Rideterminazione della pena “illegale” in executivis: i poteri del giudice tra attuazione della Costituzione e limiti del giudicato

L'ordinanza del Tribunale di Ferrara, ufficio GIP-GUP del 9 luglio 2014, si inserisce in un dibattito di stringente attualità, ancor più stimolante per gli arresti di merito che si stanno susseguendo, in attesa che la Suprema Corte detti canoni applicativi esaustivi.

Più in dettaglio, la pronuncia concerne le delicate ricadute sulle condanne passate in giudicato della recente sentenza della Corte Costituzionale, che, dichiarando l'illegittimità degli artt. 4 bis e vicies ter d.l. n. 272/2005 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. n. 49/2006 , ha inciso sul disposto dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, ripristinando la precedente disciplina che prevedeva un trattamento più mite per le condotte aventi ad oggetto le cc.dd. droghe leggere Corte Costituzionale, n. 32/2014, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 5 marzo 2014 . Alla luce della cospicua diffusione di ipotesi delittuose di questo genere – e della media delle pene detentive inflitte – è facile pronosticare una messe di richieste simili nei prossimi tempi e ciò costituisce ulteriore elemento di interesse per l'analisi di questi primi approcci. Il caso. Il procedimento prende le mosse dall'istanza per la nuova determinazione della pena, proposta direttamente da un soggetto condannato per l'illecita detenzione di 188 ovuli di hashish – ora detenuto in espiazione pena – sulla scorta delle notizie legate alla decisione della Consulta. Nella fase di cognizione, a conclusione del giudizio d'appello, era stata irrogata la pena di anni 4 di reclusione ed euro 18mila di multa pena base di anni 6 di reclusione ed euro 27mila di multa, negando - anche in seconde cure - la concessione della circostanze attenuanti generiche ed applicando poi la diminuzione, legata alla scelta del rito abbreviato . Pena rideterminata. Il Giudice Estense, dopo un'articolata ricostruzione dei precedenti giurisprudenziali che legittimano il parziale travolgimento del giudicato – che include, apprezzabilmente, la decisione a Sezioni Unite del 29 maggio scorso – ed alcuni passaggi motivazionali spesi per commisurare la pena al fatto, giunge alla parziale modifica del precedente dispositivo, rideterminando la pena applicata in sentenza in anni 2 e mesi 4 di reclusione ed euro 6mila di multa e revocando, quale postulato necessario della pena resa illegale” dalla declaratoria d'incostituzionalità, la sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. L'esegesi condotta, per larga parte condivisibile, s'innesta su un tema che negli ultimi tempi è oggetto delle opinioni di autorevoli interpreti fra gli altri si sono già espressi i Proff. Manes, Romano e Viganò . La logica decisionale, però, sembra non trarre integralmente, da corrette premesse, le conclusioni dovute. Richiama testualmente, infatti, la motivazione della sentenza della Sezioni Unite n. 18821/2013, nella parte in cui impone il necessario bilanciamento tra il valore costituzionale dell'intangibilità del giudicato e [] il diritto fondamentale ed inviolabile della libertà personale , per poi esaminare la massima in tema di bilanciamento tra l'attenuante di cui al comma quinto della disposizione censurata e la recidiva, ma, dopo aver accennato alla valutazione di gravità del fatto limitandosi a ripercorrere le ragioni espresse nel precedente giudizio, afferma Si dovrà tener conto delle valutazioni di merito già espresse dal giudice di cognizione [] In tal modo il giudicato viene superato solo quanto alla commisurazione della pena, in quanto, comunque, si tiene conto delle valutazioni effettuate dal giudice della cognizione sulla gravità del fatto . Ci si domanda come può il giudice dell'esecuzione commisurare la pena, innervandola all'interno del nuovo compasso edittale, senza rinnovare una valutazione di gravità del fatto che, in rapporto al diverso spettro sanzionatorio, potrebbe mutare significativamente? Come rideterminare, senza rivalutare? Rivalutazione che, peraltro, avviene condivisibilmente riguardo alla stima della sanzione in prossimità del minimo edittale, abbandonata in favore di una pena base più elevata, correlata al ritorno in essere della previgente fattispecie autonoma, punita meno severamente proprio in virtù della natura della sostanza. Ora è pur vero che mentre l'apprezzamento più generale riguarda le informazioni emerse dal compendio probatorio, il secondo concerne direttamente la dosimetria sanzionatoria, ma, in forza della deroga parziale al giudicato legittimata dall'eccezionalità del caso, per quale ragione scindere forzatamente il sillogismo giudiziario? Perché, in simili condizioni, non sostituire integralmente il punto, riparametrando la congruità della pena nella dimensione attribuitale dal Giudice delle leggi? I precedenti. L'indagine sul tema può essere utilmente arricchita richiamando un analogo provvedimento, reso dal Tribunale di Treviso Tribunale di Treviso, Sezione Penale, Dott. Cristian Vettoruzzo, 18 giugno 2014 . Medesima contestazione formale – violazione dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 – fattispecie concreta similare – cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana , pur con un dato ponderale inferiore pari a circa 1 Kg – pena inflitta in concreto quasi identica con una sanzione pecuniaria lievemente superiore nel caso emiliano . L'indiscutibile affinità, unita alla scarsa consistenza dei precedenti in questa materia, spingono ad una lettura sinottica delle due ordinanze. Il Magistrato Trevigiano sembra segnare in modo più esplicito il confine del proprio operato, sancendo anch'egli la materiale possibilità di superare il giudicato in punto di commisurazione della pena ed escludendo espressamente dal campo valutativo il bilanciamento tra circostanze attenuanti ed aggravanti. Statuisce che La pena base, poi, dovrà essere ridotta di un terzo per effetto del riconoscimento, da parte del giudice della cognizione, delle attenuanti generiche come prevalenti sulla contestata recidiva elementi, questi si, sui quali il giudice della esecuzione non può intervenire . Poco prima, per vero, scriveva Nè la soluzione a rime obbligate” appare imposta da altre considerazioni [] né quella relativa a insuperabili vincoli rappresentati dalle valutazioni effettuate dal giudice della cognizione in sede di commisurazione della pena, atteso che, come ampiamente argomentato, il giudicato viene superato proprio, e unicamente, in tema di commisurazione della pena, allo scopo di ricondurla alla legalità . In sostanza, dunque, sembrerebbe che l’interprete debba incamminarsi su una strada già tracciata, nell'ambito della quale può solo spostare l'inizio e la fine del percorso, rinnovando pedissequamente scelte già operate. Ampiezza della discrezionalità. Tralasciando dichiaratamente l'intero panorama delle circostanze che potrebbero verificarsi in concreto – che esorbita ampiamente lo spazio di questa lettura a caldo” – pare utile concentrarsi sulla possibilità che, in simili incidenti, sia rivalutata la mitigazione della pena, nel reviviscente quadro astratto, dalla concessione delle circostanze attenuanti generiche. La funzione dell'istituto ha diviso gli interpreti taluni hanno inteso la norma come corollario teso a supplire eventuali carenze applicative dell'art. 133 c.p., garantendo la proporzione tra pena in concreto, gravità del fatto e personalità dell'autore Cass. Pen., 23 agosto 1990, Poliseri , CED 185267, in Rivista Penale , 1991, 531 ss conforme a Cass. Pen., 13 marzo 1987, Anselmo , CED 176791 altrove, con indirizzo ermeneutico di conio più recente, si è letta come previsione di autonoma valenza, che si aggiunge ai tradizionali canoni di dosimetria sanzionatoria per cogliere un valore positivo del fatto, non tipizzabile in linea generale ed astratta Cass. Pen., 10 aprile 1995, Faletto , CED 202165, in Cassazione Penale , 1996, 2019 ss conforme a Cass. Pen., 19 febbraio 1992, Gennuso , CED 192381 . Orbene, quale che sia l'opzione interpretativa, resta ferma l'inclusione di tale valutazione nel computo della pena, per renderla rispettosa del principio di ragionevolezza, di cui la congruità costituisce elemento essenziale Cass., Sez. VI Pen., n. 7946/1995, RV. 202165 . Ed allora, ci si chiede perché estrometterle da una valutazione che, privata di arnesi imprescindibili per declinare la pena nella concreta realtà giudiziaria, diviene non dissimile dalla notarile espunzione del frammento di maggior pena illegittimo espressione utilizzata, con altra finalità , in V. MANES L. ROMANO, L’illegittimità costituzionale della legge c.d. Fini-Giovanardi” gli orizzonti attuali della democrazia penale in Diritto Penale Contemporaneo ? Conclusioni. L'indirizzo in esame, che si sta consolidando, pare certamente più ortodosso e presumibilmente influenzato dalla prassi giudiziaria che attribuisce al giudice dell'esecuzione prerogative costantemente arginate dall'intangibilità del giudicato, limite valicabile solamente in ipotesi straordinarie. Altrettanto chiara è la lente – strutturale più che funzionale – con la quale nelle aule si guarda l'art. 62 bis c.p. Sia bene inteso è legittimo e doveroso contenere gli effetti del superamento di un confine processuale fonte di certezza giuridica. A sommesso parere di chi scrive, tuttavia, il giudizio scaturente alla declaratoria di incostituzionalità di un precetto, cui consegue, di fatto, l' illegalità della pena in attuazione, costituisce una condizione affatto ordinaria per questa fase procedimentale. Ed in questa peculiare condizione, in cui il decidente è chiamato a ricondurre alla portata legittima la sanzione, la giurisdizione non può non riappropriarsi di tutti gli strumenti che conducono all'equa commisurazione della pena, senza tralasciarne nessuno. La valutazione della gravità del fatto, invero, è profilo inscindibilmente connesso alla stima del giusto trattamento sanzionatorio – come la stessa rubrica dell'art. 133 c.p. lascia intuire – e che solo con una vera e propria fictio giuridica può essere separata in singole componenti. A ciò s'aggiunga che in altre ipotesi, citate nell'ordinanza trevigiana per motivare l'infondatezza delle tesi che attribuirebbero al giudice dell'esecuzione un ruolo puramente formale, è consentito un sostanziale mutamento della valutazione operata in fase di cognizione ad esempio, con riferimento alla sussistenza di un medesimo disegno criminoso , circostanza che si riflette sull'aspetto soggettivo, comportando una diminuzione di pena in concreto a fronte di una minor grado di disvalore reale espresso dalla condotta complessiva . Potrebbe divenire, perciò, un'occasione mancata per sanare integralmente, tramite l'operato di una porzione di giurisdizione troppo spesso residuale – stretta fra cognizione e sorveglianza – gli effetti nefasti di un intervento legislativo atecnico e preconcetto la Consulta ha parlato, a tal proposito, di penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica che avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 Cost. .

Tribunale di Ferrara, Ufficio GIP-GUP, ordinanza 9 luglio 2014 Giudice Silvia Marini Osserva Con la sentenza oggetto del ricorso è stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione e euro 18.000 di multa, così ridotta per il rito la pena base di anni sei di reclusione ed euro 27.000 di multa in relazione al reato di detenzione illecito di 188 ovuli di hashish per un peso complessivo di circa 2 chilogrammi dosaggio ricavabile 4380 dosi medie singole 1196 dosi commerciali , commesso in Portomaggiore FE , il 20-3-2012. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 32 del 12.2.2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 5.3.2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. I, co. 1, L. 21 febbraio 2006 n. 49 che ha introdotto nel decreto legge 3.12.2005 n. 272 gli artt. 4 bis e 4 vicies ter, i quali, a loro volta, hanno modificato l'art. 73 d.p.r. 309/90, inasprendo, per quanto qui interessa, le pene previste per le condotte relative alle ed. droghe leggere. In particolare, a seguito della legge di. conversione n. 49/06, in vigore all'epoca del fatto commesso dall'istante, la condotta di detenzione illecita di hashish era punita con. la pena della reclusione da sei a venti anni e con la multa da 26.000,00 a 260.000,00 euro. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale tornano ad avere applicazione l'art. 73 del d.p.r. 309/90 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con. le disposizioni impugnate v. motivazione della sentenza . Pertanto., dopo la pronuncia della Corte devono considerarsi nuovamente vigenti le disposizioni del d.p.r. 309/90 nella formulazione antecedente alla modifica apportata dalle nonne della legge dichiarata illegittima, le quali prevedevano, per il reato in questione, la pena da due a sei anni di reclusione e da euro 5.164,00 a euro 77.465,00 di multa. La Corte Costituzionale è intervenuta dichiarando l'illegittimità della norma sanzionante, così che deve porsi il problema del possibile superamento della preclusione del giudicato. Il principio per cui la pena in tutto o in parte inflitta sulla base di una norma successivamente dichiarata incostituzionale non può più essere eseguita, anche se il relativo rapporto è coperto da giudicato, è stato già affermato da - Cass. 977/12 con riguardo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11 bis c.p. - Corte Cost. n. 210/13, intervenuto a. seguito dell'incidente di legittimità costituzionale sollevato dalle Sezioni Unite della Cassazione n. 34472/12, Ercolano, per la vicenda relativa ai ed. fratelli minori di Scoppola Cass. ss. u.u. n. 18821/13, nella cui parte motiva si legge che vi sono argomenti di innegabile solidità che si oppongono alla esecuzione di una sanzione penale rivelatasi, successivamente al giudicato, convenzionalmente e costituzionalmente illegittima Si impone un bilanciamento tra il valore costituzionale dell'intangibilità del giudicato e altri valori, pure costituzionalmente presidiati, quale il diritto fondamentale ed inviolabile alla libertà personale, la cui tutela deve ragionevolmente prevalere sul primo. - da ultimo da Cass. ss.uu. 29 maggio 2014, di cui non sono ancora state depositate le motivazioni, ma si conosce solo l'informazione provvisoria. La Corte ha deciso che la dichiarazione di illegittimità costituzionale non solo di una norma incriminatrice, come pacificamente prescritto dall'art. 2 c.p. e dall'art. 673 c.p.p., ma anche di una norma penale che incida solo sul trattamento sanzionatorio comporta una ridetemi .inazione della pena in sede di. esecuzione, vincendo la preclusione del giudicato. La questione sottoposta, al vaglio della Corte riguardava nello specifico gli effetti di altra sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato illegittimo l'art. 69, co. 4° c.p. nella parte in cui vietava di valutare prevalente la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5° d.p.r. 309/90 sulla recidiva di cui all'art. 99, co. 4° c.p. Le Sezioni Unite hanno affermato che il giudizio di bilanciamento deve essere rinnovato in sede esecutiva e hanno, inoltre, specificato che ai fini della rideterminazione della pena il giudice dell'esecuzione, ove ritenesse prevalente l'attenuante di cui all'art. 73, co. 5° sulla recidiva, dovrà tenere conto del testo di legge come ripristinato a seguito della sentenza Corte Cost. n. 32 del 2014, senza tener conto di successive modifiche legislative . Detta ultima decisione della Corte pare in linea con le precedenti pronunce che hanno evidenziato la diversa portata dell'art. 673 c.p.p. che, com'è noto, limita i propri effetti alle norme incriminatrici dichiarate costituzionalmente .illegittime e dell'art. 30, co. 4° l. 87/1953, il quale recita che quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale é stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali . Secondo l'art. 30 cit., cioè, la pronuncia di incostituzionalità travolge il giudicato non solo quando attiene ad una norma incriminatrice, ma, più in generale, quando attiene ad una norma penale sostanziale, qual è anche quella relativa al trattamento sanzionatorio. L'orientamento giurisprudenziale da ultimo affermatosi deve essere applicato anche nei caso di specie, con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione, nonostante la sentenza emessa nei confronti di divenuta irrevocabile, deve rideterminare la pena. Sussiste un caso di urgenza, in quanto è detenuto per il titolo in questione. Pertanto, la pena originariamente applicata all'odierno ricorrente dovrà essere rideterminata in relazione alle nuove pene edittali vigenti a seguito della sentenza delta Corte Costituzionale n. 32 del 2014, che presentano limiti edittali inferiori in misura rilevante. Si dovrà tener conto delle valutazioni di merito già espresse dai giudice di cognizione. Nel caso di specie, il giudice della cognizione ha applicato la pena partendo dal minimo edittale della pena detentiva e da un importo di poco superiore al minimo della pena pecuniaria vigenti all'epoca del fatto per l'ipotesi di cui al 1° comma dell'art. 73 d.p.r. 309/90. Inoltre, detto giudice, nella, parte motiva della sentenza, ha messo io evidenza la gravità della condotta in relazione al dato quantitativo della sostanza, avente valore commerciale pari a euro 1.4.368, ed al confezionamento della droga. L'imputato, poi, non ha dato alcun segnale sintomatico di ravvedimento. Non sono sfate concesse circostanze attenuanti ed è stata operata la riduzione per il rito. La sentenza è stata confermata dalia Corte di. Appello adita in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Ad avviso del decidente, alla luce delle argomentazioni svolte nella sentenza e degli elementi emergenti dal fascicolo processuale, la pena non può essere rideterminata nel minimo edittale. Le norme dichiarate incostituzionali sanzionavano indifferentemente tutte le condotte relative a droghe pesanti o leggere con la medesima pena, per cui era normale attenersi - con riguardo alle droghe leggere - su minimo edittale al fine di comminare pene ragionevoli, in relazione al fatto concreto. Tale circostanza oggi non può essere nuovamente considerata nei momento in cui. si debba misurare concretamente la pena all'interno del mutato quadro edittale, che già tiene conto della diversa natura, della sostanza stupefacente si ritiene, pertanto, che il giudice dell'esecuzione ben può rideterminare la pena in presenza della detenzione di un. significativo quantitativo di droga leggera in misura superiore al minimo edittale di anni due di reclusione. In tal modo il giudicato viene superato solo quanto alla commisurazione della pena, in quanto, comunque, si tiene conto delle valutazioni effettuate dal giudice della cognizione sulla gravità del fatto. Di conseguenza, la pena originariamente applicata dovrà essere cosi rideterminata nel modo seguente pena base di anni tre e mesi sei di reclusione e 9.000,00 euro di multa, ridotta per il rito ad anni due e mesi quattro di reclusione e 6.000,00 euro di multa. Come si è detto, ai sensi dell'art. 30 L. 87/53 alla declaratoria di incostituzionalità segue la cessazione dell'esecuzione della condanna e di tutti gli effetti penali. Va, pertanto, revocata la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque. P.Q.M. Visti gli artt. 665, 666 c.p.p., 30 L. 87/1953, in parziale modifica della sentenza a 443/12 emessa dal. G.I.P. del Tribunale di Ferrara il 30-10-2012, irrevocabile il 28-5-2013, nei confronti di in premessa generalizzato, ridetermina la pena applicata con delta sentenza in anni due e mesi quattro di reclusione e 6.000 euro di multa revoca la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque. Manda alla cancelleria per quanto di competenza ed in particolare per l'immediata trasmissione al Pubblico Ministero per le proprie determinazioni essendo la pena in esecuzione, evidenziando l'assoluta urgenza per la possibilità che debba disporsi la scarcerazione del condannato.