L’Italia è un paese agricolo, ma non aperto ad ogni tipo di coltivazione

Costituisce una condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti, anche se realizzata per uso personale. Non rileva, infatti, la distinzione tra coltivazione tecnico-agraria o domestica, in quanto l’attività in sé è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 37835, depositata il 16 settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Catania condannava un imputato per aver coltivato marijuana in un campo vicino alla sua abitazione, arrivando a produrre circa 194 dosi medie giornaliere. L’uomo ricorreva in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, in quanto il principio attivo era ridotto. Da ciò, doveva desumersi la destinazione ad uso personale. In più, deduceva che si fosse trattato di un solo episodio e non di una condotta abituale. Coltivazione. Secondo la Corte di Cassazione, costituisce una condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti, anche se realizzata per uso personale. Non rileva, infatti, la distinzione tra coltivazione tecnico-agraria o domestica, in quanto l’attività in sé è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga. Si tratta di un reato di pericolo presunto, in cui l’offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile. Nel caso di specie, però, il quantitativo pari a 194 dosi medie giornaliere singole un quantitativo tale, anche sotto il profilo qualitativo, da attribuire notevole offensività alla condotta di coltivazione contestata all’imputato, escludendo così la possibilità di applicare l’ipotesi lieve di cui all’art. 73 comma 5 . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, ma, in virtù della sentenza n. 134/2014 della Consulta in materia di stupefacenti, rinviava la decisione alla Corte d’appello per rideterminare il trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 marzo – 16 settembre 2014, n. 37835 Presidente Gentile – Relatore Savino Ritenuto in fatto e diritto Con sentenza emessa in data 9 gennaio 2013 il GUP presso il Tribunale di Catania dichiarava F. F.O. responsabile dei reati di cui agli artt. 110, 73 DPR 309/1990 e 648 c.p. perché in concorso con C.S. - per cui si è proceduto separatamente - illecitamente coltivava nella campagna attigua alla propria abitazione sostanza stupefacente del tipo marijuana curando un piantagione di n. 87 piante di altezza variabile da metri 1 a metri 1,50 con THC complessivo pari a gr. 7,84 corrispondente a 194 dosi medie giornaliere e, sempre in concorso con il C., al fine di trarne profitto acquistava o comunque riceveva oggetti dei quali conosceva la provenienza illecita in quanto oggetto di furto ai danni di Luca Sato così come risulta da denuncia presentata alla stazione dei Carabinieri di Aci Sant'Antonio in data 14/05/2012 . Applicata la concessione per il rito scelto, concesse le attenuanti generiche ed esclusa la contestata recidiva reiterata infraquinquennale e specifica, condannava il F. alla pena di anni 3 di reclusione ed euro 12.400 di multa nonché alla pena accessorio dell'interdizione dai PP.UU. per la durata di anni 5. Disponeva, infine, la confisca e la distruzione di quanto in sequestro. Proposto appello, la Corte di Appello di Catania confermava in toto la sentenza di primo grado e condannava l'imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali. Avverso tale decisione il difensore del F. ha presentato ricorso per Cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 73 co. 5 DPR 309/90 ed all'eccessiva entità della pena. Rileva sul punto il ricorrente che il principio attivo riscontrato nella sostanza stupefacente sequestrata era pari a gr. 4,84 di THC ed in percentuale 1,49% di purezza. Dunque, a detta del difensore, si trattava di un principio attivo ridotto da cui desumersi la presunta destinazione ad uso personale. Tale circostanza unita al fatto che si sarebbe trattato di un solo episodio e non di una condotta abituale sempre a detta della difesa avrebbero dovuto condurre il giudice di merito ad applicare la suddetta ipotesi attenuata stante la minima offensività del fatto di cui è causa. Il giudice di primo grado, però, non ha riconosciuto la suddetta attenuante speciale e la Corte di appello ha confermato tale scelta tramite una motivazione, secondo il ricorrente, del tutto insufficiente. Nonostante il profilo avesse costituto oggetto di specifico motivo di appello - lamenta il difensore del F. - la Corte territoriale si è limitata a riportare la formula stereotipata tanto basta per attribuire la offensività all'azione illecita contestata all'imputato escludendo così l'ipotesi live di cui al co. 5 DPR 309/90 . Dunque i giudici di appello non avrebbero tenuto in debito conto la minima offensività del fatto desumibile dal dato quantitativo e qualitativo nonché dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell'azione in aperto contrasto con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità. Inoltre la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione neppure la richiesta difensiva ex art. 133 c.p. di riduzione della pena per l'assoluta mancanza di ulteriori denunce e condanne dopo un periodo di tempo certamente non modesto a detta della difesa nonché della giovane età, della vita ante atta e del comportamento processuale dell'imputato. Il motivo è infondato sotto diversi profili. La doglianza, infatti, non solo risulta essere la pedissequa ripetizione delle censure già avanzate nell'atto di appello ma appare anche eccessivamente generica e chiaramente volta a suscitare un riesame ed un nuovo apprezzamento di elementi di prova che è, per definizione, precluso a questa Corte. Il giudice di appello, infatti, si è pronunciato sul punto fornendo logica ed adeguata motivazione sia in merito all'offensività della condotta contestata sia in merito all'esclusione dell'ipotesi lieve di cui al quinto comma. In particolare, la Corte di appello ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale in base al quale costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale. Difatti non rileva la distinzione tra coltivazione tecnico-agraria o domestica, posto che l'attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga Sez. Un. 24 aprile 2008, Valletta Sez. Un. 24/04/2008, Esposito Cass. Sez. III, 9/12/2009, Cammarota - Fattispecie relativa alla coltivazione di quindici piante di marijuana Corte cost. n. 360 del 1995 e n. 296 del 1996 . Del resto, evidenzia la Corte territoriale, la coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa astratta il principio della offensività in astratto va inteso come la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale, sicchè la offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile. Circostanza che nel caso di specie non ricorreva in quanto, come evidenziato nella sentenza di appello, la consulenza chimico tossicologica ha riscontrato nelle piante in sequestro un principio attivo di tetraidrocannabinolo pari ad 1,49 corrispondente a 4,84 di THC puro pari ed è questo che la difesa non dice a ben 194 dosi singole medie. Un quantitativo tale, anche sotto il profilo qualitativo, da attribuire notevole offensività alla condotta di coltivazione contestata all'imputato, escludendo così la possibilità di applicare l'ipotesi lieve di cui all'art. 73 co. 5. Quanto al trattamento sanzionatorio, come è noto, le statuizioni relative alla pena così come il riconoscimento di attenuanti o aggravanti involge aspetti di merito sottratti al giudice di legittimità qualora, risultino non arbitrarie ma logicamente motivate. Ciononostante, nel caso di specie la doglianza deve essere accolta in quanto le recenti modifiche legislative e la pronuncia della Corte Costituzionale 134/2014 in materia di stupefacenti impongono una rideterminazione del trattamento sanzionatorio inflitto al ricorrente. Ne consegue la necessità di annullare la sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinviare alla Corte di appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena con rinvio alla Corte di Appello di Catania, altra sezione, e rigetta nel resto il ricorso.