Il “rischio aziendale” incombe sempre e comunque sul datore di lavoro

Anche i terzi, quando si trovano esposti ai rischi di un’attività lavorativa, devono ritenersi destinatari delle norme di prevenzione per cui non rileva che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l’accertata violazione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36438, depositata il 1° settembre 2014. Il caso. Il datore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello che, seppur riformando la pena inflitta all’imputato, confermava il giudizio di responsabilità dello stesso in ordine al reato di lesioni colpose gravissime, aggravate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno di un suo dipendente. Il cd. rischio aziendale. In primo luogo, il ricorrente reitera la tesi difensiva secondo cui il lavoratore non era stato assunto direttamente da esso, ma da soggetti diversi e nella sua totale inconsapevolezza. La Corte di Cassazione giudica questo motivo di ricorso infondato, in base alla tesi secondo la quale anche i terzi, quando si trovino esposti ai pericoli derivanti da un’attività lavorativa da altri svolta nell’ambiente di lavoro, devono ritenersi destinatari delle misure di prevenzione. Sussiste, pertanto, un cosiddetto rischio aziendale connesso all’ambiente, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro . Cass., Sez. IV, n. 6686/93 . I titolari della posizione di garanzia. In secondo luogo, sostiene il ricorrente che nulla gli era comunque addebitabile in quanto aveva affidato ai suoi dipendenti una macchina perfettamente funzionante e sicura e che non era a conoscenza che la macchina veniva fatta funzionare senza la cautela imposta. Tuttavia nel caso di specie, non può non ritenersi che l’imputato, per il ruolo rivestito, avesse la posizione di garanzia che gli imponeva di adottare, o controllare che fossero adottate, le cautele omesse e che hanno determinato l’evento. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia del datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l’inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di spesa Cass., Sez. III, n. 29229/05 . Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 febbraio – 1 settembre 2014, n. 36438 Presidente Zecca– Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 3 dicembre 2012 la Corte d'Appello di Firenze in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pistoia del 17 dicembre 2010 appellata dall'imputato, sostituiva la pena della detenzione allo stesso inflitta in quella di Euro 418 di arresto, disponendo la revoca della sospensione condizionale della pena. Il B. era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di lesioni colpose gravissime, aggravate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno del dipendente T.A. . 2. Avverso tale decisione propone ricorso a mezzo del proprio difensore il B. deducendo la violazione di legge in relazione al principio di effettività art. 2 D.lgs.vo n. 242 del 1996 e 299 D.lgs.vo n. 81 del 2008 e la manifesta illogicità della motivazione. Considerato in diritto 3. Così sono stati ricostruiti i fatti nella gravata sentenza in data omissis all'interno dell'azienda agricola Fattoria Castelbosco S.r.l. gestita da B.M. , T.A. stava lavorando alla macchina pompa per mosti , spingendo con le mani l'uva dallo scivolo di metallo verso la tramoggia della pompa, quando veniva afferrato dall'organo lavoratore della pompa coclea al braccio destro, riportando gravi lesioni consistite in una frattura all'avambraccio destro con ampia ferita lacero contusa, con conseguente amputazione dello stesso avambraccio. La macchina all'atto dell'infortunio risultava priva della griglia di protezione ed, al fine di permetterne il funzionamento in assenza di tale dispositivo di sicurezza, risultavano inserite due chiavi supplementari non solidali ad alcuna parte della macchina , atte ad escludere i dispositivi elettrici di sicurezza della macchina. Dagli atti emergeva che la macchina pompa per mosti era stata installata dai dipendenti C.R. e P.C. nel piazzale dell'azienda agricola sin dalla mattina per le operazioni di vendemmia e che il T. , giunto in azienda intorno alle ore 16,00, aveva chiesto se vi fosse bisogno di aiuto per la vendemmia, iniziando subito dopo ad operare alla pompa, spingendo con le mani l'uva dallo scivolo di metallo verso la tramoggia. Il giudice di primo grado, disattese le prospettazioni difensive relative alla mancata qualifica di lavoratore del T. ed alla delega di funzioni organizzative al C. , dichiarava il B. colpevole del reato ascrittogli. La Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità. Il ricorso è infondato. Con il primo motivo di gravame il ricorrente reitera la tesi difensiva secondo cui il T. era stato assunto da soggetti diversi da esso B. e nella sua totale inconsapevolezza. Sul punto la Corte territoriale ha ritenuto che poiché nessuno dei lavoratori presenti risultava titolare di delega all'assunzione anche temporanea di lavoratori e tanto meno di autonomia di spesa al fine di erogare il dovuto corrispettivo, deve ritenersi che il B. non solo fosse a conoscenza della presenza del T. , ma che ne avesse necessariamente autorizzato lo svolgimento dell'attività lavorativa. La tesi ribadita in ricorso attiene pertanto ad una mera quaestio facti, come tale non esaminabile in sede di legittimità. Va peraltro osservato che secondo un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, anche i terzi, quando si trovano esposti ai rischi di un'attività lavorativa, devono ritenersi destinatari delle norme di prevenzione per cui non rileva che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione. Infatti, anche i terzi, quando si trovino esposti ai pericoli derivanti da un'attività lavorativa da altri svolta nell'ambiente di lavoro, devono ritenersi destinatari delle misure di prevenzione. Sussiste, pertanto, un cosiddetto rischio aziendale connesso all'ambiente, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro Cass. pen. Sez. 4^, n. 6686 del 4.5.1993 Rv. 195483 . Nello specifico, è stato accertato che la macchina utilizzata era priva della griglia di protezione e che, al fine di permetterne il funzionamento, venivano utilizzate delle chiavi supplementari atte ad escludere i dispositivi di sicurezza e che l'assenza di questo basilare presidio di sicurezza era stata determinante nella causazione dell'infortunio,. Sostiene poi il ricorrente che nulla gli era comunque addebitabile in quanto aveva affidato ai suoi dipendenti una macchina perfettamente funzionante e sicura e che non era a conoscenza che la macchina veniva fatta funzionare senza la cautela imposta. Il motivo è manifestamente infondato. Va infatti osservato che per attribuire ad una condotta umana una efficacia causale, è necessario che l'agente abbia in capo a sé la c.d. posizione di garanzia e che cioè, in ragione della sua prossimità con il bene da tutelare, sia titolare di poteri ed obblighi che gli consentono di attivarsi onde evitare la lesione o messa in pericolo del bene giuridico la cui integrità egli deve garantire art. 40 c.p., comma 2 Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo . La ratio della disposizione va ricercata nell'intenzione dell'ordinamento di assicurare a determinati beni una tutela rafforzata, attribuendo ad altri soggetti, diversi dall'interessato, l'obbligo di evitarne la lesione e ciò perché il titolare non ha il completo dominio delle situazioni che potrebbero metterne a rischio l'integrità. In sintesi, perché nasca una posizione di garanzia, è necessario che vi sia un bene giuridico che necessiti di protezione e che da solo il titolare non è in grado di proteggere che una fonte giuridica anche negoziale abbia la finalità della sua tutela che tale obbligo gravi su una o più specifiche persone che queste ultime siano dotate di poteri impeditivi della lesione del bene che hanno preso in carico . Invero, i titolari della posizione di garanzia devono essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi. Il che non significa che dei poteri impeditivi debba essere direttamente fornito il garante, è sufficiente che gli siano riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari per evitare che l'evento dannoso venga cagionato, per la operatività di altri elementi condizionanti di natura dinamica. Nel caso di specie, non può porsi in dubbio che il B. , per il ruolo rivestito, avesse la posizione di garanzia datore di lavoro che gli imponeva di adottare, o controllare che fossero adottate, le cautele omesse e che hanno determinato l'evento. In un caso analogo questa Corte di legittimità ha statuito che In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia del datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l'inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di spesa Sez. 3 sent. 29229 del 3-8- 2005 Rv. 232307 . Sul punto la difesa dell'imputato ha rilevato - come già ricordato - che tali poteri erano stati trasferiti ad altro soggetto, il C. , avente la qualifica di preposto. Ma la attribuzione di tali poteri non ha determinato la assunzione da parte di tale soggetto della qualità di datore di lavoro, né in capo ad esso sono stati trasferiti i relativi obblighi di sicurezza. A tal fine, infatti sarebbe stato necessario conferirgli una specifica delega che, nel caso di specie, non risulta provata. In tema questa Corte di legittimità, già prima della codificazione prevista nel D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 16 e 17, ha statuito che sebbene in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro, tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive Sez. 4 sent. 38425 dei 22-11-2006, Rv. 235184 . Nel caso in questione nessuna inequivoca delega di funzioni antinfortunistiche risulta essere stata affidata né tale delega risulta essere stata conferita di fatto, non avendolo l'imputato efficacemente documentato cfr. Cass. Sez. 4 sent. 37470 del 2-10- 2003, Rv. 226228 . Ne consegue da quanto detto, che il B. , quale datore di lavoro, aveva intatta la sua posizione di garanzia al momento dei fatti, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 7, per cui era comunque tenuto a sorvegliare circa le attività che si svolgevano presso il luogo di lavoro, quali quelle avvenute in occasione dell'incidente. È da considerare, inoltre, che le omissioni relative alle dotazioni di sicurezza attengono a manchevolezze attinenti a presidi da attuare in epoca precedente al giorno dell'infortunio e, quindi, rientranti nella sfera di controllo di quest'ultimo. Quanto alle residue argomentazioni difensive, giova ricordare che se, per un verso, non è dato in questa sede di procedere a qualsivoglia ulteriore accertamento di merito, per altro verso, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinare conclusioni a preferenza di altre così Cass., Sez. Un., 29.1.1996, n. 930 a tale compito deve riconoscersi abbia ampiamente assolto la sentenza impugnata. 4. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.