Della gestione non autorizzata dei rifiuti risponde anche il gestore di fatto

Il reato di attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione è un reato comune che può essere, pertanto, commesso anche da chi svolge attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa.

E’ stato così affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 34087, depositata il 1 agosto 2014. Il caso. Il Tribunale di Avellino dichiarava colpevoli di una serie di violazioni della normativa ambientale gli imputati, per aver scaricato acque reflue industriali nel suolo, in assenza di autorizzazione per aver effettuato attività di recupero e smaltimento di rifiuti speciali in assenza di autorizzazione, comunicazione ed iscrizione per aver depositato in modo incontrollato sul suolo rifiuti speciali ed infine per aver installato ed esercitato uno stabilimento per l’attività di lavorazione della pietra in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera. I soccombenti proponevano allora ricorso per cassazione, censurando l’impugnata sentenza per aver il giudice ritenuto responsabile uno degli imputati in quanto gestori di fatto dell’attività, mentre secondo la difesa l’uomo non aveva nessun ruolo gestionale in seno all’attività dell’altra ricorrente, ossia della madre, avendo assunto il ruolo di mero custode del capannone industriale. E’ responsabile anche il gestore di fatto. La Cassazione ricorda che il reato di attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione, non ha natura di reato proprio integrabile soltanto da soggetti esercenti professionalmente un’attività di gestione dei rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato comune che può essere pertanto commesso anche da chi svolge attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa Cass., n. 29077/2013 . Sicchè il motivo di ricorso è infondato, in quanto il ruolo di gestore di fatto era stato desunto dalla presenza dell’imputato all’atto del sopralluogo dei verbalizzanti e per l’aver coadiuvato i militari del comando tutela ambiente nel corso delle operazioni. La Corte di Cassazione dichiara infondato il suddetto motivo di ricorso, accoglie la doglianza limitatamente al reato di cui agli artt. 269 e 279 d.l. n. 152/2006, annulla quindi con rinvio al Tribunale, al fine di fornire adeguata motivazione in ordine alla concreta produzione delle emissioni da parte dell’impianto in questione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 giugno – 1 agosto 2014, n. 34087 Presidente Fiale – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. G.M.L. e P.A. hanno proposto ricorso, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza del tribunale di AVELLINO, emessa in data 1/02/2013, depositata in data 1/03/2013, con cui gli stessi venivano dichiarati colpevoli di una serie di violazioni alla normativa ambientale, in particolare a dei reato di cui agli artt. 110 c.p. e 137 d.lgs. n. 152/2006 per aver scaricato acque reflue industriali sul suolo, in assenza di autorizzazione b del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 256, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 per aver effettuato attività di recupero/smaltimento di rifiuti speciali costituiti da imballai di carta e cartone, imballaggi in ferro e fanghi di sedimentazione di acque reflue industriali derivanti da attività di taglio dei materiali lapidei, in assenza di autorizzazione, comunicazione ed iscrizione c del reato di cui agli artt. 110 c.p., 256, comma 2, in relazione all'art. 192, comma 2, d.lgs. n. 152/2006 per aver depositato in modo incontrollato sul suolo rifiuti speciali costituiti principalmente da imballaggi in plastica e materiale ferroso visibilmente arrugginito d del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 279, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 per avere installato ed esercitato uno stabilimento per l'attività di lavorazione della pietra in genere, pavimenti in marmo, ceramica, cotto ed altri materiali per l'edilizia, in assenza della prescritta autorizzazione alle emissioni in atmosfera . Fatti tutti accertati in data 21 dicembre 2010. 2. Con il ricorso, proposto dal difensore - procuratore speciale dei ricorrenti, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e c.p.p., in relazione alla ritenuta responsabilità dei ricorrente P. per tutti i reati ascritti. La censura investe l'impugnata sentenza per aver il giudice ritenuto il ricorrente responsabile dei predetti reati in quanto gestore di fatto dell'attività, gestione che il giudice farebbe discendere dalla circostanza di essere stato presente al momento dell'accesso dei militari operanti e per aver assistito gli stessi durante le successive operazioni diversamente, si sostiene in ricorso, questi non avrebbe alcun ruolo gestionale in seno all'attività della madre la ricorrente G. , avendo in realtà solo accettato l'incarico di custode al momento dei sequestro dei capannone industriale. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b c.p.p., in relazione alla ritenuta responsabilità della ricorrente G. per tutti i reati ascritti, denunciando l'erronea applicazione della legge penale La censura investe l'impugnata sentenza per aver il giudice ritenuto la ricorrente responsabile dei predetti reati nonostante la particolare tipologia dei ciclo produttivo aziendale, dettagliatamente descritto in ricorso, e relativo all'attività svolta dalla CE. MAR s.r.l. esercente attività di taglio e lavorazione di gres porcellanato mediante il taglio per ottenere le diverse forme geometriche necessarie per la messa in opera in cantiere , che escludeva - quanto ai reati sub a , b e c - la necessità di autorizzazioni diverse da quella relativa allo smaltimento dei fanghi, regolarmente detenuta dalla società quanto alla produzione degli imballaggi in carta e cartone, era necessario il solo deposito per la conseguente raccolta differenziata realizzata attraverso il deposito in apposito cassone che veniva ritirato da ditta specializzata infine, quanto al reato sub d , l'esclusione della necessità dell'autorizzazione, discenderebbe da una relazione che la ricorrente evidenzia essere stata allegata all'istanza di dissequestro dell'opificio, in quanto per il tipo di lavorazione non avveniva alcuna emissione in atmosfera di polveri od altro il taglio dei gres avveniva in vasche colme di acqua, con la conseguente insussistente immissione di polvere nell'atmosfera . Considerato in diritto 3. Il ricorso dev'essere parzialmente accolto per le ragioni di cui si dirà oltre. 4. Ed invero, quanto al primo motivo riguardante il P., la sentenza motiva sulla responsabilità del ricorrente individuandolo come gestore di fatto dell'azienda, in particolare desumendo tale ruolo gestionale da due elementi 1 la presenza all'atto dei sopralluogo dei verbalizzanti 2 l'aver questi coadiuvato i militari dei comando tutela ambiente dell'Arma dei Carabinieri nel corso delle operazioni. Nel ricorso, peraltro, si riconosce, quale ulteriore elemento, la circostanza che questi ha sottoscritto il verbale di sequestro, accettando la carica di custode, in quanto figlio della ricorrente G Con il motivo vengono, all'evidenza, dedotte censure in fatto , in quanto le doglianze difensive si risolvono nella manifestazione di un dissenso sul risultato della valutazione della prova operata, dal giudice di merito, così pertanto finendosi per richiedere a questa Corte di operare un sindacato sulla valutazione discrezionale, in fatto, operata dal tribunale, scevra tuttavia da illogicità evidenti. Sul punto, non va dimenticato che gli accertamenti giudizio ricostruttivo dei fatti e gli apprezzamenti giudizio valutativo dei fatti cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto - come nella fattispecie concreta che ci occupa - da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., non rientrano, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione a quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali b la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni c l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali v., ad esempio Sez. 2, n. 20806 dei 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 250362 . 4.1. Quanto, ancora, alla attribuibilità dei reati ascritti al gestore di fatto , trattandosi di reati comuni, è sufficiente richiamare in questa sede quanto già affermato da questa Corte in precedenti occasioni. Ed infatti, è ad esempio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il reato di attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione, non ha natura di reato proprio integrabile soltanto da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione di rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato comune che può essere pertanto commesso anche da chi svolge attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa Sez. 3, n. 29077 del 04/06/2013 - dep. 09/07/2013, Ruggeri e altro, Rv. 256737 analogamente, si è affermato che rispondono dei reati previsti in materia di tutela penale delle acque tutti i soggetti che di fatto esercitano funzioni di amministrazione e di gestione dell'insediamento dal quale originano i reflui, senza che tale responsabilità assuma carattere oggettivo ed automatico, ma a titolo di colpa, intesa in senso ampio, ovvero conseguente non soltanto a comportamenti commissivi, ma anche per inosservanza del dovere di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione dei danno da inquinamento Sez. 3, n. 20512 del 10/05/2005 - dep. 01/06/2005, Bonarrigo, Rv. 231654 . Ne discende, pertanto, l'infondatezza del motivo proposto nell'interesse del P., salvo, per quanto si dirà oltre, con riferimento alla violazione dell'art. 279, d.lgs. n. 152/2006. 5. Non miglior sorte merita il ricorso proposto nell'interesse della G Ed infatti, la sentenza chiarisce come le violazioni contestate fossero assistite, quanto alla prova oggettiva e soggettiva della loro sussistenza, da elementi assolutamente incontrovertibili. AI pari di quanto già rilevato a proposito del primo motivo, anche per il secondo, le deduzioni difensive si pongono al limite dell'inammissibilità, in quanto con le stesse vengono sollevate censure in fatto , in quanto tali, come detto, non sottoponibili al sindacato di questa Corte. 6. Fondata, invece, è la doglianza, sostanzialmente comune ad entrambi i ricorrenti, relativa all'affermazione di responsabilità di entrambi con riferimento al reato di cui all'art. 279, d.lgs. n. 152/2006. Ed invero, sul punto, emerge dagli atti che il GIP presso il tribunale di Avellino, nell'accogliere l'istanza di dissequestro dell'impianto con ordinanza 15 gennaio 2011, ebbe a motivare l'accoglimento parziale precisando, quanto alla normativa in tema di emissioni in atmosfera, essersi al cospetto di un'attività produttiva di emissioni scarsamente significative, sottratta, in quanto tale, all'obbligo della preventiva autorizzazione alle emissioni in atmosfera. L'impugnata sentenza, tuttavia, sul punto, contiene una motivazione apparente, limitandosi il giudice ad affermare tautologicamente che gli imputati esercitavano l'attività di lavorazione della pietra, la quale comporta emissioni atmosfera, in assenza della prescritta autorizzazione . Orbene, al di là dell'estrema sintesi della motivazione sul punto che non prende in esame la possibile sussumibilità dell'attività svolta tra quelle ad inquinamento atmosferico poco significativo ex d.P.R. n. 175/1991, difetta, in ogni caso - alla luce dei ciclo di lavorazione descritto -, la prova della concreta produzione emissiva, questione essenziale su cui la motivazione tace. Come, infatti, precisato in precedenza da questa Corte, l'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 279, D.Lgs. n. 152 del 2006, per l'emissione in atmosfera di sostanze pericolose e non in assenza di autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle emissioni da parte dell'impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti Sez. 3, n. 5347 del 12/01/2011 - dep. 14/02/2011, Izzo, Rv. 249568 . 7. L'impugnata sentenza dev'essere, pertanto, annullata con rinvio ad altro giudice del tribunale di Avellino, al fine di fornire adeguata motivazione in ordine alla concreta produzione delle emissioni da parte dell'impianto in questione, condicio sine qua non della configurabilità dell'illecito di cui al richiamato art. 279 TUA. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui agli artt. 269 e 279, d.lgs. n. 152/2006 capo D , e rinvia sul punto al tribunale di Avellino rigetta il ricorso, nel resto.