La “consumazione” del reato scatta con la refurtiva in mano

In materia di furto, sia il criterio spaziale che quello temporale, oltre alla durata del possesso dell’agente, sono irrilevanti. Per l’impossessamento, che determina il momento consumativo del reato, è sufficiente che l’agente consegua la disponibilità materiale della cosa.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 36450, depositata il 1° settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Milano condannava una donna per il reato di furto aggravato. L’imputata ricorreva in Cassazione, contestando la mancata configurazione del fatto come furto tentato, invece che consumato infatti, a suo giudizio non si era verificato un effettivo impossessamento dei beni sottratti, in quanto la donna era rimasta nell’abitazione fino all’arrivo dei carabinieri. Di conseguenza, gli oggetti rubati erano rimasti sempre nella sfera di vigilanza del derubato. Intervento del derubato. Tuttavia, questa tesi non convince la Corte di Cassazione, secondo cui l’impossessamento si verifica anche quando il ladro rimane sotto la sorveglianza del derubato, se quest’ultimo è costretto ad esercitare violenza o pressione sul reo per recuperare la refurtiva. Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, dove la persona offesa aveva dovuto chiamare le forze dell’ordine. Impossessamento. La Corte sottolinea anche un altro aspetto in materia di furto, sia il criterio spaziale che quello temporale, oltre alla durata del possesso dell’agente, sono irrilevanti. Per l’impossessamento, che determina il momento consumativo del reato, è sufficiente che l’agente consegua la disponibilità materiale della cosa. Di conseguenza, è irrilevante che il ladro sia costretto ad abbandonare gli oggetti subito dopo la sottrazione, se ciò dipende dall’intervento aleatorio di un terzo estraneo. Questo è quanto accaduto nel caso di specie, in cui la ricorrente aveva dovuto riconsegnare la refurtiva per l’intervento dei carabinieri. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 15 maggio – 1° settembre 2014, n. 36450 Presidente Zecca – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto B.D. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal GIP del Tribunale di Sondrio in data 5.03.2008 in ordine al delitto di furto aggravato capo a ed al reato di cui all'art. 707 cod. pen. capo b ha dichiarato quest'ultimo estinto per prescrizione ed ha rideterminato la pena per il primo. Con un unico motivo si denuncia violazione di legge dell'art. 125 c.p.p. e degli artt. 56/624 cod. nonché vizio di motivazione, con riferimento alla mancata valutazione di elementi probatori che imponevano la configurazione del fatto nel paradigma del delitto di furto tentato e non consumato, atteso che non si è verificato un effettivo impossessamento dei beni sottratti, essendo l'imputata rimasta all'interno dell'abitazione fino all'arrivo dei carabinieri e, pertanto, gli oggetti sottratti sono rimasti nella sfera di vigilanza del derubato. Ritenuto in fatto Il motivo esposto è infondato e determina il rigetto del ricorso. La motivazione della sentenza impugnata sul punto oggetto della censura è, in diritto, condivisibile essendo stato affermato che l'impossessamento si verifica anche quando, pur rimanendo il ladro sotto la sorveglianza del derubato, quest'ultimo è costretto ad esercitare violenza o pressione sull'autore del furto al fine del recupero della refurtiva, come è avvenuto nel caso di specie essendo stato costretta la persona offesa a chiedere l'intervento delle forze dell'ordine. Questa Corte ha affermato, infatti, che in tema di furto sono irrilevanti sia il criterio spaziale e quello temporale, sia la durata del possesso dell'agente. Ai fini della determinazione dell'impossessamento, che segna il momento consumativo del reato, è sufficiente, infatti, che l'agente consegua la disponibilità materiale della cosa Conf. Sez. V, n. 1756, 27 ottobre 1992, De Simone . E non rileva, a tal fine, il fatto che l'agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva, immediatamente dopo la sottrazione, per l'intervento del tutto aleatorio di un terzo estraneo alla sfera di vigilanza del possessore derubato, come è avvenuto, per il caso sottoposto all'esame del Collegio, laddove l'imputata è stata costretta a riconsegnare la refurtiva cellulare, orologio d'oro, ed altri ori per l'intervento dei carabinieri che la traevano in arresto. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.