Prostitute vittime: colpevoli non gli sfruttatori o i clienti, ma due militari…

Nel caso di controllo di una prostituta da parte delle forze dell’ordine che sfoci nella consumazione di un rapporto sessuale, l’esercizio dei poteri di polizia si presenta deviato dal fisiologico schema funzionale e assume connotati di prevaricazione costrittiva per il coinvolgimento nella pretesa indebita di un bene fondamentale della persona.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 37839/2014 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 16 settembre. Il caso. Due militari sono stati coinvolti in un’indagine che trovava genesi in un procedimento per analoghi abusi posti in essere da appartenenti ad altri corpi militari e in danno di prostitute. Nello specifico caso, i militari erano Carabinieri - operanti nel distretto di competenza della Corte d’appello di Milano - e sono stati condannati per concorso continuato nei reati di concussione e violenza sessuale aggravata. Le risultanze processuali evidenziavano che i militari avevano chiesto prestazioni sessuali alle prostitute, di nazionalità rumena, che avevano accompagnato in caserma per procedere a foto-segnalamento. I giudici di merito riconoscevano altresì l’aggravante dell’aver commesso le violenze con abuso di potere e violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione esercitata e di aver approfittato di condizioni di tempo, luogo e persona, tali da ostacolare la privata difesa. Fonti di prova attendibili. Ricalcando uno degli stereotipi più diffusi, la difesa aveva contestato l’attendibilità delle testimonianze, tesi che la corte di merito non segue con una motivazione che non è attaccabile neppure in Cassazione. Come emerge dal provvedimento impugnato, la Corte territoriale aveva valorizzato il dato della casualità dell’emersione dei fatti che derivavano da un procedimento analogo riguardante altri soggetti. Inoltre incontroverso era il fatto storico dell’accompagnamento in caserma delle donne da parte dei due militari imputati sottoposti a riconoscimento fotografico nonché il dato degli accessi informatici al sistema CED operato da uno degli imputati e, infine, gli statini dei turni di lavoro attestanti il servizio perlustrativo svolto in abiti civili e con autovettura di copertura da parte dei militari. I giudici di merito avevano ritenuto le dichiarazioni delle vittime idonee a fondare le accuse e verificate sotto il profilo dell’attendibilità intrinseca e soggettiva, tra loro convergenti e tali da fornire reciproco riscontro si era, inoltre, esclusa la presenza di intenti speculativi e calunniatori sottolineando, infine, l’irrilevanza della circostanza relativa all’attività di prostituzione esercitata dalle vittime. Dichiarazioni prive di connotazioni rivendicative o vittimistiche. Del tutto irrilevanti sono state le divergenze nei racconti delle persone offese perché relative a circostanze marginali non idonee a compromettere la costanza e il contenuto delle dichiarazioni sul tema di prova centrale del procedimento. In altre parole, nell’economia della narrazione era del tutto irrilevante la circostanza che il lampeggiante dell’auto fosse acceso o meno ovvero che l’auto fosse di un colore piuttosto che di un altro. Sotto diverso profilo, si evidenziava che le dichiarazioni accusatorie erano convergenti ma non poteva affermarsi un contagio dichiarativo in quanto riscontrate da elementi di carattere esterno quali le anomalie riscontrate nell’operato del militare e relative agli accessi al CED, alla pretestuosità dell’accompagnamento delle donne in caserma e del loro accesso in ambienti riservati. Tali comportamenti, infatti, erano univocamente mirati a porre le vittime in condizione di inferiorità e ad ottenerne prestazioni sessuali. Concussione o induzione indebita? Il vero punto dirimente della questione sottoposta allo scrutinio della Corte di Cassazione è quello relativo al discrimine introdotto dallo sdoppiamento della fattispecie concussiva quale conseguenza della legge n. 190 del 2012 che costituisce ius novum rispetto ai fatti in giudizio. Accanto alla violenza sessuale, infatti, era contestata anche la concussione ma, per effetto della legge menzionata, andava verificato che non vi fosse spazio per la meno grave ipotesi – derivata appunto dalla legge e dotata di autonoma identità – di induzione indebita art. 319 quater c.p. . L’insegnamento delle Sezioni Unite. A demarcare i confini tra le due fattispecie, come noto, è intervenuta la pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 12228/2013 che ha descritto la nuova fattispecie di induzione come una condotta di pressione non irresistibile che lascia al destinatario un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un vantaggio indebito, tanto che la prospettiva di conseguire un tornaconto personale giustifica la previsione di una sanzione a carico anche del soggetto passivo. Nella concussione, invece, la condotta costrittiva del pubblico ufficiale limita radicalmente la libertà di autodeterminazione della vittima che è posta di fronte all’alternativa se subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di utilità indebita. In questa fattispecie, il pubblico agente attua un abuso costrittivo, mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius . Ma le vittime hanno conseguito un vantaggio? Secondo la tesi della difesa il caso andrebbe inquadrato nella fattispecie di induzione perché le donne avrebbero tratto vantaggio dall’essere immediatamente rilasciate, in cambio di prestazione sessuale, anziché di rimanere in caserma per tutta la notte per essere sottoposte ai controlli annunciati e da eseguire il giorno successivo. Detto in altri termini, nessuno avrebbe costretto le prostitute. Vi sono zone grigie”. Il dictum delle Sezioni Unite costituisce regola generale che demarca i casi di chiara interpretazione tuttavia, la Corte è ben consapevole che vi sono zone grigie” dove deve sì utilizzarsi il criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito ma deve farsi solo all’esito di una valutazione del fatto approfondita ed equilibrata e tale da far emergere i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta. Situazione antigiuridica precostituita. Nel caso in esame il fatto storico concerneva una vicenda i cui i militari avevano operato in modo strategico al fine di non lasciare alcun margine di scelta alle vittime, rimaste in balia dell’autorità, attraverso il controllo e la conduzione in orario notturno nella caserma. I militari erano ben consapevoli della concreta prospettiva di poter esercitare una forte pressione sulle donne, onde ricattarle per ottenere una prestazione sessuale che costituiva, fin dall’inizio, l’obiettivo del controllo strumentale avviato. In altre parole, gli imputati avevano precostituito appositamente una situazione antigiuridica e, quindi, arrecato intenzionalmente un danno ingiusto. Integrato il paradigma della concussione. Corretta, dunque, l’applicazione della fattispecie concussiva in quanto, secondo la Corte, il fine illecito perseguito con lo sfruttamento dell’ufficio e la torsione dell’interesse pubblico per il perseguimento di un fine illecito determinava una indebita limitazione della libertà personale delle vittime finalizzata a pregiudicarne il successivo processo volitivo e da obbligarle a sottostare all’ingiusta pretesa, all’esito della quale sarebbe cessata la indebita compressione della libertà personale strumentalmente limitata. Contestare l’aggravante ex art. 61 n. 9 c.p. è violare il principio del ne bis in idem sostanziale. Tale aggravante non può essere contestata quando l’abuso dei poteri integri elemento costitutivo del reato, come nel caso in esame. Nella condotta di abuso sia costrittivo che induttivo , infatti, è già ricompresa l’aggravante. Nelle fattispecie in esame il concetto di abuso integra elemento essenziale e qualificante della condotta di costrizione o di induzione. L’abuso è, infatti, lo strumento che innesca il processo causale che conduce all’evento finale, attraverso l’alterazione dello stato psichico-volitivo della persona offesa.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 maggio – 16 settembre 2014, numero 37839 Presidente Squassoni – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe, ha parzialmente riformato la decisione resa, a seguito di giudizio abbreviato, dal Gup presso il Tribunale della medesima città, rideterminando in sei anni ed otto mesi di reclusione la pena inflitta ad C.A. , confermando la statuizione emessa nei confronti di R.M. condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione. Ad entrambi si rimprovera concorso continuato nei reati di concussione e violenza sessuale aggravata, ai sensi degli articolo 609 bis e septies, comma 4, nnumero 3 e 4 - 317 e 61 nnumero 5 e 9 cod. penumero di aver abusato delle loro funzioni, rispettivamente di maresciallo e appuntato dell'Arma dei Carabinieri in servizio presso la Tenenza di Pero, chiedendo alle prostitute romene B.M.A. e G.G. , dopo averle accompagnate in caserma nella notte del omissis per controlli, prestazioni sessuali quale alternativa al loro trattenimento fino alla mattina successiva per procedere a foto segnalamento, ed ottenendo entrambi un rapporto sessuale orale e vaginale C. da B. e R. da G. . Con le aggravanti di aver commesso le violenze con abuso di potere e violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione esercitata e di aver approfittato di condizioni di tempo, luogo e persona, tali da ostacolare la privata difesa. Al solo C. si contesta un analogo episodio per avere, abusando delle funzioni e dell'autorità di pubblico ufficiale, ottenuto da G.G. un rapporto sessuale e vaginale, dopo averla accompagnata in caserma per controlli di polizia nella notte del omissis , con le medesime aggravanti sopraindicate. 2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, gli imputati hanno proposto, per mezzo dei rispettivi difensori, ricorso per cassazione sollevando a il C. tre motivi con i quali deduce 1 violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero in relazione agli articolo 317 e 319 quater cod. penumero . Si assume che i Giudici del merito, alla luce della Legge 6 novembre 2012, numero 190, avrebbero dovuto qualificare i fatti de quibus come induzione indebita ex articolo 319 quater cod. penumero sul rilievo il ricorrente, come si desume dai capi di imputazione e dalle dichiarazioni delle persone offese, avrebbe posto in essere una condotta di pressione non irreversibile lasciando al destinatario della stessa, che ha in concreto perseguito un indebito vantaggio, un margine significativo di autodeterminazione, ciò in quanto le ragazze erano libere di scegliere tra dover rimanere in caserma per controlli tutta la notte o avere dei rapporti sessuali con i due militari nel capo 1 o con il solo C. capo 2 . 2 violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero in relazione all'aggravante di cui all’articolo 61. numero 9 cod. penumero per aver erroneamente ritenuto la sussistenza dell'aggravante che invece andava esclusa sul rilievo che l'abuso dei poteri e la violazione dei doveri integravano un elemento costitutivo del reato base 3 violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in quanto la Corte territoriale si è limitata a richiamare, per entrambi i capi d'accusa, le argomentazioni del Giudice di prime cure ritenendole condivisibili ed in tal modo affidando l'impianto giustificativo della conferma della condanna di primo grado ad una tecnica di motivazione cd. per relationem che può ritenersi ammissibile nell'ambito della mera ricostruzione del fatto ovvero per le parti della sentenza non impugnate o in presenza di manifesta infondatezza o non specificità dei motivi d'appello ma non nell'ipotesi, come nella specie, in cui l'imputato abbia svolto, sulla base di precise considerazioni, specifiche censure, su uno o più punti della prima pronuncia con la conseguenza che la Corte del merito, non avendo valutato le doglianze, è incorsa nella violazione di legge e nel vizio di difetto di motivazione su punti decisivi del tema di prova b il R. due motivi, articolati sotto plurimi profili, con i quali deduce 1 violazione, inosservanza, erronea applicazione della legge ex articolo 606, comma 1, lett. c , cod. proc. penumero nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero avendo la Corte territoriale motivato per relationem e con ciò non osservando l'onere motivazionale per non aver preso precisa posizione sui motivi di appello che si assumono perciò ignorati 2 violazione, inosservanza, erronea applicazione della legge ex articolo 606, comma 1, lett. b e c , cod. proc. penumero nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero in ordine alla ritenuta attendibilità delle persone offese e per aver omesso la motivazione su fatti decisivi del tema di prova, a torto ritenuti marginali dalla Corte territoriale. Considerato in diritto 1. È prioritario lo scrutinio del terzo motivo del ricorso C. e di entrambi i motivi del ricorso R. in quanto, oltre ad essere intimamente collegati tra loro, precedono nell'ordine logico i restanti motivi. Essi, laddove la censura si dirige verso il denunciato vizio di motivazione, sono inammissibili perché manifestamente infondati e presentati fuori dei casi consentiti. 2. Va subito precisato che la sentenza di primo grado e quella d'appello, nelle parti in cui pervengono al medesimo esito, si integrano a vicenda confluendo in un risultato unico ed inscindibile. Innanzitutto la Corte territoriale, dopo aver riportato ampi passaggi motivazionali della sentenza di primo grado e riassunto le doglianze mosse da parte dei ricorrenti con i motivi di appello, ha esaminato le sollevate censure non limitandosi a ripercorrere l'iter logico seguito dalla decisione di primo grado ma diffondendosi in una puntuale motivazione circa i punti devoluti con il gravame ed assolvendo in pieno alla funzione di revisore di seconda istanza sicché sono infondate le critiche con le quali - sul presupposto, neppure del tutto corretto, dell'esistenza di una motivazione per relationem - i ricorrenti deducono il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Ciò che si richiede, per il perfezionamento della fattispecie integrativa, è che i giudici di secondo grado utilizzino criteri omogenei rispetto a quelli usati dal primo giudice e considerino gli elementi nuovi prospettati nei motivi di gravame, potendo tuttavia disattenderli anche per implicito. Va a questo proposito ricordato che, in tema di sentenza penale di appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i Giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell'indagine svolta in primo grado, nonché della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. Ed invero, come già anticipato, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione Sez. 3, numero 4700 del 14/02/1994, Scauri, Rv. 197497 Sez. 2, numero 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145 . Da tale indirizzo questa Corte non si è mai discostata, avendo sempre ribadito che il legame indissolubile che unisce le sentenze di primo e di secondo grado implica che le decisioni di merito formano un unico complesso motivazionale, al quale il giudice di legittimità deve avere riguardo ai fini della valutazione della congruità e dell'esistenza della motivazione del provvedimento impugnato. Peraltro, qualora la sentenza di appello manchi situazione nella specie non sussistente della motivazione su un punto della decisione impugnata che sia stato espressamente devoluto al giudice di secondo grado con l'atto di gravame, il difetto non produce automaticamente la nullità della sentenza in ordine al punto della decisione omesso, a condizione però che quella di primo grado sia esaustiva e completa avendo analizzato tutti gli aspetti della vicenda che resterebbero pertanto non scalfiti dalle critiche mosse con l'impugnazione. Sarebbe invero illogico e contrario ai principi della ragionevole durata del processo che la Corte di cassazione annulli con rinvio una pronuncia, pur in presenza di una precedente motivazione completa ed autosufficiente su un punto decisivo della controversia, il cui esame sia stato omesso dal giudice di appello, il quale, pervenendo ad un unico e convergente risultato, abbia mostrato, con la conferma della statuizione, implicitamente di condividerla. Nel caso di specie, i rilievi sollevati dai ricorrenti circa l'attendibilità intrinseca ed estrinseca delle principali fonti d'accusa B.M.A. e G.G. sono stati puntualmente esaminati dalla Corte territoriale che ha dato conto, per dimostrare motivatamente di condividerli, degli argomenti spesi dal tribunale al riguardo. 3. Nell'adempiere a tale compito, la Corte milanese, partendo da una premessa fondamentale e non controversa, ha valorizzato il dato della casualità dell'emersione dei fatti, che hanno coinvolto i ricorrenti, avendo le indagini preso le mosse dalle dichiarazioni rese in altro procedimento riguardante analoghi abusi posti in essere da appartenenti ad altri corpi militari. È stato poi precisato che il fatto storico dell'accompagnamento in caserma in entrambi gli episodi contestati della G. e B. nella prima occasione e della G. e tale S.E. nella seconda sono risultati provati dai riconoscimenti fotografici degli imputati da parte delle suddette fonti, dagli acquisiti accessi informatici al sistema CED eseguiti dalla Tenenza di Pero, con il nome B. e credenziali C. , nonché dagli statini dei turni di lavoro attestanti il servizio perlustrativo del 21 ottobre e del omissis in abiti civili con autovettura di copertura. La Corte di appello ha dunque condiviso, dandone ulteriore conto nella parte della motivazione dedicata alla ratio decidendi della sentenza di primo grado, l'approdo cui è giunto il Tribunale laddove il primo giudice ha osservato come, a fronte della generica negazione dei fatti da parte del C. e della legittima scelta di non rendere dichiarazione alcuna da parte del R. , le dichiarazioni delle persone offese fossero risultate idonee a fornire la prova della fondatezza delle loro accuse, in quanto positivamente verificate sotto il profilo dell'attendibilità intrinseca e soggettiva, nonché tra loro convergenti, tali da fornirsi reciproco riscontro, oltre ad essere ulteriormente riscontrate ab extrinseco da fonti di natura dichiarativa ed oggettiva e, in aggiunta, dal dato logico relativo alle numerose anomalie emerse in ogni fase della condotta attribuita agli imputati. Secondo l'assunto dei ricorrenti, variamente articolato nei motivi di gravame con riferimenti a volte analoghi ed a volte di contenuto diverso, la Corte territoriale avrebbe dovuto dubitare dell'attendibilità delle dichiaranti, in primo luogo, per la loro personalità, e poi perché le fonti di prova avevano cambiato versione sul se il lampeggiante fosse già collocato sull'auto di servizio o se ivi apposto successivamente sul se il rapporto sessuale fosse stato solo vaginale o se, come in altra occasione precisato dalla B. , orale e vaginale , perché avevano erroneamente descritto il colore dell'auto di servizio con la quale le prostitute erano state prelevate blu invece che grigio , perché non si era tenuto conto, con riferimento al secondo episodio, che il C. era stato ricoverato per essere sottoposto ad intervento ed infine per l'incongruità di talune narrazioni sull'interrogazione del CED o alla circostanza relativa al fatto che altro militare dormisse al piano superiore a quello ove i rapporti sessuali sarebbero stati consumati . La Corte di appello - con motivazione corretta, logica e completa e perciò non censurabile in sede di legittimità - ha invece tenuto conto di tali obiezioni disattendendole esplicitamente sul rilievo che, quanto al profilo dell'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie, la genesi delle accuse - acquisite nell'ambito di una diversa indagine e su sollecitazione degli inquirenti - escludeva la presenza di intenti speculativi o calunniatori, peraltro neppure prospettati, e rendeva, all'evidenza, del tutto irrilevante la circostanza ex adverso valorizzata relativa all'attività di prostituzione esercitata dalle stesse. Al medesimo epilogo la Corte del merito è giunta escludendo qualsiasi incoerenza o contraddizione nel racconto delle persone offese, essendo talune divergenze peraltro logicamente spiegabili relative a circostanze del tutto marginali il colore dell'auto, l'allocazione del lampeggiante , inidonee a compromettere la costanza ed il contenuto delle rispettive dichiarazioni sul tema di prova centrale del processo. Le dichiarazioni sono state infatti reiterate in termini privi di connotazioni rivendicative o vittimistiche, essendo del tutto irrilevanti nell'economia della narrazione il fatto che il lampeggiante dell'auto fosse o meno acceso o se presente inizialmente sull'auto e se apposto in un secondo momento , ovvero che l'auto fosse grigia piuttosto che blu, ed avendo la Corte d'appello motivatamente evidenziato come, da un lato, non fosse ravvisabile alcun cambio di versione da parte della B. e come, dall'altro, la convergenza delle dichiarazioni accusatorie non fosse affetta da alcun contagio dichiarativo e fossero state riscontrate da elementi di carattere esterno quali le numerose anomalie riscontrate nell'operato del C. anche in relazione gli accessi al CED di per sé idonee a fornire insuperabile riscontro logico alla ricostruzione accusatoria, tanto da indurre ad affermare con fondamento la pretestuosità dell'accompagnamento in caserma delle persone offese e del loro accesso agli ambienti riservati, trattandosi di condotte univocamente mirate a porre le stesse in condizione di inferiorità e ad ottenerne le prestazioni sessuali. È risultata smentita la versione difensiva circa l'asserita incompatibilità del racconto della G. con le condizioni fisiche del C. il quale, dopo due giorni dal riferito rapporto sessuale durato 40 minuti, sarebbe stato ricoverato d'urgenza per un principio di peritonite, riprendendo servizio solo nel luglio 2010. Ed infatti la Corte territoriale non ha mancato di evidenziare come apposita consulenza disposta dal PM non avesse escluso che due giorni prima del ricovero il C. potesse essere nelle condizioni fisiche di avere un rapporto sessuale, oltre ad essere stato, sul punto, logicamente valorizzato il fatto che i turni di servizio, in particolare quelli di notte, che indubbiamente richiedono un certo impegno psicofisico, vengono predisposti in base alle disponibilità date dagli interessati. Significativi della sincerità delle dichiarazioni sono risultati alcuni particolari che i Giudici di merito hanno ritenuto pienamente riscontrati e che la B. non avrebbe potuto apprendere se non nelle circostanze riferite così la disposizione degli ambienti nella caserma e l'assenza di una scala di collegamento del primo piano con il piano superiore ove avrebbe dormito il maresciallo, come la stessa B. ha riferito di aver appreso durante il rapporto sessuale, essendo stata dal C. invitata a non fare rumore per non disturbarlo i dati di natura oggettiva e dichiarativa acquisiti hanno confermato infatti che sopra il primo piano vi era l'alloggio di servizio del comandante della Tenenza, ivi dimorante anche la notte del OMISSIS con la famiglia, e che tale alloggio non era collegato con scala interna al piano inferiore, ma era dotato di autonomo ingresso esterno. Significativi sono stati ritenuti anche i particolari riferiti alle peculiari caratteristiche fisiche del R. ovvero alla sua paternità, che non hanno costituito oggetto di verifiche negative e neppure di controdeduzioni difensive. A fronte di un quadro probatorio così significativo ed arricchito da ulteriori acquisizioni, neppure contestate, i motivi di ricorso si lasciano apprezzare per la loro manifesta infondatezza e per censure fattuali che non possono trovare ingresso nel giudizio di cassazione perché i motivi di ricorso non tengono conto che il sindacato di legittimità sui provvedimenti giurisdizionali non può mai comportare una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi diretti ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito. Infatti, il giudice di legittimità non può sostituire una propria impostazione e lettura dei fatti rispetto a quella operata da Giudici di merito, né verificare la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, ma deve esclusivamente riscontrare, sulla base della sentenza impugnata, o di altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame, l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione, apparato che, sulla base di quanto in precedenza riassunto, è pienamente assistito dai principi della completezza, della correttezza e della logicità. 4. Infondato è anche il primo motivo del ricorso proposto in difesa di C.A. . Con esso si assume che la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione e quella di induzione indebita a dare e promettere utilità è stata fissata dalla recente pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte Cass., Sez. Unite, 24 ottobre 2013, numero 12228 nel senso che la fattispecie di induzione indebita di cui all'articolo 319 - quater cod. penumero è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio e ciò a differenza della concussione ex articolo 317 cod. penumero ove la condotta costrittiva del pubblico ufficiale limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo. Nel caso di specie, le donne erano libere di scegliere tra dover rimanere in caserma per tutta la notte in attesa di essere sottoposte ai necessari controlli da eseguire il giorno successivo o avere dei rapporti sessuali con i due militari quanto al capo 1 o con il solo C. quanto al capo 2 . Ne consegue che la Corte d'appello, sulla base dello ius novum costituito dallo sdoppiamento della fattispecie concussiva per effetto della legge numero 190 del 2012, avrebbe dovuto applicare la meno grave fattispecie prevista dall'articolo 319 quater cod. penumero anziché quella di cui all'articolo 317 cod. penumero in assenza di qualsiasi abuso costrittivo e in presenza invece del vantaggio che sarebbe derivato alle donne di essere immediatamente rilasciate evitando di sottoporsi agli annunciati controlli. 4.1. Le Sezioni unite, con l'arresto citato dal ricorrente, hanno in proposito fissato il principio in base al quale il delitto di concussione, di cui all'articolo 317 cod. penumero nel testo modificato dalla L. numero 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall'articolo 319 quater cod. penumero introdotto dalla medesima L. numero 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno sempre che quest'ultimo non si risolva in un'induzione in errore , di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico Sez. U, numero 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, Medera ed altri, Rv. 258470 . Ciò posto, le Sezioni unite hanno avuto modo di precisare, in motivazione, che il principio di diritto, così come fissato, costituisce regola generale da applicare ordinariamente ai casi di chiara interpretazione, esistendo casi ambigui, cosiddette zone grigie , ove l'indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all'esito di un'approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, dovendosi cogliere di quest'ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta. Più in dettaglio, le Sezioni unite hanno chiarito che il criterio distintivo tra il concetto di costrizione costitutivo del delitto previsto dall'articolo 317 cod. penumero affrancato dalla modalità induttiva , e quello di induzione costitutivo della nuova fattispecie di cui all'articolo 319 quater cod. penumero derivata dallo sdoppiamento dell'originaria fattispecie concussiva , deve essere individuato nella dicotomia minaccia - non minaccia, che rappresenta l'altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo. Definita l'induzione in chiave negativa, come effetto cioè che non consegue a una minaccia, le Sezioni unite hanno affermato che, in positivo, la nozione di induzione va determinata, da un lato, in connessione con l'abuso di potere o qualità dell'agente pubblico nonché con l'elemento della punibilità del privato aspetto, quest'ultimo, estraneo ratione temporis all'economia del presente giudizio per quanto attiene alle condotte dell’ extraneus e, dall'altro, va intesa come alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l'ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi facenti capo alla p.a. con la conseguenza che è proprio il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione, assurge al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva , riconoscendo quindi che il criterio del danno-vantaggio non sempre consente, se isolatamente considerato nella sua nettezza e nella sua staticità, di individuare il reale disvalore di vicende che occupano la cd. zona grigia . Il detto parametro, pertanto, deve essere opportunamente calibrato, all'esito di una puntuale ed approfondita valutazione in fatto, sulla specificità della vicenda concreta, tenendo conto di tutti i dati circostanziali, del complesso dei beni giuridici in gioco, dei principi e dei valori che governano lo specifico settore di disciplina. Tanto è imposto dalla natura proteiforme di particolari situazioni, nelle quali l'extraneus, per effetto dell'abuso posto in essere dal pubblico agente, può contestualmente evitare un danno ingiusto ed acquisire un indebito vantaggio ovvero, pur di fronte ad un apparente vantaggio, subisce comunque una coartazione, sicché, per scongiurare mere presunzioni o inaffidabili automatismi, occorre apprezzare il registro comunicativo nei suoi contenuti sostanziali, rapportati logicamente all'insieme dei dati di fatto disponibili . 4.2. Va allora considerato come la presente vicenda processuale non possa affatto essere ridimensionata e ridotta al segnalato profilo indicato nel ricorso ossia che le persone offese, avendo evitato il disagio di rimanere in caserma per tutta la notte, si sarebbero procurate un vantaggio con la conseguenza che la prestazione sessuale non sarebbe stata loro estorta, esulando così dalla fattispecie dell'abuso costrittivo per essere sussunta in quella del'abuso induttivo. Il fatto storico, così come ricostruito in sentenza, consegna una vicenda nella quale la condotta dei pubblici ufficiali è stata geneticamente connotata da una strategia diretta a non lasciare alcun margine di scelta alle persone offese, rimaste da subito in balia dell'autorità con il controllo e la conduzione, in orario notturno, nella caserma, quando era ben chiaro ai ricorrenti, non anche alle donne prelevate ex abrupto in strada, l'impossibilità del foto segnalamento, atteso l'orario, e dunque era concreta la prospettiva degli agenti di poter esercitare sulle persone offese una forte pressione, quale conseguenza del ricatto da eseguire nei loro confronti, per poter ottenere dalle donne la prestazione sessuale che costituiva l'iniziale obiettivo del controllo strumentale eseguito dai militari. Perciò non si è trattato tanto di barattare la prestazione sessuale con un vantaggio indebito da conseguire, quale quello di evitare gli accertamenti diretti alla compiuta identificazione delle donne attraverso il foto segnalamento che doveva essere eseguito il mattino successivo, quanto la pretesa di ottenere il rapporto sessuale per far cessare, con l'immediata restituzione della libertà personale e di movimento, una situazione antigiuridica appositamente precostituita e dunque un danno ingiusto intenzionalmente arrecato. Tale fattispecie dunque non può che essere ricondotta nel paradigma della concussione perché il fine illecito perseguito con lo sfruttamento dell'ufficio e la torsione dell'interesse pubblico per il perseguimento di un interesse privato illecito ha determinato una indebita limitazione, seppure temporanea, della libertà personale delle persone offese al fine di pregiudicarne il successivo processo volitivo così da obbligarle a sottostare alla ingiusta pretesa della consumazione del rapporto sessuale, all'esito del quale sarebbe cessata la indebita compressione della libertà personale strumentalmente ed appositamente limitata. Peraltro in una tale situazione, come le stesse Sezioni unite hanno avuto modo di precisare scrutinando in via astratta uno dei casi rientranti nella cd. zona grigia a proposito proprio del controllo di una prostituta da parte delle forze dell'ordine, l'esercizio dei poteri di polizia si appalesa, in siffatti casi, deviato dal fisiologico schema funzionale ed assume evidenti connotati di prevaricazione costrittiva per il coinvolgimento nella pretesa indebita di un bene fondamentale della persona libertà sessuale ed in assenza di sintomi di adesione, sia pure indotta , della donna, e ciò a prescindere dalla natura ingiusta o giusta del danno oggetto del messaggio veicolato dal pubblico ufficiale. 5. È invece fondato il secondo motivo del ricorso C. , pacificamente estensibile al ricorrente R. . I Giudici del merito hanno affermato che la circostanza aggravante prevista dall'articolo 61 numero 9 cod. penumero sarebbe compatibile con il reato di concussione che tollera la configurazione dell'aggravante della qualifica quando la prestazione indebita sarebbe richiesta, come nella specie, al di fuori di qualsiasi perimetro riconducibile allo svolgimento dell'attività istituzionale. L'opzione ermeneutica prescelta, con riferimento alla configurabilità dell'aggravante ex articolo 61 numero 9 cod. penumero al reato di concussione, non è condivisibile. 5.1. L'aggravante infatti non può essere contestata, pena la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, quando l'abuso dei poteri integri esso stesso un elemento costitutivo di un reato, come nel caso della concussione e dell'induzione indebita, o un'aggravante speciale. La ragione per la quale la circostanza aggravante comune prevista dall'articolo 61, numero 9 cod. penumero non è compatibile con il reato di concussione o di induzione indebita risiede nel fatto che nella condotta di abuso sia costrittivo che induttivo , contemplata dagli articolo 317 e 319 quater cod. penumero , è già ricompresa la predetta aggravante. Il principio ne bis in idem, inteso in senso sostanziale, importa il divieto di valutare due volte lo stesso elemento di fatto in relazione al medesimo schema normativo, o in relazione a schemi che si ricomprendano tale divieto tuttavia non opera nel caso in cui lo stesso fatto assuma rilievo come presupposto o elemento costitutivo di un certo reato, e come circostanza aggravante d'un reato concorrente Sez. 2, numero 2125 del 15/12/1964,dep. 25/02/1965, Bellomo Rv. 099387 . Quindi la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 numero 9 cod. penumero è stata malamente ritenuta quanto al reato di concussione mentre è perfettamente compatibile con il reato di violenza sessuale. Le Sezioni unite Maldera Sez. U, numero 12228 del 24/10/2013, cit. hanno anche sottolineato la centralità dei segni linguistici che negli articolo 317 e 319-quater cod. penumero evocano il concetto di abuso che non è dunque un presupposto del reato ma integra un elemento essenziale e qualificante della condotta di costrizione o di induzione, nel senso costituisce il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa dell'indebito. Secondo le Sezioni unite, l'abuso, quindi, è lo strumento attraverso il quale l'agente pubblico innesca il processo causale che conduce all'evento terminale il conseguimento dell'indebita dazione o promessa con la conseguenza che la condotta tipica delle due figure criminose in esame non risiede, quindi, esclusivamente nella costrizione o nella induzione bensì primariamente nell'abuso, che è legato da nesso di causalità con lo stato psichico determinato nel soggetto privato ed è idoneo, in ulteriore sequenza causale e temporale, a provocare la dazione o la promessa dell'indebito . Ne consegue che è configurabile il reato di concussione quando, come nella specie, la costrizione del pubblico ufficiale si concretizzi nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali mentre sussiste il delitto di estorsione aggravata ai sensi dell'articolo 61 numero 9 cod. penumero quando l'agente ponga in essere, nei confronti di un privato, minacce diverse da quelle consistenti nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, sicché la qualifica di pubblico ufficiale si pone in un rapporto di pura occasionalità, avente la funzione di rafforzare la condotta intimidatoria nei confronti del soggetto passivo Sez. 2, numero 12736 del 26/02/2014, P.M. in proc. Zanola, Rv. 258623 . Peraltro l'affermazione dei Giudici del merito secondo la quale la prestazione indebita sarebbe stata richiesta al di fuori di qualsiasi perimetro riconducibile allo svolgimento dell'attività istituzionale, mentre vale per giustificare la contestazione dell'aggravante per il reato di violenza sessuale, è contraddittoria e meramente assertiva con riferimento al delitto di concussione sia perché altrimenti tale ultima fattispecie non sarebbe stata configurabile, dovendo il fatto essere sussunto nell'ambito dell'estorsione aggravata dalla qualifica giuridica soggettiva, e sia perché la costrizione è stata commessa, come gli stessi Giudici del merito hanno diffusamente spiegato, attraverso l'abuso dei poteri avendo i pubblici ufficiali strumentalizzato gli stessi deviandoli dal fine pubblico e torcendoli al perseguimento del profitto privato. 5.2. Sul punto la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano non potendo la Corte di cassazione adottare ai sensi dell'articolo 620, comma 1, lett. l cod. proc. penumero le relative statuizioni perché le sentenze di merito non consentono di desumere quale pena sia stata applicata per la ritenuta aggravante. Invero la pena base che, ratione temporis , è nel minimo edittale pari a quattro anni di reclusione è stata individuata per il reato di concussione, ritenuto più grave, in anni otto di reclusione per il C. ed in anni quattro e mesi sei per il R. , sicché compete al giudice del rinvio rideterminare la pena in parte qua e poi complessivamente, oltre a regolare il regime delle spese, mentre i ricorsi vanno rigettati nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto i ricorsi. Spese al definitivo. Visto l'articolo 154 ter disp. att. cod. proc. penumero manda alla Cancelleria per la comunicazione del dispositivo alla pubblica amministrazione di appartenenza dei ricorrenti. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.