Stalking ai danni del difensore di controparte: condannato il concorrente

Integrano il reato di atti persecutori le condotte del soggetto che pone in essere azioni moleste o minacciose in concorso con altro individuo portatore di un interesse processuale consistente nell’essere, quest’ultimo, controparte e destinatario di atti di precetto. Persona offesa degli atti persecutori è l’avvocato che curava gli interessi di parte avversa e che a causa della quantità, natura e consistenza di tale condotte ha subito un perdurante stato di ansia, timore per la propria incolumità e costretta a cambiare le proprie abitudini di vita.

Questo il contenuto della sentenza n. 35690/14 della Cassazione, che affronta un singolare caso dove la vittima di stalking era il legale di controparte. Quest’ultima, avvalendosi della collaborazione di un concorrente, recidivo infra-quinquennale e di comprovata indole criminale, aveva posto in essere condotte minacciose e moleste che avevano ingenerato nell’avvocato un perdurante stato di ansia, timore per la propria incolumità e costretta a cambiare le proprie abitudini di vita. Scelto il percorso processuale del giudizio abbreviato, il collaboratore del soggetto colpito dagli atti di precetti indirizzati dalla vittima, è stato condannato in primo e secondo grado per il reato di atti persecutori. La difficoltà di individuare il minimim della condotta persecutoria . L’imputato ricorre in Cassazione ritenendo l’insussistenza del delitto di stalking in quanto non sono ravvisabili azioni qualificabili come minacce o molestie. Sul punto, si ripropone la delicata questione, attinente alla costruzione della fattispecie delittuosa descritta dall’art. 612 bis c.p., della la difficoltà di individuare la soglia della tipicità coincidente con un’effettiva offesa della tranquillità psichica, soprattutto laddove lo stalking venga realizzato attraverso condotte in sé lecite, che assumono capacità offensiva dei beni tutelati per la loro reiterazione” Maugeri, La difficoltà di tipizzazione dello stalking nel diritto italiano e comparato , in Rass. it. crim ., 2012, 3, 203 . Ora, sebbene la stessa dottrina criminologica incontra difficoltà nel tipizzare il fenomeno, lo stalking merita un’autonoma considerazione penalistica. Come affermato da Sez. V, n. 18999/2014 , la frantumazione delle condotte persecutorie precedenti all’entrata in vigore dell’art. 612- bis c.p. ad opera del d.l. n. 11/2009, conv. l. n. 38/2009 in distinte ipotesi di reato – molestie, minacce, violenza privata – dimostra come con l’introduzione della fattispecie il legislatore abbia voluto colmare un vuoto di tutela rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima. Si è preso atto che la violenza declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria, per cui mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità psico-fisica, attraverso la punizione di condotte che precedentemente apparivano inoffensive e, dunque, non sussumibile in alcuna fattispecie criminale o di figure di reato minori, quali a minaccia o la molestia alle persone. La norma incriminatrice, tuttavia, non sembra definire in modo sufficientemente determinato il minimum della condotta intrusiva temporalmente necessaria e sufficiente affinché possa dirsi integrata la persecuzione penalmente rilevante. La sentenza n. 172/2014 della Corte Costituzionale. L’11 giugno 2014 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612- bis c.p., sollevata in riferimento all’art. 25, comma 2, Cost., per violazione del principio di determinatezza della legge penale in quanto la fattispecie di cui all’art. 612- bis c.p. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale, sin dalla sua originaria formulazione, agli artt. 612 e 660. La lunga tradizione applicativa di tali fattispecie in sede giurisdizionale, da un lato agevola l’interpretazione della disposizione oggi sottoposta a giudizio e, dall’altro, offre la riprova che la descrizione legislativa corrisponde a comportamenti effettivamente riscontrabili e riscontrati nella realtà. Le peculiarità, che contraddistinguono la minaccia e la molestia in questi casi oltre che il loro carattere reiterato” , espongono la vittima a conseguenze nella vita emotiva stato di ansia e di paura ovvero timore per l’incolumità e pratica cambiamento delle abitudini di vita , che rappresentano eventi individuati dal legislatore proprio al fine di meglio circoscrivere la nuova area di illecito, caratterizzata da un aggravato disvalore rispetto alle generiche minacce e molestie e che, pertanto, giustificano una più severa reazione penale. Anche gli eventi risultano determinati per i giudice delle leggi. Quanto al perdurante e grave stato di ansia e di paura e al fondato timore per l’incolumità , trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un’accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell’agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. A questo proposito, del resto, anche la giurisprudenza di legittimità Cass., sez. V Penale, sent. n. 14391/2012 ha precisato che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all’agente, e come tali necessariamente rientranti nell’oggetto del dolo. Anche sotto questo profilo, dunque, è dimostrato che l’enunciato legislativo di cui all’art. 612- bis c.p., pur richiedendo un’attenta considerazione di dati riscontrabili sul piano dei comportamenti e dell’esperienza, consente al giudice di appurare con ragionevole certezza il verificarsi dei fenomeni in esso descritti e, pertanto, non presenta vizi di indeterminatezza, ai sensi dell’art. 25, comma 2, Cost L’aggettivazione, inoltre, in termini di grave e perdurante stato di ansia o di paura e di fondato timore per l’incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l’area dell’incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima. A tale ultimo riguardo, deve rammentarsi come spetti al giudice ricostruire e circoscrivere l’area di tipicità della condotta penalmente rilevante sulla base dei consueti criteri ermeneutici, in particolare alla luce del principio di offensività, che per giurisprudenza costituzionale costante costituisce canone interpretativo unanimemente accettato sent. n. 139/2014 . Infine, il riferimento del legislatore alle abitudini di vita costituisce un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell’intrusione rappresentata dall’attività persecutoria, mutamento di cui l’agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato per l’appunto punibile solo a titolo di dolo. Condotte reiterate” ed eventi realizzati. La Suprema Corte ritiene che i comportamenti descritti nel capo di imputazione sono da considerarsi persecutori – ed hanno raggiunto la soglia della tipicità penalmente punibile – sia per la quantità, per la insistenza, per la loro natura anche grave nonché per la provenienza da soggetto condannato e pertanto di comprovata indole criminale. Con riferimento alla verificazione di almeno uno degli eventi alternativamente previsti dall’art. 612- bis c.p., la Suprema Corte ritiene che a nulla vale sostenere – per negarne l’esistenza – che la vittima fosse un avvocato dalla lunga esperienza in quanto le condotte hanno ingenerato un perdurante stato di ansia e timore per la propria incolumità, attestato dalle coerenti accuse dalla stessa denunciante. Costei, proprio in ragione dello stato di timore cui era stata ridotta, aveva dovuto chiedere l’intervento delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria, nonché l’uso di parenti ed aveva dovuto mutare le proprie abitudini di vita.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 giugno – 13 agosto 2014, n. 35690 Presidente Marasca – Relatore Vessichelli Fatto e Diritto Propone ricorso per cassazione, C.P., avverso la sentenza della Corte di appello di Trento -sezione distaccata di Bolzano in data 2 maggio 2013, con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa all'esito di giudizio abbreviato, di condanna in ordine al reato di atti persecutori, commesso in concorso con L.E., in danno dell'avvocato G.C Costei era divenuta motivo di molestie da parte del L. che si era poi servito della collaborazione dei ricorrente poiché curava, anche con atti di precetto, gli interessi e le pretese civilistiche che T.P. avanzava nei confronti dello stesso L. i fatti sono stati contestati come commessi dal 9 dicembre 2009 al 3 gennaio 2010, con contestazione anche di recidiva reiterata e infra-quinquennale. Deduce 1 la violazione dell'articolo 612 bis c.p. Ad avviso del ricorrente, non essendo ravvisabili, nei comportamenti contestati, azioni qualificabili come molestie o minacce, il reato di stalking dovrebbe essere giudicato Insussistente. Tanto più che non risultano provati, ai danni della persona offesa, un avvocato dalla lunga esperienza, un perdurante stato d'ansia o di paura o il timore per l'incolumità propria o di un congiunto e nemmeno la necessità di alterare le proprie abitudini di vita 2 il vizio della motivazione, Il giudice dell'appello aveva citato giurisprudenza inconferente e comunque aveva sostenuto essersi verificati comportamenti come quello dei l'apposta mento mai posti in essere dall'imputato 3 la violazione degli articoli 133 e 163 cp. La pena appare eccessiva e nemmeno giustificata alla luce del criteri Imposti dall'art. 133, nonché del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena articolo 27 della Costituzione . Il trattamento sanzionatorio avrebbe dovuto essere fissato nel minimo, considerato il corretto comportamento processuale, dovendosi anche pretermettere la valutazione dei precedenti che non sono significativi per la prognosi sulla pericolosità futura. Il ricorso è inammissibile. I primi due motivi, i quali pongono una questione unitaria sia pure sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, sono inammissibili per genericità. Essi costituiscono la fedele reiterazione di questioni già sottoposte al giudice dell'appello e da questi affrontate e risolte con motivazione completa e razionale alla quale il ricorrente non contrappone alcun nuovo argomento, nella redazione di motivi di ricorso. Tale tecnica espositiva, risolvendosi nella proposizione di censure che non aggrediscono la motivazione della sentenza impugnata, comporta il rilievo che i motivi vanno dichiarati inammissibili per genericità, violando, essi, Il disposto dell'articolo 581 cpp che Impone, Invece, la Individuazione di specifici punti dei provvedimento gravato, da rendere oggetto della domanda di impugnazione. Il ricorrente non si confronta con la motivazione della decisione sottoposta ai vaglio di questa Corte, nella quale si è già dato atto della irrilevanza del fatto che i singoli comportamenti possano costituire altrettanti autonomi fatti di reato, non essendo, tale requisito previsto dall'articolo 612 bis c.p. D'altra parte, la Corte d'appello ha dato atto della circostanza che i comportamenti descritti nel capo d'imputazione, al quali non sono affatto estranei connotati minacciosi, sono stati tali, sia per la quantità, per la insistenza, per la loro natura anche grave nonché per la provenienza da soggetto condannato e pertanto di comprovata indole criminale, da Ingenerare nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia e timore per la propria incolumità, attestato dalle coerenti accuse formulate dalla stessa denunciante. Costei, proprio in ragione dello stato di timore in cui era stata ridotta , aveva dovuto chiedere l'intervento delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria, nonché l'aiuto di parenti ed aveva dovuto mutare le proprie abitudini di vita. Rispetto a tali circostanziate attestazioni, Il ricorso non articola censure mirate, limitandosi, come detto, a riproporre le stesse doglianze. Ugualmente inammissibile e l'ultimo motivo di ricorso, posto che il trattamento sanzionatorio, fissato dai giudici dei merito in anni uno di reclusione, che comunque è un'entità prossima ai minimo edittale, è stato determinato previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, avvenuta per valorizzare proprio il buon comportamento processuale dell'imputato il quale ha ammesso gli addebiti. É del tutto destituita di fondamento, in altri termini, la doglianza riguardante la asserita assenza di motivazione o illogicità della stessa, al riguardo. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.