Il sequestro dei beni non sempre è giustificato

La recente pronuncia n. 34211/2014 affronta il caso di una società, priva di iscrizione nell'albo dei consulenti del lavoro, impegnata abusivamente in attività proprie della consulenza.

Non solo intermediazione per lavoro domestico emergono altre attività. Al centro del caso esaminato il reato di cui all'art. 348 c.p. alcune società avevano abusivamente esercitato la professione di consulente del lavoro, per la quale - come è noto - si richiede ai sensi dell'art. 1, comma 1, legge n. 12/1979 una specifica abilitazione. Si era accertato nei fatti che la società, autorizzata alla mera intermediazione e selezione del personale colf e badanti in primis , curava in realtà anche delle altre attività riservate ai soli soggetti abilitati consistenti in redazione dei contratti di assunzione, redazione buste-paga, compilazione cedolini INPS, gestione della chiusura dei rapporti. Dalle fatture esaminate dalla P.G. risultava che parte del compenso dovuto dai clienti era relativo alla attività di consulenza. Da qui il sequestro preventivo nei confronti delle società, senza che il riesame mischiasse la soluzione il Tribunale valutava negativamente le argomentazioni difensive che intendevano sostenere la mera accessorietà delle attività di consulenza rispetto alla attività principale poiché, secondo un parere del Ministero del lavoro, la attività relative al lavoro domestico non richiederebbe la qualifica di consulente del lavoro. Presumibile ipotizzare la regolarizzazione nel mentre. La Suprema Corte rileva l’assenza, in sede di merito, di una dovuta valutazione della sussistenza di un effettivo attuale pericolo di prosecuzione del reato e/o commissione di nuovi reati con i beni oggetto di sequestro e per la mancata doverosa valutazione di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata. La principale condizione per il sequestro è che vi sia una ragionevole certezza di prosecuzione del medesimo reato o di commissione di ulteriori reati laddove i beni di cui si intende disporre il sequestro restino in disponibilità della parte. Nel caso esaminato non era possibile disporre e mantenere il sequestro senza avere accertato la sussistenza di un effettivo pericolo di prosecuzione della attività illecita. Al di là della fondatezza del presupposto di ritenere l'attività irregolare pregressa più ampia di quella invece regolare, non si indica alcun elemento concreto per ritenere tale rischio laddove, proprio per la accertata normalità insita nelle attività dei ricorrenti, dopo il richiamo dovuto alla attività dell'Ispettorato del Lavoro su Iniziativa dell'Ordine dei consulenti del Lavoro e senza altri elementi, è invece ragionevole ipotizzare che sia intervenuta la regolarizzazione della attività. fonte lavoropiù

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 luglio – 1 agosto 2014, n. 34211 Presidente Di Virginio – Relatore Di Stefano Considerato in fatto 1. La Procura della Repubblica di Bologna procede nel confronti di M.G., S.D. ed E.A. per il reato di cui all'art. 348 cod. pen. per avere costoro, utilizzando tre società, abusivamente esercitato la professione di consulente del lavoro per la quale è richiesta al sensi dell'art. 1 comma 1° legge 12/1979 una specifica abilitazione. 2. Nella prima parte delle indagini si accertava, a seguito di segnalazione dell'Ordine dei consulenti del lavoro, che la società Q. srl, autorizzata alla intermediazione e selezione del personale, attività che in concreto esercitava nell'ambito del collocamento di collaboratrici domestiche e badanti, curava in realtà anche delle attività ulteriori consistenti in - redazione dei contratti di assunzione, - redazione buste-paga, - compilazione cedolini Inps, - gestione della chiusura dei rapporti. 3. Tali attività rientravano in quelle riservate ai soggetti con abilitazione quali consulenti del lavoro. Tale qualità, invero, era rivestita da E.A. che, però, non gestiva personalmente le attività delle società laddove tipiche della consulenza del lavoro. 4. Il Tribunale chiariva che le attività svolte non erano sempre limitate a quelle conseguenti alla fase di scelta del lavoratore poiché dalle dichiarazioni di alcuni clienti era risultato come gli stessi si fossero rivolti alla società direttamente per attività di consulenza del lavoro, redazione buste paga e simili, interloquendo sempre e solo con impiegati e non con un consulente del lavoro. 5. Peraltro dalle stesse fatture esaminate dalla polizia giudiziaria risultava che parte del compenso dovuto dai clienti era relativo alla attività di consulenza. 6. Dopo un primo sequestro preventivo della società C. srl, il gip di Bologna procedeva all'ulteriore sequestro oggetto del presente procedimento disponeva, infatti, Il sequestro preventivo delle società C. ceoop e M. società cooperativa, con relativo sequestro di quote dei beni sociali ed altro nonché delle quote della prima società, C. srl. giustificava tale provvedimento in quanto era risultato che l'attività in questione era stata svolta, oltre che con la prima società già sequestrata, anche con le altre due, con le quali le attività erano sostanzialmente indistinte e, del resto, svolte secondo una comune organizzazione. 7. Il Tribunale del Riesame di Bologna, con ordinanza oggi impugnata, rigettava la richiesta di riesame proposta da M.G. e S.D. confermando la sussistenza delle condizioni ritenute dal primo giudice. 8. Il Tribunale valutava negativamente le argomentazioni difensive che intendevano sostenere la mera accessorietà delle attività di consulenza rispetto alla attività principale poiché, secondo un parere del Ministero del lavoro, la attività relative al lavoro domestico non richiederebbe la qualifica di consulente del lavoro. Inoltre valutava negativamente, allo stato, anche il presunto impegno delle società a modificare il loro tipo di attività al fine di farla rientrare nell'ambito di quella autorizzata. 9. Il sequestro era quindi confermato ravvisandosi il pericolo della prosecuzione dell'esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro. 10. Il difensore di fiducia comune ha proposto un unico ricorso nell'interesse di M. e S. 11. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 321 cod. proc. pen, per insussistenza dei presupposti di applicabilità del sequestro preventivo. Rileva che il provvedimento impugnato non individua affatto il pericolo concreto richiesto dalla norma per giustificare il sequestro preventivo. Con la documentazione presentata in sede di riesame, i ricorrenti avevano dimostrato, difatti, che già prima dell'intervento del sequestro erano state apportate radicali modifiche dell'attività svolta ed erano stati stipulati dei contratti che escludevano in radice la stessa possibilità di perpetrare il reato di esercizio abusivo della professione ciò perché, con il nuovo assetto, i rapporti possono essere solo diretti tra il consulente del lavoro ed il cliente. 12. Con secondo motivo deduce la violazione di legge per la omessa motivazione in relazione al rilievo della violazione dell'articolo 275 cod. proc. pen. attesa la evidente sproporzione tra la misura cautelare ed il fatto contestato agli indagati. 13. Con terzo motivo deduce la violazione dell’articolo 348 cod. pen. non essendovi affatto una competenza esclusiva dei consulenti del lavoro per le attività contestate laddove riguardino esclusivamente l'ambito del lavoro domestico. 14. Ciò risulta dal parere citato del Ministero del Lavoro e dalla legge regionale 17/05 che autorizza la Società Q. alla intermediazione, ampio ambito di attività che non si limita a far conoscere le parti ma comprende anche l’effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito dell'attività di intermediazione . Il Tribunale invece, confonde tra le società di intermediazione e le società di ricerca e selezione del personale. 15. Svolge poi altre considerazioni riferibili al lavoro domestico, unica attività gestita dalla società C. Per II quale non vi sono gli obblighi di prospetto paga, diverse sono le modalità di trattamento assistenziale ed altro. 16. Con quarto motivo deduce la violazione di legge laddove si è ritenuto che la redazione di cedolini paga sia attività di competenza esclusiva dei consulenti del lavoro. Le società in sequestro sono centri di elaborazione dati ai sensi dell’articolo 1 legge 12/79 il mero sviluppo del calcolo e della stampa dei cedolini paga, inteso come attività strumentale realizzata con strumentazione informatica, può essere oggetto dell'attività dì impresa svolta dai predetti CED. 17. Con quinto motivo rileva violazione di legge laddove si è ritenuto che l’attività tipica del professionista non possa essere svolta da soggetti dipendenti dalla struttura societaria in cui è organizzato lo studio professionale. Questo esclude che vi sia stata attività svolta in modo autonomo dagli addetti privi della qualifica di consulente. 18. La difesa ha poi presentato una memoria con un parere allegato in ordine a quale sia l'ambito di attività dei soggetti autorizzati alla intermediazione rispetto a quello dei consulenti del lavoro. Ritenuto in diritto 19. Il ricorso è fondato. 20. In particolare sono fondati i primi due motivi, da valutarsi unitamente dovendosi pervenire, come si vedrà, ad una decisione di annullamento senza rinvio, con conseguente annullamento del sequestro, per la assenza di valutazione della sussistenza di un effettivo attuale pericolo di prosecuzione del reato e/o commissione di nuovi reati con i beni oggetto di sequestro e per la mancata doverosa valutazione di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata rispetto ad una situazione nella quale risulta dallo stesso provvedimento impugnato che le società esercevano attività regolari, solo in parte debordando, asseritamente, nell'area di attività consentite al soli consulenti del lavoro. 21. Il Tribunale parte sostanzialmente dall'assunto, corretto in sé, della sufficienza di un fumus commissi delicti al fine della applicazione del sequestro preventivo. Ma non tiene conto che la ragione per la quale l'art. 321 cod. proc. pen. quanto alla ipotesi di cui al primo comma richiede solo un minimo livello di dimostrazione della commissione del fatto deriva dall'avere la norma di mira essenzialmente la pericolosità della cosa. 22. La principale condizione per il sequestro è, quindi, che vi sia una ragionevole certezza di prosecuzione del medesimo reato o di commissione di ulteriori reati laddove I beni di cui si intende disporre II sequestro restino in disponibilità della parte condizione ancora più evidente laddove il settimo comma dell’art. 321 cod. proc. pen. prevede che per le cose soggette a confisca obbligatoria riferimento utile ad Individuare in termini generali quelle cose che, per il pericolo insito nella loro libera circolazione, sono sottoposte alla misura di sicurezza obbligatoria indipendentemente dalla concreta punibilità del reato commesso, quali le armi, i prodotti con marchio contraffatto etc addirittura non sia consentita la restituzione neanche In caso di illegittimità del provvedimento di sequestro. 23. Quindi, in un caso quale quello in esame, non era possibile disporre e mantenere il sequestro senza avere accertato la sussistenza di un concreto e serio pericolo di prosecuzione della attività illecita, tanto più che, si legge, non si trattava del primo sequestro ma della estensione del sequestro che aveva riguardato la attività della C., estensione disposta proprio quando le parti avevano, invece, offerto elementi significativi per garantire il futuro rispetto dei limiti della attività aziendale autorizzata o, comunque, lo svolgimento delle date attività aggiuntive solo con la gestione diretta di consulenti del lavoro. 24. Il Tribunale, invece, previa conferma della sussistenza di una condotta integrante il reato ascritto nel tipo di attività che era svolta dalla C. e dalle due società collegate invero sembra che comprenda, tra le attività irregolari, anche quelle che, invece, potevano essere svolte consistendo nella effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito dell'attività di intermediazione afferma la probabile prosecuzione delle attività irregolari, pur nella consapevolezza che non sono l'unica attività dei ricorrenti, senza spiegarne iI perché. Difatti, con motivazione solo apparente, si limita a ritenere che anche le modifiche organizzative non possano garantire la regolare futura gestione dei rapporti. 25. Al di là della fondatezza o meno del presupposto di ritenere la attività Irregolare pregressa più ampia di quella invece regolare dato che non si evince dal provvedimento impugnato, pur se significativo al fine della valutazione di pericolosità , non si indica alcun elemento concreto per ritenere tale rischio laddove, proprio per la accertata normalità In sé della attività dei ricorrenti, dopo il richiamo dovuto alla attività dell'Ispettorato del Lavoro su Iniziativa dell'Ordine dei consulenti del Lavoro e senza altri elementi, è Invece ragionevole Ipotizzare che sia intervenuta la regolarizzazione della attività. E, in ogni caso, vigendo anche per le misure cautelari reali il principio di adeguatezza e proporzionalità di cui all'art. 275 cod. proc. pen. i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall'art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti cautelari. Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013 - dep. 20/02/2013, Caruso, Rv. 254712 , manca del tutto la necessaria valutazione ed attestazione della adeguatezza di una misura così estrema rispetto ad una attività aziendale che di base è regolare o, comunque, senza individuare una tale ampiezza di quella svolta Irregolarmente che possa giustificare un provvedimento di sequestro totale con conseguente inibizione anche delle attività lecite. 26. La completezza del provvedimento impugnato nel riferire le condizioni del fatto consente di ritenere la attuale insussistenza di rilevanti esigenze cautelari che non potrebbero essere individuate neanche in un eventuale giudizio di rinvio. Pertanto va disposto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e dell'originario decreto di sequestro con conseguente annullamento del sequestro e restituzione dei beni. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il provvedimento di sequestro del gip di Bologna e dispone la restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro.