Nonnismo a sfondo sessuale: condannati per aver leso la dignità del commilitone

Ricostruita, nei dettagli, la triste vicenda. Per un mese un militare viene sottoposto alle angherie di due commilitoni, che, tra l’altro, provano a sfilargli i pantaloni, mentre egli era steso a letto. Evidente, per i giudici, la lesione della dignità della persona offesa.

Nonnismo in piena regola tra commilitoni di pari grado. La vittima subisce offese ripetute – egli viene, tra l’altro, invitato a farsi la doccia, perché puzzava – e deve anche sopportare, malvolentieri, alcuni gesti, a sfondo sessuale, davvero non accettabili. Nonnismo, come detto, secondo un gergo da caserma. O, come sostengono i due militari resisi protagonisti della vicenda, semplici scherzi. Ma per la giustizia determinati comportamenti – come lo sfilare i pantaloni della vittima, oppure mostrare a quest’ultima i propri genitali – vanno valutati per ciò che sono un’evidente lesione della dignità della persona offesa Cassazione, sentenza n. 37565, sez. I Penale, depositata oggi . Disprezzo. Mese da incubo per un militare, destinatario dei ripetuti atteggiamenti di disprezzo da parte di due commilitoni. Tanto triste, e tanto mortificante, la vicenda da approdare addirittura in un’aula di giustizia, laddove, per fortuna, i due protagonisti vengono condannati per il reato di ingiuria nei confronti del loro commilitone. Su questo punto, difatti, non viene espresso alcun dubbio dai giudici di merito. In particolare, in Appello, viene evidenziato che è di evidente portata offensiva del decoro della persona offesa la condotta consistente nella esibizione dei genitali , verso la vittima, e nell’ invito a toccarli . Detto in maniera chiara, ci si trova di fronte a un chiaro atteggiamento di disprezzo, quindi ingiurioso , idoneo a ledere il decoro della persona offesa attraverso lo svilimento della sua sfera di intimità personale . Dignità. E la visione tracciata in secondo grado viene confermata, e condivisa, anche dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali non possono catalogare gli episodi contestati come nonnismo o come semplici scherzi, seppur poco ortodossi. Più logico, secondo i giudici, parlare di angherie vere e proprie, finalizzate alla umiliazione della vittima. E in questo contesto si colloca anche il riferimento alla condotta dei due militari sotto accusa, i quali tentarono di sfilare i pantaloni della persona offesa, mentre era sdraiata a letto nessun dubbio sul fatto che tale azione è idonea a ledere il decoro della vittima, svilendone la sfera di intimità personale . Consequenziale, quindi, la conferma della condanna, così come fissata in Corte d’Appello, per il reato di ingiuria.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 novembre 2013 – 12 settembre 2014, n. 37565 Presidente Zampetti – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25 ottobre 2011 il Tribunale militare di Roma ha giudicato M.A. e M.A. in ordine a plurime condotte lesive, poste in essere, tra il 4 e il 26 marzo 2010, quando entrambi erano militari rivestiti del grado di caporale dell'Esercito italiano, effettivi e in servizio al 18° Battaglione Bersaglieri Poggio Scanno , in danno del commilitone di pari grado E.M.L Quest'ultimo aveva, in particolare, denunciato e confermato in dibattimento che A. lo aveva offeso ripetutamente con l'invito a farsi la doccia, perché puzzava capo a , gli aveva sottratto lo scudetto distintivo del reggimento, accompagnando il gesto della restituzione con un calcetto capo b , aveva tentato in concorso con A. di denudarlo, sfilandogli i pantaloni capo c e aveva proceduto in concorso con A. all'ínfradiciamento del suo materasso mediante getto di liquido capo d , e che A. si era avvicinato al suo letto, mostrandogli i genitali, invitandolo a toccarli e strattonandolo e spintonandolo per il suo rifiuto capo a , aveva proceduto in concorso con A. all'infradiciamento del suo materasso mediante getto di liquido capo b e aveva tentato in concorso con A. di denudarlo, sfilandogli i pantaloni capo c . Secondo il Tribunale, che riteneva confermata dalle deposizioni della persona offesa e dei testi B. e B. la sottoposizione della prima a scherzi di dubbio gusto e angherie da parte degli imputati, non era ravvisabile il carattere ingiurioso della condotta di sottrazione dello scudetto contestata ad A., assolto dal capo b per insussistenza del fatto, né era provato che all'infradiciamento del materasso avessero proceduto gli imputati, assolti per non avere commesso il fatto dai capi d A. e b A. . Andava, invece, affermata la responsabilità penale di A. per il reato di cui al capo a per essere le ripetute espressioni, rivolte alla persona offesa di farsi la doccia, integrative del reato di ingiuria di A. per il reato di percosse e ingiuria di cui al capo a , integrato dalla condotta tenuta esibendo alla persona offesa i suoi organi genitali e spintonandola, e di entrambi, per il reato di ingiuria di cui ai rispettivi capi c , così riqualificato il reato contestato, escludendo la condotta di percosse, posto in essere tentando di denudare la persona offesa. Il Tribunale, dichiarati, quindi, gli imputati responsabili per i reati di cui ai capi a , rispettivamente ascritti, e per il reato di ingiuria di cui ai rispettivi capi c , contestato in concorso, ha condannato, unificati i reati per continuazione, A. alla pena di mesi uno e giorni venti di reclusione militare e A. alla pena di mesi due di reclusione miliare, condizionalmente sospese, assolvendoli dalle residue imputazioni. 2. Con sentenza del 16 maggio 2012 la Corte militare di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che ha confermato nel resto, ha assolto A. dal reato di ingiuria continuata ascrittogli al capo a , perché il fatto non costituisce reato , e ha ridotto la pena al medesimo inflitta a mesi uno di reclusione militare. 3. La Corte, in particolare, richiamata la vicenda e illustrati i motivi di appello, riteneva che - per il reato contestato ad A. al capo a non era stata raggiunta la prova della sussistenza dell'elemento psicologico - aveva, invece, senz'altro portata offensiva dei decoro della persona offesa la condotta contestata ad A. al capo a , essendo l'esibizione dei genitali e l'invito a toccarli chiaramente diretta a umiliare la medesima, perché integrante un atteggiamento di disprezzo e quindi ingiurioso, non escluso dal dedotto animo di scherzare, e integrando gli spintonamenti e strattonamenti seguiti, non scriminati, una forma di violenza idonea a integrare le percosse - l'assunto accusatorio in ordine al reato di ingiuria, contestato in concorso a entrambi gli imputati al capo c , era rimasto riscontrato dalla istruzione dibattimentale, poiché la persona offesa aveva confermato che i due imputati avevano cercato di sfilarle i pantaloni mentre era sdraiata a letto tale versione, precisa e dettagliata, non era smentita sotto alcun profilo la tesi difensiva che al fatto erano presenti i compagni di stanza B. e B. e che gli stessi, sentiti dal capitano S., avevano smentito l'episodio, era contraddetta dalla lettura della trascrizione delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa la difesa non poteva fondatamente lamentarsi della mancanza di domande sul punto da parte dei Pubblico Ministero ai predetti testi, che la stessa difesa non aveva inserito nella sua lista per esaminarli sulla circostanza, né aveva proceduto in tal senso in sede di controesame tali rilievi avevano fondato il diniego della richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale per sentire i due testi la condotta ascritta costituiva sen'altro una forma di ingiuria reale, idonea a ledere il decoro della persona offesa attraverso lo svilimento della sua sfera di intimità personale. 4. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione con unico atto, con il ministero dell'avvocato L.T., entrambi gli imputati, che ne chiedono l'annullamento, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , c ed e , cod. proc. pen., per violazione di legge, anche in relazione all'art. 125 cod. proc. pen., e per vizio della motivazione. Secondo i ricorrenti, la Corte militare di appello è incorsa nei vizi denunciati per avere ricostruito i fatti in modo lacunoso e improprio e per avere erroneamente interpretato la legge penale in ordine al momento consumativo del reato di cui al capo c , rendendo una motivazione illogica e apparente. La Corte, in particolare, ad avviso dei ricorrenti, ha utilizzato le dichiarazioni rese dalla persona offesa, che, invece, aveva percepito e riferito in un'ottica distorta i rapporti interpersonali tra i commilitoni, ritenendosi vittima di sistematici abusi e vessazioni perpetrati a suo danno dai compagni di camerata e, tra questi, da parte di essi ricorrenti, e descrivendo un clima vessatorio, non riscontrato, tanto da essere stata emessa pronuncia assolutoria per tutti i capi d'imputazione ad eccezione di quelli oggetto dei ricorso. Era, pertanto, necessario procedere a una prudente valutazione della testimonianza della persona offesa, opportunamente disponendo la rinnovazione della istruttoria sui reati contestati in primo grado, mentre si è addebitato alla difesa il compito di smentire le dichiarazioni della medesima in ordine al reato di cui al capo c , ritenuto provato oltre ogni ragionevole dubbio perché non smentito, senza considerare la presenza di testi al fatto, riferita al capitano S. in sede di indagini dalla stessa persona offesa, che non l'ha menzionata nella sua deposizione dibattimentale, e senza tenere conto delle eccellenti note caratteristiche degli imputati. Né la Corte ha considerato che il comportamento ingiurioso contestato in concorso al capo c sfilamento dei pantaloni e denudamento della persona offesa non si è verificato nella forma integrante la fattispecie contestata, essendo rimasto allo stato del tentativo, con conseguente diversità dei fatto e necessaria rimessione degli atti al primo Giudice. Considerato in diritto 1. I ricorsi, proposti con unico atto, sono infondati in ogni loro deduzione. 2. Le censure svolte attengono al duplice profilo dei difetto motivo della sentenza, integrante anche violazione di legge, con riguardo all'analisi delle risultanze probatorie e, in particolare, al positivo utilizzo delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e alla completezza delle informazioni tratte dai dati processuali/probatori e rappresentate in motivazione, e della violazione di legge quanto alla valutazione giuridica del reato contestato sub c . 3. Quanto al primo profilo, si rileva che la valutazione organica delle risultanze processali, che si assume carente, contraddittoria e illogica, è stata compiutamente condotta dalla Corte militare di appello secondo un iter logico che - sviluppatosi in correlazione con la sentenza di primo grado, confermata quanto all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente A. in ordine al reato di cui al capo a e di entrambi i ricorrenti in ordine al reato ascritto in concorso ai rispettivi capi c - ha fornito, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle emergenze probatorie, una esauriente e persuasiva ricostruzione dei dati fattuali concernenti la vicenda, logicamente dando conto degli itinerari interpretativi percorsi e rappresentando le ragioni significative della decisone adottata a fronte del compiuto vaglio delle deduzioni difensive, fatte oggetto dei motivi di appello, e dell'analisi critica delle diverse conclusioni cui era pervenuto, per alcune delle ipotesi criminose ascritte, il primo Giudice. La Corte, infatti, che ha richiamato le dichiarazioni della persona offesa, condividendone la valorizzazione fatta nella sentenza impugnata circa la riferita sua sottoposizione a opera degli imputati a scherzi di dubbio gusto e angherie , confermata anche dalle deposizioni dei testi B. e B., ha proceduto a specifica e rigorosa analisi della sussistenza dei reati ascritti, residui dopo le intervenute assoluzioni di A. per il reato di cui al capo b , per difetto del carattere ingiurioso della condotta, e di A. e A. per i reati di cui ai rispettivi capi d e b , in mancanza di idonei riscontri alle dichiarazioni della persona offesa. 3.1. In tale analisi, la Corte ha ritenuto non ravvisabile la sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato ad A. al capo a in dipendenza della non inequivoca portata offensiva dell'espressione incriminata, diffusamente ripercorsa, e ha rimarcato la piena integrazione dei reati di ingiuria, come ritenuto in primo grado, con gli episodi, ampiamente provati dalla istruzione dibattimentale, oggetto di contestazione con il congiunto ricorso per cassazione, evidenziando la portata offensiva del decoro della persona offesa della condotta, volta alla. sua umiliazione, di esibizione dei genitali e di invito a toccarli, ascritta ad A., e rappresentando la certa connotazione di ingiuria reale della condotta di entrambi i ricorrenti diretta a sfilare i pantaloni alla persona offesa mentre era sdraiata a letto, in quanto idonea a ledere il decoro della stessa svilendone la sfera di intimità personale. Né la Corte ha prescisso dal confronto con le deduzioni difensive relative all'escluso intento di ingiuriare delle indicate condotte, perché tenute con intento scherzoso, e alla non esaustività del relativo acquisito quadro probatorio, per essere state le dichiarazioni della persona offesa smentite dalle dichiarazioni delle persone presenti ai fatti, cui ha dato adeguate risposte coerenti con ragionevoli argomenti logici e con precise valutazioni delle informazioni disponibili, pervenendo al rilievo, del tutto coerente con il ragionamento probatorio seguito, della confermata esclusione della necessità di rinnovazione della istruzione dibattimentale con l'escussione dei testi B. e B., già oggetto di esame in primo grado. 3.2. In questo contesto, esente da vizi logici giuridici, non possono trovare accoglimento le doglianze dei ricorrenti, che - formulando rilievi oppositivi attraverso la manifestazione di un diffuso dissenso quanto alla interpretazione di alcuni degli elementi utilizzati in sede di merito e alla valutazione delle risultanze da essi tratte, anche in rapporto alla emessa pronuncia assolutoria per alcuni reati - infondatamente deducono una parziale analisi del quadro probatorio e, invadendo il campo della discrezionalità, congruamente esercitata, nelle svolte valutazioni di merito, tendono a impegnare questa Corte in una alternativa, e non consentita in questa sede, ricostruzione in fatto della vicenda, cercando genericamente di accreditarla, in termini a se stessi più favorevole, sulla base di stimate violazioni dei criteri di completezza e logicità degli argomenti trattati e di asserita valorizzazione di alcuni dati e sottovalutazione di affermate, e non dimostrate, incongruenze e contraddizioni. 4. L'infondatezza delle deduzioni difensive è, inoltre, resa evidente, quanto al secondo indicato profilo relativo alla valutazione giuridica del reato contestato sub c , dalla loro incoerenza rispetto alle ragioni della riscontrata configurazione in concreto del reato di ingiuria, correlate dai Giudici del merito, in fatto, alle dichiarazioni di L., persona offesa, alla cui stregua i ricorrenti cercarono di sfilargli i pantaloni mentre si trovava sdraiato a letto, al di fuori di qualsiasi contesto scherzoso che lo vedesse partecipe , e, in diritto, alla carica ingiuriosa di detta condotta volta allo svilimento della sfera di intimità personale della stessa persona offesa, mentre l'obiezione difensiva della diversità del fatto ritenuto, perché integrativo al più di una tentata ingiuria, rispetto a quello contestato sfilamento dei pantaloni e conseguente denudamento , neppure dedotta con i motivi di appello, e quindi preclusa in questa sede, non solo ravvisa un insussistente difetto di correlazione della sentenza all'accusa in mancanza di eterogeneità o incompatibilità sostanziale tra i fatti sfilamento e tentativo di sfilamento dei pantaloni , ma accosta del tutto impropriamente la figura del tentativo al reato ascritto, la cui condotta tipica si è consumata con l'offesa attuata con la condotta descritta e ritenuta. 5. I ricorsi devono essere, pertanto, rigettati. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.