte ha avuto di chiarire in tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell'art. 97 della Costituzione, nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico funzionario, nell'esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni Cass. Sez. 6, n. 41215 del 14/06/2012, R.C. e Artibani, Rv. 253804 Sez. 6, n. 34086 del 26/06/2013, Rv. 257036 . Come si è chiarito nella appena ricordata pronuncia, nella fattispecie di cui all'art. 323 c.p., il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato anche soltanto dall'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A., per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi che impone al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione Cass. nn. 2745372011, Rv. 250422, Acquistucci e 25162/2008, Rv. 239892, Sassara ed ovviamente tale principio, già affermato per l'ipotesi di favoritismo, deve applicarsi anche al caso di vessazione, emarginazione e discriminazione motivata da ritorsione e finalizzata a procurare un ingiusto danno. Tornando al caso di specie, l'adozione di provvedimenti, di per sé, contrastanti con specifiche norme di legge e, nel contempo, finalizzati a danneggiare ed a rendere inoperativo l’ing. D.G.G.O. - quale ritorsione per avere questi, quale responsabile del Servizio Lavori Pubblici, Urbanistica ed Assetto del territorio, adottato provvedimenti contrari agli interessi squisitamente personali del Sindaco, concernenti gli abusi edilizi presenti nella sua abitazione di residenza -, rendono palese la violazione dell'art. 97 della Carta Fondamentale, in quanto in evidente contrasto con i principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione. D'altra parte, come ben evidenziato dai giudici di merito con motivazione adeguata e pertanto non sindacabile nella sede di legittimità, le condizioni di salute di D.G. e la circostanza che egli ricoprisse il ruolo di Referente Tecnico per il Comune di nelle fasi del programma Piano Strategico dell'Area Vasta Lecce 2005/2015 non erano tali da giustificarne la rimozione dall'incarico di responsabile dell'Area Tecnico Manutentiva. Va, dunque, richiamato l'insegnamento di questa Corte - reso in un caso del tutto sovrapponibile a quello di specie -, secondo cui integra il delitto di abuso d'ufficio la condotta del Sindaco che, mero spirito di ritorsione, revochi l'incarico di un dirigente di un settore comunale anche dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, non è infatti mutata la natura pubblicistica della funzione svolta e dei poteri esercitati dai dirigenti amministrativi e, con essa, la qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai fini dell'art. 357 cod. pen. Cass. Sez. 6, n. 19135 del 02/04/2009, Rv. 243535 . 4.3. Nella fattispecie sono dunque ravvisabili tutti i presupposti oggettivi del reato in oggetto ed, in particolare, ricorre il requisito della doppia ingiustizia, alla stregua del quale deve essere contra legem non solo la condotta, ma anche il fine perseguito dall'agente, sicché il reato de quo non sussiste quando, pur essendo illegittimo il mezzo impiegato, il fine di danno o di vantaggio non sia di per sé ingiusto. In altri termini, ai fini della integrazione del reato di abuso d'ufficio, occorre che l'ingiustizia del vantaggio o del danno sia tale a prescindere dall'abuso perpetrato, che insomma il risultato corrisponda di per sé ad una situazione antigiuridica, senza considerare il mezzo con cui questa è stata posta in essere Cass. Sez. 6, n. 7069 del 06/06/1996, Scoduto, Rv. 206022 . Doppia ingiustizia sostanziatasi, nel caso in oggetto, da un lato, nella illegittimità delle delibere adottate o fatte adottare dal Sindaco in danno del responsabile del servizio, in quanto emesse in difetto dei presupposti di legge o comunque in violazione dei canoni di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione dall'altro lato, nella ingiustizia del danno arrecato alla persona offesa, esautorata dal ruolo apicale ricoperto per ritorsione quale reazione del Sindaco ai provvedimenti adottati dal dirigente contro i propri interessi personali e/o per il perseguimento di interessi squisitamente personali al fine di definire con esito per sé favorevole la pratica di sanatoria di un abuso edilizio della propria abitazione . Realizza infatti l'evento del danno ingiusto ogni comportamento che determini un'aggressione non iure alla sfera della personalità per come tutelata dai principi costituzionali e, segnatamente, l'ordine di servizio emesso dal pubblico ufficiale, con il quale sia revocato ogni incarico ad un dipendente, in modo indebito e come ritorsione, in quanto ciò determina, oltre che un danno economico, anche una perdita di prestigio e decoro nei confronti dei colleghi di lavoro Cass. Sez. 6, n. 4945 del 15/01/2004, Ottaviano, Rv. 227281 . 5. Manifestamente infondato è il motivo di ricorso teso a dimostrare l'insussistenza di un ingiusto vantaggio per il Sindaco, rilevante ai sensi dell'art. 323 cod. pen., sulla base della dedotta legittimità della procedura avviata dall'amministrazione dopo la rimozione dall'incarico dell'Ing. D.G. e la nomina dell'Ing. C. , che applicava, in luogo della già disposta demolizione di parte del manufatto, una sanzione pecuniaria motivo di cui alla seconda parte del punto 2.1. del ritenuto in fatto . Come si evince dal chiaro tenore della imputazione, l'abuso di ufficio è stato contestato a M.M. con riguardo alla finalità di arrecare un danno ingiusto e non di procurarsi un ingiusto vantaggio patrimoniale, di tal che le censure de quibus concernono un aspetto non oggetto di contestazione e, dunque, irrilevante ai fini della integrazione della fattispecie. Le argomentazioni svolte dai giudici di merito in merito alla sussistenza di un interesse esclusivamente personale sottostante ai provvedimenti adottati in danno di D.G. - correlato all'ottenimento di vantaggi nella pratica edilizia cui M. era personalmente interessato - risultano invero svolte per corroborare l'intenzionalità del dolo e l'assenza di un interesse pubblico sottostante all'adozione dei provvedimenti di rimozione dall'incarico nei confronti della persona offesa. Del tutto impropriamente, il ricorrente ha dunque spostato il baricentro del processo dall'abuso d'ufficio all'abuso edilizio. La decisione del Tar di Lecce del 26 febbraio 2014 di annullamento del provvedimento assunto in autotutela dal Comune di che revocava la determina n. 83/2012, con la quale veniva applicata la sola sanzione pecuniaria prevista dall'art. 34 d.P.R. n. 380/2001 in luogo della demolizione è quindi del tutto irrilevante, laddove - come sopra chiarito - il conseguimento di un ingiusto profitto non è oggetto di contestazione ed, in ogni caso, è del tutto latente nella vicenda, essendosi semmai realizzato soltanto nell'attualità con la definizione del vicenda in sede giustizia amministrativa . Per tali ragioni, non è meritevole di accoglimento la richiesta di acquisizione in copia del provvedimento del Tar del 26 febbraio 2014. 6. Manifestamente infondati sono anche i motivi con i quali il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il dedotto vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo dell'art. 323 c.p. motivi sub punti 2.2., 3.1. e 3.2. del ritenuto in fatto . Ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo dell'abuso d'ufficio è richiesto il dolo intenzionale, che consiste nella rappresentazione e volizione dell'evento come 'conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente, cioè nella consapevolezza dell'ingiustizia del vantaggio patrimoniale, o del danno ingiusto, e nella volontà di agire per procurarlo. Nel caso in esame, le sentenze di merito - che si possono considerare unitariamente - hanno dato conto dell'intenzionalità del dolo, sottolineando la precisa volontà dell'imputato di colpire D.G. estromettendolo dal ruolo apicale, quale chiara ritorsione per le resistenze del dirigente a dare corso alla pratica di sanatoria dell'immobile dello stesso Sindaco ed allo scopo di rendere più agevole una soluzione favorevole della pratica stessa. In particolare, la serie di circostanze evidenziate dai giudici di merito -segnatamente l'adozione di provvedimenti non iure, il chiaro interesse a rimuovere il dirigente che, quale responsabile del Servizio Edilizia, Urbanistica e Assetto del territorio, aveva ostacolato la regolarizzazione degli abusi edilizi presenti nell'abitazione di residenza del Sindaco e la nomina di un soggetto che si era mostrato sin da subito più flessibile - rende manifesta la ratio ispiratrice della condotta e l'intenzionalità del dolo, consentendo di ritenere raggiunta la prova certa che la volontà dell'imputato veniva orientata proprio a procurare il danno ingiusto. Con ciò integrando l'elemento soggettivo del reato ex art. 323 cod. pen., conformemente ai principi espressi da questo giudice di legittimità Cass. Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla, Rv. 255368 Sez. 6, n. 35814 del 27/06/2007, Pacia e altri, Rv. 237916 . 7. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Il ricorrente deve essere condannato anche a rifondere le spese sostenute in questo grado dalla parte civile che si ritiene congruo liquidare in 4000 Euro. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida nella somma 4000 Euro aumentate del 15% per spese generali, oltre IVA e CPA.