Scritture contabili: per gli organi fallimentari devono essere una lettura facile

Sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non soltanto qualora la ricostruzione del patrimonio sia impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 37436, depositata il 10 settembre 2014. Il caso. Il socio accomandatario, illimitatamente responsabile, di una società fallita veniva condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta, con l’accusa di aver tenuto i libri e le scritture contabili della società in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione del proprio diritto alla difesa il capo di imputazione era connotato, a suo giudizio, da genericità, non essendo possibile comprendere se l’accusa riguardasse l’impossibilità, per effetto delle modalità di tenuta delle scritture contabili, di ricostruzione del patrimonio oppure del movimento degli affari dell’impresa. Queste, infatti, sarebbero nozioni non sovrapponibili. Non erano neanche indicati i libri o i documenti non correttamente tenuti, oltre agli aspetti ed ai periodi. Ciò che conta è la protezione dei creditori. Per la Corte di Cassazione, la disgiuntiva o”, indicando che la tenuta delle scritture, per concretizzare il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, deve avvenire con modalità tali da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell’impresa, piuttosto che del movimento degli affari, non traccia una linea netta di demarcazione tra i due concetti, ma mira a rendere evidente che il reato sussiste quando viene leso il diritto dei creditori alla conoscenza di tutti gli elementi necessari per il potenziale soddisfacimento delle loro ragioni. Non è richiesto, poi, che si agisca con l’intento di arrecare un pregiudizio effettivo ai creditori come è invece necessario per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture , ma serve solo la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio. Infatti, la locuzione in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari connota la condotta e non la volontà dell’agente, per cui è da escludere che essa configuri il dolo specifico. All’imputato veniva quindi contestato che le modalità di tenuta dei libri, sia quelli previsti dalla legge che quelli non obbligatori, avevano pregiudicato la possibilità di far emergere un chiaro quadro delle reali attività e passività. Difficoltà. I giudici di legittimità richiamavano anche la loro precedente pronuncia n. 21588/2010, in cui era stato affermato che sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non soltanto qualora la ricostruzione del patrimonio sia impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. Perciò, era ben comprensibile l’accusa mossa, che non richiedeva, per essere immediatamente comprensibile, di specificare già in rubrica quali scritture fossero state rinvenute e quali no, o quali ancora si fossero rivelate lacunose. Ciò era emerso anche dalle stesse allegazioni difensive. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 giugno – 10 settembre 2014, n. 37436 Presidente Lombardi – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di C.G. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei confronti del suo assistito dal Tribunale di Lodi in data 19/06/2008 l'imputato risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, per avere tenuto i libri e le scritture contabili della Mediacom s.a.s. di cui era socio accomandatario illimitatamente responsabile, con dichiarazione di fallimento intervenuta il omissis in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Con l'odierno ricorso, la difesa lamenta 1. inosservanza ed erronea applicazione di legge processuale, anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. . Il difensore del C. rappresenta che il capo d'imputazione appare connotato da genericità, visto che non è possibile evincerne se l'accusa riguardi la presunta impossibilità - per effetto delle modalità di tenuta delle scritture contabili - di ricostruzione del patrimonio ovvero del movimento degli affari dell'impresa, nozioni non sovrapponibili, né risultandovi indicato quali libri o documenti sarebbero stati non correttamente tenuti, sotto quali aspetti e per quali periodi. Elementi, questi, di particolare significatività nel caso di specie, visto che nella Mediacom vi erano stati passaggi di quote ed il C. non era più né socio né amministratore all'atto del fallimento, e non gli era stata mai contestata la qualità di amministratore di fatto. La difesa rileva che la Corte territoriale - per disattendere l'identica questione, già sollevata con i motivi di appello - avrebbe fatto ricorso ad affermazioni apodittiche, limitandosi a segnalare che l'addebito era descritto in termini tali da consentire all'imputato di comprendere il contenuto della contestazione e di apprestare la relativa difesa. 2. manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata. La difesa rileva che, secondo la Corte milanese, la responsabilità del C. dovrebbe fondarsi sulla circostanza che egli - pur avendo messo a disposizione della curatela il libro giornale ed i registri degli acquisti e delle fatture emesse aggiornati al 31/12/2002, quando risultava la cessione delle sue quote ad altro soggetto nel dicembre dell'anno successivo - non avrebbe comunque fornito i documenti bancari, le fatture concernenti gli acquisti e le vendite antecedenti al 2002 ed i partitari di clienti e fornitori con la conclusione che il ricorrente, già socio accomandatario, avrebbe omesso di tenere la contabilità e di aggiornare i libri e le scritture non solo fino alla cessione delle quote, ma anche nel periodo precedente”. Così argomentando, tuttavia, i giudici di appello avrebbero da un lato eluso l'obbligo di motivare sotto quali profili la documentazione richiamata non avrebbe consentito di ricostruire il patrimonio e/o la gestione degli affari della società, e dall'altro esposto indifferentemente la tesi che gli atti de quibus sarebbero stati piuttosto che non correttamente tenuti, come evocato in rubrica non tenuti affatto. 3. violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e difetto di motivazione della sentenza impugnata . Stando alla ricostruzione offerta dalla difesa, l'affermazione secondo cui le scritture sopra indicate non vennero rinvenute dagli organi della procedura concorsuale risulta smentita dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale, essendo emerso - in particolare, dall'esame del curatore, di cui vengono riprodotti alcuni passaggi nel corpo del ricorso - che in occasione di incontri avuti con il C. e con l'amministratore a lui subentrato erano state acquisite fatture degli acquisti della Mediacom per gli anni 1991, 1992, 1993, 1994, 1995, 1997, 1999 e 2000 era stato altresì chiarito che il libro giornale e quello dei beni ammortizzabili dovevano ritenersi giacenti presso l'Ufficio delle imposte di Codogno, a seguito di una istanza dell'Agenzia delle entrate che - per quanto riferita alla necessità di compiere accertamenti sull'annualità 1996 - era intervenuta nel maggio 2001. 4. inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 41 e 42 cod. pen., anche in relazione ai principi dettati dall'art. 27 Cost. in tema di onere probatorio . I giudici di merito non avrebbero in alcun modo affrontato il problema della necessità di dimostrare in che termini l'indisponibilità dei documenti ritenuti mancanti abbia prodotto con certezza il risultato di una impossibilità di ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della Mediacom affermazione, questa, mai formalizzata dal curatore in punto di elemento soggettivo, si sarebbero limitati a ricordare che per la sussistenza del delitto di bancarotta documentale è sufficiente il dolo generico. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. Quanto alla presunta genericità del capo d'imputazione, vero è che si contesta al C. una condotta coincidente con la formula normativa, ma nel caso di specie non è possibile ritenere che ciò comporti violazione del diritto di difesa. La disgiuntiva o nell'indicare che la tenuta delle scritture, per concretizzare il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, deve avvenire con modalità tali da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell'impresa, piuttosto che del movimento degli affari, non vale a tracciare una netta linea di demarcazione fra i due concetti, quanto invece a rendere evidente che il reato sussiste quando viene leso il diritto dei creditori alla conoscenza di tutti gli elementi necessari per il potenziale soddisfacimento delle loro ragioni ciò senza che si richieda, peraltro, che la condotta sia animata dall'intento di arrecare un effettivo pregiudizio ai creditori medesimi previsto solo per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture , ma più semplicemente la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari connota la condotta e non la volontà dell'agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo specifico” Cass., Sez. V, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv 247444 . In concreto, perciò, all'imputato veniva contestato che le modalità di tenuta dei libri da intendere ovviamente tutti, sia quelli previsti dalla legge che quelli non obbligatori, ivi compresi i registri non tenuti affatto o solo parzialmente, ovvero non aggiornati avevano pregiudicato la possibilità di far emergere un chiaro quadro delle reali attività e passività dovendosi tener presente, a tal fine, che secondo la giurisprudenza di questa Corte sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza” Cass., Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv 247965 . Di una accusa siffatta, che non richiedeva certamente - per essere immediatamente comprensibile - di specificare già in rubrica quali scritture fossero state rinvenute e quali no, o quali ancora si fossero rivelate lacunose, è agevole individuare i termini oggettivi termini che del resto il C. aveva ben compreso, come si evince dalle stesse allegazioni difensive. A fronte del richiamato assunto accusatorio, nel corso del giudizio {ergo nel momento della prova del fatto, non già della enunciazione di un addebito ex se chiaro era infatti emerso che di documentazione se ne era rinvenuta solo in parte, e non più aggiornata da circa un anno prima della cessione delle quote dal C. ad altri, con contestuale dismissione della veste di amministratore. È nel ricorso, infatti, che si ricorda come il curatore avesse ricevuto il libro giornale, il libro Iva degli acquisti ed il libro delle fatture emesse, tutti senza annotazioni di sorta per il 2003, ma non la documentazione bancaria, non le fatture degli acquisti e delle vendite degli anni precedenti il 2002 salvo averne poi trovate alcune più tardi, ma non di relative al 1996 od al 1998 , non i partitari di clienti e fornitori. È ancora dal contenuto del ricorso che si comprende come il curatore non avesse avuto modo di esaminare il libro dei beni ammortizzabili, secondo la difesa richiesto dall'Agenzia delle entrate nel 2001 per accertamenti concernenti il 1996 peraltro, nel ricorso medesimo si ricorda che con la stessa istanza l'Agenzia delle entrate mirava anche a compiere verifiche sul libro giornale, già segnalato in precedenza come consegnato - aggiornato solo fino al dicembre 2002 - al curatore, mentre nei motivi di appello era stato sottolineato che l'attenzione del Tribunale di Lodi si era incentrata sulla mancata consegna alla curatela del libro dei beni ammortizzabili e del libro degli inventari, a questo punto da ritenere pacificamente non rinvenuto. In definitiva, i giudici di merito risultano essersi trovati dinanzi ad una contabilità effettiva dove anche ipotizzando che un completo ed attendibile registro dei beni ammortizzabili fosse rimasto presso uffici pubblici - non vi erano scritture di sorta per il 2003, neppure nel libro giornale, con il C. rimasto socio accomandatario fino al 22 dicembre di quell'anno - erano state rinvenute, solo in un secondo momento, alcune fatture degli anni pregressi nessuna per il 1996 ed il 1998 - non vi era traccia del libro degli inventari, né di partitari. In tale contesto, è del tutto logica e conseguente l'osservazione della Corte di appello secondo cui le rilevate omissioni soprattutto in quanto afferenti la documentazione che avrebbe dovuto far emergere la reale consistenza dei rapporti con clienti e fornitori avevano certamente precluso la possibilità di conoscere le effettive vicende della gestione” osservazione che trovava un ulteriore dato di supporto probatorio, anche in punto di dolo, nella presa d'atto di una repentina cessione delle quote in epoca prossima al fallimento”. 2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del C. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.