Sproporzione tra quanto sequestrato e valore del profitto: cosa fare?

Il soggetto che rilevi la sproporzione tra valore economico dei beni da confiscare, indicato nel decreto di sequestro, e l’ammontare delle cose sottoposte a vincolo, può contestare tale eccedenza per ottenere una riduzione della garanzia, in sede di istanza di riesame, presentando apposita richiesta al pm ed impugnando con l’appello cautelare l’eventuale provvedimento negativo del gip qualora l’istanza di riduzione del sequestro non sia stata accolta.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 37848, depositata il 16 settembre 2014. Il caso. Il Tribunale del riesame confermava il decreto di sequestro preventivo di denaro, titoli, beni mobili e immobili ed ogni altra utilità nella disponibilità della ricorrente, individuati in sede esecutiva, in relazione al reato di cui all’art. 10 bis d. lgs. n. 74/2000 omesso versamento di ritenute certificate . Il valore dei beni sequestrati era maggiore del valore del profitto? La soccombente ricorreva in Cassazione, lamentando violazione di legge in relazione alla totale carenza di motivazione del provvedimento impugnato. In particolare, censurava la decisione del Giudice perché affermava l’impossibilità di specificare i beni da sottoporre al vincolo preventivo in quanto l’elenco fornito al pm non permetteva di stabilire immediatamente il valore relativo a ciascuno di essi, e quindi, aveva lasciato una sorta di delega agli organi dell’esecuzione nella selezione dei beni da apprendere, con la conseguenza che il valore dei beni sequestrati era superiore al valore dell’individuato profitto. E’ nella fase esecutiva che si indicano specificamente i beni e si verifica il valore indicato nel sequestro. Il motivo è infondato. Per giurisprudenza consolidata in sede di legittimità, in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero Cass. , n. 10567/2012 . L’eccedenza può essere contestata in sede di riesame. D’altra parte, il soggetto che rilevi la sproporzione tra valore economico dei beni da confiscare, indicato nel decreto di sequestro, e l’ammontare delle cose sottoposte a vincolo, può contestare tale eccedenza per ottenere una riduzione della garanzia, ma in sede di istanza di riesame, presentando apposita richiesta al pm ed impugnando con l’appello cautelare l’eventuale provvedimento negativo del gip qualora l’istanza di riduzione del sequestro non sia stata accolta dal pm inizialmente adito Cass., n. 20504/2014 . Il provvedimento cautelare, specifica la Corte Suprema, è legittimo solo se le misure limitative delle libertà reali siano disposte ed eseguite in ossequio ai principi di adeguatezza e proporzionalità. Solo quando la sproporzione sia facilmente riscontrabile in sede di riesame, la doglianza può formare oggetto di cognizione da parte del tribunale cautelare in sede di riesame del provvedimento restrittivo, mentre, negli altri casi, i controlli giurisdizionali possono essere attivati, per eliminare l’eventuale squilibrio, quando l’interessato si sia doluto della sproporzione e la stessa non sia stata rimossa. Nel caso di specie non ricorre nessuna delle due ipotesi alternative. Sulla base di tali argomenti la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 maggio – 16 settembre 2014, numero 37848 Presidente Squassoni – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Cosenza ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso in data 5 dicembre 2013 dal Gip presso il medesimo tribunale, applicativo della misura cautelare dei sequestro preventivo di denaro, titoli, beni mobili e immobili ed ogni altra utilità nella disponibilità della ricorrente ed individuati in sede esecutiva fino a concorrenza di un importo pari ad euro 1.058.542,00 in relazione al reato previsto dall'articolo 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74. 2. Ricorre per cassazione A.C. per il tramite dei propri difensori, chiedendo l'annullamento dell'impugnata ordinanza ed affidando il gravame a sei motivi con i quali deduce 1 violazione di legge in relazione alla totale carenza di motivazione del provvedimento impugnato, rilevabile ictu oculi dal suo esame, tenuto conto che le res attinte dal vincolo risultano descritte attraverso nozioni giuridiche astratte e disordinate, non contenute né tantomeno logicamente deducibili dall'esecuzione del provvedimento esorbitando per valore fino alla concorrenza delle somme in contestazione 2 vizio di motivazione circa il perimetro di legittimità dello strumento ablativo ex articolo 322 ter cod. penumero , limitandosi - nel caso di specie - il Giudice del riesame a non esaminare in concreto la quantità dei beni sequestrati in fase di esecuzione dalla Guardia di Finanza, seguendo un criterio di ordine alfabetico , sproporzionato nel suo valore - tra gli indagati dei procedimento, disordinato e, quindi, illegittimo perché non compiutamente individuato 3 l'illegittimità del sequestro operato e confermato dal Tribunale di Cosenza posto che i beni sequestrati ad A.C. non sono direttamente riconducibili al profitto del reato casa di abitazione acquistata nell'anno 1979, altra casa nel comune di Bonifati in comproprietà con il marito non indagato nel procedimento acquistata nei 2001 ed altro come da documentazione in atti , considerato che trattasi di beni personali acquistati molto prima dell'anno 2008 cfr. atto di acquisto e fondo patrimoniale in atti , cioè quando l'attività sanitaria della Casa di Cura Villa Ortensia risultava essere in perfetta aderenza con i versamenti fiscali e tributari previsti a termine di norma 4 mancanza di motivazione circa la possibilità di utilizzare le poste attive della Casa di Cura Villa Ortensia S.r.l ., esistenti €.1.200.000,00 e documentate, acquisite al fallimento della società, risultando il vizio dai motivi di riesame esposti nel verbale del 22 gennaio 2014 e compendiati dal dato documentale cfr. estratto conto del 17 dicembre 2013 5 errata applicazione delle norme che hanno condotto i Giudici del merito a ritenere la sussistenza del fumus nei confronti della ricorrente sull'erroneo presupposto che avesse rivestito la qualifica di amministratore di fatto 6 mancanza di motivazione nonché violazione di legge e del principio della effettiva capacità contributiva di cui all'articolo 53 Cost., evidenziato nei motivi di riesame di cui al verbale del 22 gennaio 2014, considerato che con riferimento al delitto di cui all'articolo 10 bis omesso versamento delle ritenute certificate d.lgs. numero 74 del 2000 occorre valutare l'effetto scriminante dovuto alla mancanza di liquidità del contribuente, laddove venga provato che l'omesso versamento delle ritenute effettuate abbia la sua ragione in una crisi di liquidità dell'azienda. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. I primi due motivi, essendo tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati. Con essi la ricorrente si duole del fatto che il giudice della cautela, nell'affermata impossibilità di specificare i beni da sottoporre al vincolo preventivo in quanto l'elenco fornito dal pubblico ministero non permetteva di stabilire immediatamente il valore relativo a ciascuno di essi, avrebbe, nel disporre il sequestro, lasciato una sorta di delega in bianco agli organi dell'esecuzione nella selezione dei beni da apprendere, con la conseguenza che il valore dei beni sequestrati è risultato superiore al valore dell'individuato profitto e senza che il Tribunale cautelare avesse esaminato le sollevate eccezioni difensive, il cui scrutinio avrebbe dovuto comportare l'annullamento della misura cautelare. Le doglianze, che non sono state propriamente devolute al tribunale del riesame nei termini riportati nel presente ricorso, sono comunque infondate. Questa Corte, non senza contrasti, ha affermato che, in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l'importo complessivo da sequestrare, mentre l'individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero Sez. 3, 12/07/2012, numero 10567 07/03/2013, Falchero, Rv. 254918 cosicché, nel caso di lamentata sproporzione tra il valore economico dei beni da confiscare, indicato nel decreto di sequestro, e l'ammontare delle cose sottoposte a vincolo, il soggetto destinatario dei provvedimento ablativo, può contestare tale eccedenza al fine di ottenere una riduzione della garanzia ma non in sede di istanza di riesame, non avendo il Tribunale della libertà, salvo i casi di sproporzione ictu oculi, i poteri per sindacare il lamentato squilibrio, ma presentando apposita richiesta al pubblico ministero ed impugnando con l'appello cautelare l'eventuale provvedimento negativo del Gip qualora l'istanza di riduzione del sequestro e di restituzione dei beni eventualmente sequestrati in eccedenza non sia stata accolta dal pubblico ministero inizialmente adito Sez. 3, numero 20504 del 19 febbraio 2014 - depositata il 19 marzo 2014, Cederna ed altri . Va infatti ricordato che, nel sequestro e nella confisca di valore, non è sempre possibile prima facie attribuire l'esatto valore economico al bene oggetto del vincolo o comunque un tale valore può essere controverso, dovendosi ricorrere ad accertamenti tecnici al riguardo per stabilirlo. Tuttavia le garanzie dell'indagato non possono rimanere senza tutela atteso che deve essere scongiurato il rischio di una lesione del diritto di proprietà che risulta indubbiamente compromesso quando è superato il limite corrispondente all'equivalente in valore del bene sequestrabile o confiscabile. Il provvedimento cautelare è infatti legittimo solo quando le misure limitative delle libertà reali siano disposte ed eseguite in ossequio ai principi di adeguatezza, proporzionalità e graduazione al fine di evitare un'esasperata compressione dei diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata sicché, in tali casi, solo quando la sproporzione sia facilmente riscontrabile in sede di riesame sulla base dei motivi e dei documenti, insuscettibili di approfondimento, addotti dalle parti nel corso dell'udienza o dal semplice confronto tra provvedimento impositivo e provvedimento esecutivo, che inequivocabilmente contrasti con il primo la doglianza può formare oggetto di cognizione da parte del tribunale cautelare in sede di riesame del provvedimento restrittivo mentre, negli altri casi, i controlli giurisdizionali possono essere attivati, al fine di eliminare lo squilibrio, quando l'interessato si sia doluto della sproporzione e la stessa, eventualmente anche all'esito di specifiche indagini, non sia stata, se sussistente, rimossa. Il caso di specie, stando allo stesso tenore del ricorso, non rientra nel primo paradigma non risultando da alcun elemento che la sproporzione fosse esistente e che fosse evidente ed esula dal secondo, conseguendo da ciò l'infondatezza dei motivi. 3. Il terzo motivo è altrettanto infondato. Con esso si assume l'illegittimità del sequestro operato e confermato dal Tribunale cautelare nonostante che i beni sequestrati alla ricorrente non fossero direttamente riconducibili al profitto del reato ma non si considera che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente non esige, per definizione, che il bene da vincolare sia collegato al reato in quanto esso, affinché l'ablazione sia giustificata, deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore ai prezzo o al profitto del reato, non dovendo sussistere alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da sequestrare o da confiscare. 4. Anche il quarto motivo, sollevato sul presupposto che le somme equivalenti al profitto dei reato fossero acquisibili presso la società, benché fallita, è infondato. La doglianza, che non è stata parimenti formulata innanzi al Tribunale del riesame negli stessi termini con la quale è esposta nel presente ricorso, fonda sul presupposto che dall'estratto di conto corrente della società, nel frattempo fallita, risulterebbero provviste in denaro equivalenti al valore dei profitto confiscabile, con la conseguenza che non dovevano essere aggrediti, per equivalente, i beni della ricorrente, ma doveva essere sequestrato, in forma specifica, il denaro esistente nelle casse sociali. Sul punto, occorre rilevare come dal documento definito estratto conto , indicato nell'atto di gravame in ossequio al principio di autosufficienza dei ricorso, non emerge, in assenza di affidabili dati cronologici, la certa esistenza nell'attivo fallimentare della somma indicata. Va anche aggiunto come le Sezioni unite abbiano recentemente chiarito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l'impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata Sez. U, numero 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648 con la conseguenza che la misura cautelare è stata comunque legittimante disposta. 5. Il quinto ed il sesto motivo di gravame possono essere congiuntamente esaminati. Con essi si contesta la qualifica di amministratore di fatto attribuita alla ricorrente e si assume come, in presenza di una crisi di liquidità della società, non era esigibile richiedere alla ricorrente stessa l'adempimento della prestazione tributaria. I rilievi sono infondati avendo il tribunale cautelare, con logica ed adeguata motivazione, desunto la qualifica di amministratore di fatto della ricorrente sul presupposto che la stessa è risultata inserita in una gestione continuativa e significativa dell'azienda, con la conseguenza che, se anche l'ultimo atto dell'omissione mancato pagamento alla scadenza delle ritenute nel termine legale era imputabile all'amministratore di diritto, la decisione di destinare le somme di denaro, ritenute nella qualità di sostituto d'imposta, al pagamento di altri debiti tra i quali gli stipendi verso i dipendenti e non di quelli tributari è apparsa chiaramente riferibile alla ricorrente ed alla sorella sicché la pianificazione, la decisione e la preparazione dei reato omissivo deve ritenersi imputabile alla ricorrente che non può assumere un esonero per il solo fatto che la società versasse in una crisi di liquidità avendo questa Corte chiarito che, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la colpevolezza del sostituto di imposta non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all'esercizio precedente, a meno che l'imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale Sez. 3, numero 5467 del 05/12/2013, dep. 04/02/2014, Mercutello, Rv. 258055 , situazioni, nella specie, entrambe non sussistenti. 6. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.