Condannata la mamma che agevola il figlio nella coltivazione domestica di cannabis

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, idoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo, morale o materiale, all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36412, depositata il 29 agosto 2014. Il caso. Con sentenza, la Corte di Appello confermava la responsabilità di due imputati madre e figlio in ordine al reato di concorso nella coltivazione di 28 piantine di cannabis indica . Questi ricorrevano per cassazione, in particolare deducendo violazione dell’art. 110 c.p., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto il concorso morale e materiale dell’imputata nella coltivazione illecita di stupefacenti, e censurando la sentenza per non aver riconosciuto le attenuanti generiche, omettendo ogni motivazione sulla personalità dell’imputato. Connivenza non punibile e concorso. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, idoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo, morale o materiale, all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. Supporto + contributo = concorso. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha correttamente evidenziato come l’imputata, oltre ad offrire un supporto morale al figlio, non opponendosi all’illecita attività, abbia fornito un vero e proprio contributo materiale, rendendo possibile in concreto la coltivazione illegale. La donna ha, infatti, messo a disposizione parti comuni dell’abitazione, ha fornito l’elettricità necessaria per il funzionamento dell’impianto di illuminazione e di riscaldamento, ha consentito l’utilizzo dell’acqua necessaria alla crescita delle piantine. Per questi motivi la Corte giudica infondato il motivo di ricorso in cui si contesta il coinvolgimento della donna e annulla con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio relativo ai due imputati, per adeguare l’entità della pena in ragione dei nuovi limiti edittali più favorevoli alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 giugno – 29 agosto 2014, n. 36412 Presidente Agrò – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari in parziale riforma della sentenza emessa, a seguito di giudizio abbreviato, il 7 febbraio 2007 dal G.u.p. dei Tribunale di Nuoro ed appellata dal pubblico ministero presso il Tribunale di Nuoro, dal procuratore generale e dagli imputati G. B. e L.P., esclusa la sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990 e dell'aggravante della recidiva, quest'ultima contestata al solo B., ha confermato la responsabilità dei due imputati in ordine al reato di concorso nella coltivazione di 28 piantine di cannabis indica, rideterminando la pena in quattro anni di reclusione ed euro 20.000 per il primo e in un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione ed euro 10.000 per la seconda. La Corte d'appello accogliendo gli appelli proposti dai rappresentanti della pubblica accusa ha escluso che la coltivazione di 28 piantine di stupefacenti potesse dare luogo ad una ipotesi di fatto di lieve entità ha, inoltre, ritenuto fondata l'impugnazione del B. in relazione alla recidiva contestatagli, che è stata eliminata ha infine respinto l'appello della P., ritenendo provato il suo concorso nell'attività di coltivazione svolta dal figlio. 2. L'avvocato B.B., nell'interesse dei due imputati, ha proposto ricorso per cassazione. Con riferimento alla posizione della P. deduce la violazione dell'art. 110 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto il concorso morale e materiale dell'imputata nella coltivazione illecita di stupefacenti senza indicare quali concreti contributi avrebbe offerto per la consumazione del reato, limitandosi a menzionare elementi sconosciuti alle risultanze probatorie, frutto di semplici supposizioni. Si assume che l'imputata, madre del B., avrebbe dovuto essere assolta in quanto a suo carico appare ipotizzabile solo una mera connivenza. Con un altro motivo, relativo ad entrambi gli imputati, viene denunciata l'erronea applicazione dell'art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990 avendo i giudici escluso l'ipotesi del fatto lieve nonostante l'attività di coltivazione abbia dimostrato un grado di minima offensività peraltro, si evidenzia come non sia stata presa in considerazione la decisione quadro 2004/757/GAI del 25.10.2004 sulle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti. Infine, riguardo alla posizione di B., si censura la sentenza per non avere riconosciuto le attenuanti generiche, omettendo ogni motivazione sulla personalità dell'imputato. Considerato in diritto 3. E' infondato il motivo con cui si contesta il coinvolgimento della P., a titolo di concorso, nel reato di coltivazione delle 28 piantine di cannabis indica, sostenendo la tesi della semplice connivenza. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. Nella specie, la Corte d'appello ha correttamente escluso l'ipotesi della mera connivenza, evidenziando come l'imputata oltre ad offrire un supporto morale al figlio, non opponendosi alla illecita attività, abbia fornito un vero e proprio contributo materiale, rendendo possibile in concreto la coltivazione illegale infatti, ha messo a disposizione parti comuni dell'abitazione, ha fornito l'elettricità necessaria per il funzionamento dell'impianto di illuminazione e di riscaldamento, ha consentito l'utilizzo dell'acqua necessaria alla crescita delle piantine. 4. Infondato è anche il motivo con cui si contesta l'esclusione della sussistenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 309/309. Prescindendo dal fatto che oggi la circostanza in questione è stata trasformata in fattispecie autonoma di reato, si ritiene comunque corretta la decisione dei giudici d'appello, che hanno escluso l'ipotesi lieve sulla base non solo del dato qualitativo, attinente i mezzi nonché la modalità e le circostanze dell'azione, ma anche considerando il dato quantitativo, cioè l'aver coltivato un numero di piante di cannabis indica dalle quali era possibile ricavare oltre mille dosi medie singole, elementi di fatto che non consentivano il riconoscimento dell'attenuante speciale e che oggi impediscono la diversa qualificazione dei fatto. 5. L'ultimo motivo con cui si lamenta l'eccessività della pena e la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, consente a questo Collegio di intervenire sul tema della pena applicata ai due ricorrenti, tenendo conto degli effetti determinatisi sulla disciplina degli stupefacenti a seguito della sentenza n. 32 dei 2014 della Corte costituzionale il motivo risulta proposto dal solo B., ma si ritiene che gli effetti debbano estendersi necessariamente anche alla P., ai sensi dell'art. 587 c.p.p. . Come è noto con la citata sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies dei decreto legge n. 272 del 2005 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 49 del 2006, con l'effetto di realizzare la reviviscenza della disciplina dettata dall'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 nella sua versione precedente alle modifiche introdotte con la citata legge di conversione n. 49 del 2006, che, come noto, aveva - tra l'altro - parificato, ai fini sanzionatori, le droghe c.d. pesanti a quelle c.d. leggere, con l'eliminazione delle quattro distinte tabelle di cui al d.m. previsto dall'art. 14 dello stesso d.P.R., pure modificando i limiti edittali. L'eliminazione, con effetto ex tunc, della disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima e la riacquistata efficacia della disciplina previgente ha palesi effetti pratici nel caso di specie, atteso che gli imputati sono stati condannati dai giudici di merito sulla base dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, come modificato nel 2006, che puniva la detenzione illecita della cannabis con la pena da sei a venti anni di reclusione e la multa da 26.000 a 260.000 euro, laddove l'effetto della dichiarazione di illegittimità comporta la reviviscenza della vecchia disciplina dei medesimo art. 73 che, in relazione alla medesima sostanza, stabilisce la pena da due a sei anni e la multa da euro 5.164 ad euro 77.468. Si tratta di una modifica del trattamento sanzionatorio evidentemente in melius, che non può non avere effetti favorevoli anche per gli odierni ricorrenti, la cui responsabilità ha comportato l'irrogazione di una sanzione sulla base di parametri oggi non più legali . In conclusione, ai sensi dell'art. 2 comma 4 c.p. deve trovare applicazione la più favorevole disciplina sanzionatoria, così come ripristinata dopo l'intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014. La necessità di adeguare l'entità della pena da infliggere in ragione dei nuovi limiti edittali più favorevoli - valutazione di merito e in quanto tale non consentita in questa sede di legittimità - impone l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio relativo ai due imputati, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di appello di Cagliari. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione delle pene e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte d'appello di Cagliari. Rigetta nel resto i ricorsi.