Toni accesi e sgarbo non sono sufficienti a bloccare le forze dell’ordine

Ai fini della configurabilità del reato ex art. 340 c.p. interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica utilità è necessario che il turbamento della regolarità dell’ufficio si riferisca ad un’alterazione, anche se temporanea, del funzionamento del suo complesso, non all’alterazione di un singolo atto, ovvero di una singola funzione o prestazione. Non assumono così nessun rilievo le turbative esterne che possono agevolmente essere controllabili o superabili attraverso i normali meccanismi di difesa di cui l’ufficio o il servizio dispone.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 36404, depositata il 29 agosto 2014. Il caso. Il Tribunale di Cagliari dichiarava l’imputato colpevole del delitto di cui all’art. 340 c.p. interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica utilità , in quanto, mentre i carabinieri stavano chiedendo spiegazioni alla moglie dell’uomo, titolare di un’agenzia di pratiche automobilistiche, riguardo alle lamentele espresse da un cittadino per la mancata trascrizione del passaggio di proprietà di un’autovettura, sopraggiungeva l’imputato che si frapponeva fisicamente tra i carabinieri e la moglie, alzando il tono di voce chiedendo la ragione dell’intervento. Ne era scaturita una discussione molto accesa, che aveva portato il Maresciallo dei carabinieri ad interrompere la sua attività e ad uscire dai locali dell’agenzia, decidendo di effettuare un nuovo intervento in seguito. La Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’imputato del delitto ascritto in uno dei capi, perché il fatto non sussisteva e riduceva la pena. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’uomo deducendo violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento all’elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all’art. 340 c.p. Il turbamento deve compromettere l’ufficio nel suo complesso. Il ricorso è fondato. Precisa, difatti, la Cassazione che, ai fini della configurabilità del reato in esame, è necessario che il turbamento della regolarità dell’ufficio si riferisca ad un’alterazione, anche se temporanea, del funzionamento del suo complesso, non all’alterazione di un singolo atto, ovvero di una singola funzione o prestazione, rapportata ad un determinato momento, la quale non ha in sostanza alcuna incidenza negativa, di apprezzabile valenza, sulla concreta operatività globale dell’ufficio o del servizio . In sostanza, il turbamento deve essere tale da compromettere l’ufficio o il servizio nel loro dinamismo operativo, non assumono così nessun rilievo le turbative esterne che possono agevolmente essere controllabili o superabili attraverso i normali meccanismi di difesa di cui l’ufficio o il servizio dispone Cass., n. 15750/2003 . Il tono acceso e irrispettoso non impediva lo svolgimento dell’ufficio. Nel caso in esame, la ricostruzione del fatto operata nel giudizio di merito non consente di qualificare la condotta con il tipo di reato ipotizzato, poiché, precisa il Collegio, l’imputato si era limitato ad intervenire e a discutere animatamente con le forze dell’ordine, usando toni accesi e irrispettosi, mentre il Maresciallo aveva deciso di fermare il controllo e di rimandarlo, non perché materialmente impossibilitato a continuare, ma per convenienza. La condotta dell’uomo non aveva, quindi, inciso sul funzionamento dell’ufficio nel suo complesso, ma su un singolo atto il cui compimento lo stesso pubblico ufficiale intervenuto decise di rimandare per ragioni di opportunità. In sintesi, è irrilevante la condotta perturbatrice, che rientri nella prevedibilità delle tensioni umane connesse alle forme, ai tempi e alle modalità dell’intervento posto in essere da un pubblico ufficiale, rientrando nell’ordinaria quota di maleducazione, sgarbo e petulanza che durante lo svolgimento di un tipo di pubblico ufficio o servizio può ragionevolmente presumersi verrà manifestata Cass., n. 25/1994 . Sulla base di quanto detto, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 maggio – 29 agosto 2014, n. 36404 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza pronunciata in data 22 ottobre 2013 la Corte d'appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari il 20 giugno 2011 - che dichiarava P.S. colpevole, nella sua qualità di agente della Polizia Municipale, dei reati di cui agli artt. 81 cpv. e 340 c.p. capi sub A e B , commessi in omissis - lo ha assolto dal delitto ascritto al capo sub B perché il fatto non sussiste e ha ridotto la pena a giorni venti di reclusione, per effetto dell'eliminazione dell'aumento operato ai sensi dell'art. 81, cpv., c.p All'esito del giudizio di primo grado, il predetto imputato era stato condannato alla pena di giorni trenta di reclusione, unificati i reati con il vincolo della continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. 1.1. Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dai Giudici di merito, mentre i Carabinieri della Stazione di Portoscuso stavano chiedendo spiegazioni a C.M.A. , titolare di un'agenzia di pratiche automobilistiche, riguardo alle lamentele espresse da un cittadino circa la mancata trascrizione del passaggio di proprietà di un'autovettura, sopraggiungeva l'imputato, coniuge della C. e agente della locale Polizia municipale, che si frapponeva fisicamente tra il Maresciallo dei Carabinieri e la moglie, alzando il tono della voce e chiedendo conto e ragione dell'intervento effettuato, nel contestare gli addebiti che le venivano mossi. Ne era scaturita una discussione molto accesa sui tempi di evasione della pratica in questione, al cui esito il Maresciallo si vedeva costretto ad interrompere la sua attività e ad uscire dai locali dell'agenzia, decidendo di effettuare un nuovo intervento in seguito, poiché l'intervento del P. non gli permetteva di continuare a parlare con la C. , né di effettuare i relativi controlli, anche in considerazione della presenza di altri clienti intervenuti nei locali dell'agenzia. 2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore del P. , deducendo due motivi di doglianza. 2.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento all'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 340 c.p., per avere l'impugnata pronunzia erroneamente sostenuto l'assoluta irrilevanza sia dell'individuazione di quale fosse l'esatto oggetto dell'accertamento da parte dei pubblici ufficiali intervenuti presso l'agenzia di pratiche automobilistiche della moglie dell'imputato, sia della circostanza per cui essi non si fossero poi ripresentati presso quell'agenzia dopo la discussione con lui intercorsa, posto che sui termini formali di espletamento di una pratica automobilistica non v'era coincidenza di opinioni tra quanto sostenuto dal P. e dalla moglie e quanto ritenuto invece dai Carabinieri. Siffatto accertamento doveva ritenersi necessario, poiché, altrimenti, non sarebbe possibile comprendere se l'attività compiuta costituisse, o meno, un accertamento qualificabile, ai sensi dell'art. 340 c.p., come servizio pubblico o di pubblica necessità. 2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento all'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 340 c.p., poiché, a fronte della genericità dell'accertamento e della sua peculiare finalità, sarebbe abnorme ritenere che il fatto di replicare ad un'Autorità al fine di precisare fatti o dati normativi - specie quando non vi sia chiarezza sul termine di espletamento della pratica pari a gg. 60, come sostenuto dall'imputato e dalla moglie, o inferiore a tale limite, come ritenuto dai Carabinieri - costituisca un'attività effettivamente volta ad interrompere o a turbare il pubblico servizio. L'imputato, dunque, anche a voler ammettere che l'accertamento in corso fosse qualificabile come attività di pubblico servizio, non aveva alcuna intenzione di interromperne o di turbarne l'espletamento. Si trattò, peraltro, di un dialogo svoltosi in termini del tutto normali, senza che il P. , in quel frangente sostituitosi alla moglie che era impegnata con un'altra cliente, abbia costretto i Carabinieri ad interrompere la verifica in corso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate. 4. Ai fini della configurabilità del reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità, è necessario che il turbamento della regolarità dell'ufficio si riferisca ad un'alterazione, anche se temporanea, del funzionamento nel suo complesso, non all'alterazione di un singolo atto, ovvero di una singola funzione o prestazione, rapportata ad un determinato momento, la quale non ha in sostanza alcuna incidenza negativa, di apprezzabile valenza, sulla concreta operatività globale dell'ufficio o del servizio. In altri termini, questi devono rimanere, a causa della condotta tenuta dall'agente, effettivamente compromessi nel loro dinamismo operativo, non assumendo rilievo alcuno eventuali turbative esterne che, per gli effetti minimali che producono, rientrano, per così dire, nella fisiologica prevedibilità di un intervento, tanto da essere agevolmente controllabili, o superabili, attraverso i normali meccanismi di difesa di cui l'ufficio o il servizio dispone, proprio nella prospettiva di assicurarne la costante regolarità e la continuità di funzionamento Sez. 6, n. 15750 del 06/03/2003, dep. 03/04/2003, Rv. 224691 Sez. 6, n. 8725 del 19/04/2000, dep. 02/08/2000, Rv. 220748 v., inoltre, Sez. 6, n. 35399 del 08/06/2006, dep. 23/10/2006, Rv. 235196 . Nel caso in esame, invero, la stessa ricostruzione della vicenda storico-fattuale operata nel giudizio di merito non consente di sussumere la condotta nel tipo di reato ipotizzato nel relativo tema d'accusa, poiché l'imputato si limitò ad intervenire e a discutere animatamente con gli operanti, usando toni accesi e irrispettosi , sicché il Maresciallo dei Carabinieri che procedeva in quella circostanza non diede ulteriore corso all'attività di controllo in via di espletamento, per convenienza , come posto in rilievo nella stessa motivazione della decisione impugnata, e non perché materialmente impossibilitato a farla . Il comportamento dell'imputato, certamente non commendevole per l'imbarazzo e lo sconcerto suscitato nei presenti e, soprattutto, per il discredito che poteva gettare sui pubblici ufficiali che stavano eseguendo un'attività di mero accertamento, non ha effettivamente inciso sul funzionamento dell'ufficio nel suo complesso, ma su un singolo atto il cui compimento lo stesso pubblico ufficiale intervenuto decise di rinviare, per ragioni di opportunità, in un successivo momento. Né, peraltro, sarebbero configurabili altre fattispecie incriminatrici ad es., ex artt. 336 o 337 c.p. , per l'evidente assenza di comportamenti violenti o minacciosi da parte dell'imputato. La irrilevanza della condotta perturbatrice, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, va ravvisata ogniqualvolta essa rientri nella fisiologica prevedibilità delle tensioni umane connesse alle forme, ai tempi e alle modalità dell'intervento posto in essere da un pubblico ufficiale, rientrando nella ordinaria quota di maleducazione, sgarbo e petulanza che durante lo svolgimento di un tipo di pubblico ufficio o servizio può ragionevolmente presumersi verrà manifestata Sez. 6, n. 25 del 29/10/1994, dep. 05/01/1995, Rv. 200080 . 5. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata senza rinvio, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.