La confisca non travolge i diritti del terzo incolpevole, anche se ha tratto vantaggio dall’operazione sospetta

La buona fede del terzo supera le esigenze penali della misura. Non così per il fallimento, le ragioni penali prevalgono sui creditori della società criminale fallita.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 34039, depositata il 31 luglio 2014. Il fatto. Viene emesso sequestro preventivo ex art. 2- ter l. n. 575/1965, nei confronti di alcuni immobili su cui gravava ipoteca per la concessione bancaria di fidi ed aperture di credito – per la contrazione di mutui ipotecari - ad un indiziato di appartenere ad una radicata associazione criminale. All’esito dell’intricata vicenda processuale venivano investiti i giudici di legittimità, chiamati a chiarire le relazioni fra sequestro preventivo, diritti reali di garanzia a favore di terzi e curatela fallimentare, quando la società riconducibile all’indiziato giunge al fallimento per il dissesto finanziario procurato. Prima la verifica dell’estraneità oggettiva, poi della buona fede dell’istituto di credito. Dunque due sono i requisiti richiesti, al fine di fare indenne la banca da confisca. In primis va verificata l’estraneità oggettiva dell’istituto dai reati protratti – la prova spetta alla banca -, e solo in caso di vantaggio acquisito opera la verifica del requisito della buona fede. Ad esempio, matura il vantaggio quando la somma impegnata sia già stata remunerata dalla corresponsione degli interessi. Va invece esclusa la buona fede in ogni caso in cui l’operazione risulti incerta o poco remunerativa per l’ente bancario, quando è precaria la solvibilità dell’impresa, sospetto l’indotto finanziario o la crescita reddituale oppure in ogni altro caso in cui la mancanza di ragioni di convenienza economica o finanziaria per la banca dell’operazione incardinata appaia sintomatica di un disegno spiccatamente agevolatore degli altrui intenti criminali. L’ente avrebbe dovuto potersi prefigurare motivi di sospetto dell’operazione o in capo all’interlocutore richiedente prestito. In tal caso la mancata vigilanza, la mancata attivazione degli strumenti di controllo interni o per l’antiriciclaggio o dei doveri di segnalazione per operazioni sospette fonda un giudizio di colpevolezza – anche ai sensi del principio di colpevolezza ex art. 27, comma 1, Cost. - per l’avente titolarità di un diritto vertente su un bene confiscato. Quando l’istituto di credito salva” le ipoteche dalla confisca. Va verificata la buona fede oggettiva dell’istituto, al momento della concessione del fido, ed in particolare dei componenti della commissione collegiale che hanno autorizzato l’operazione finanziaria di credito. Solo in tal caso si realizza la funzione costituzionale ex art. 47 Cost. di tutela del risparmio, in ogni sua forma, a carico di banche ed istituti e la prevalenza di queste sulle ragioni penali alla confisca di beni riconducibili ai sodalizi criminali – si tratta di ragioni preventive per sottrarre il bene dalla disponibilità dell’indiziato socialmente pericoloso, non di generici interessi per l’acquisizione del bene allo Stato -. Spogliato il bene all’indiziato e realizzato l’interesse penale sotteso alla norma, non v’è dunque ragione per perseverare nella confisca ordinando la cancellazione della trascrizione delle ipoteche dai registri immobiliari, in caso di persistenza di diritti reali di terzi su quei beni. La confisca travolge la curatela fallimentare. A prescindere dal momento in cui venga dichiarato il fallimento, le esigenze penali alla sottrazione dei beni confiscati dai circuiti commerciali leciti prevalgono sulla tutela dei creditori di cui alla procedura fallimentare. Di fatto questa non priva l’imprenditore indiziato criminale della titolarità dei beni e nemmeno esclude che i beni ritornino nella sua disponibilità, se all’esito dal fallimento risultasse un attivo.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 febbraio – 31 luglio 2014, n. 34039 Presidente Siotto – Relatore Rocchi