Il sequestro preventivo contro l’indiziato di mafia colpisce anche quanto è provento di evasione fiscale

Le Sezioni Unite chiudono ad una timida diatriba giurisprudenziale. Non occorre un rapporto di stretta pertinenzialità della misura con le attività di matrice mafiosa.

Lo hanno deciso le Sezioni Unite, n. 33451/2014 dep. il 29 luglio. Il dubbio delle Sezioni Unite. L’art. 2 ter legge n. 575/1965 – attualmente art. 24 d.lgs. n. 159/2011, c.d. codice antimafia – prevede la confiscabilità dei beni appartenenti all’indiziato di mafia di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o a quanto segue l’esercizio della propria attività economica. Prevale l’idea che non valga ad escludere la sproporzione la presenza di sacche d’evasione fiscale che abbiano alimentato lo scostamento dai parametri di proporzionalità. Risulta ossia indeducibile l’evasione fiscale al fine di giustificare il suddetto scostamento . Le Sezioni Unite pongono la pietra tombale sul punto, superando i pochi precedenti contrari, nella prassi applicativa più favorevoli per l’indagato. Gli argomenti delle Sezioni Unite. Va innanzitutto isolato un profilo di coerenza ordinamentale si tratta di sostanze economiche evase dunque non lecitamente acquisite – neanche in caso di adesione ad una procedura di condono -. Quindi, salvo prospettare esiti paradossali – un’attività illecita che riparerebbe da una misura afflittiva mossa nei confronti dell’indiziato – si tratta di somme non invocabili ai fini liberatori. L’evasione fiscale non può giustificare la sproporzionalità. Inoltre, sotto il profilo funzionale o di sotteso interesse pubblico, la confisca preventiva si fonda sul giudizio di pericolosità sociale insito nell’attitudine mafiosa dell’indiziato. La misura ablativa ex art. 2- ter cit. mira a sottrarre al circuito economico quanto sproporzionato ed eccessivo rispetto a quanto dichiarato, il fine depuratore dei traffici dell’economia attrae quanto riferibile anche ad altre” attività illecite – o contra legem , fra cui vengono pacificamente inquadrate le elusioni agli obblighi contributivi e fiscali, non necessariamente costituenti reato e nemmeno necessariamente di provenienza mafiosa, anche quando indirettamente reinvestite in attività commerciali lecite -. Si tratta di un decisivo dato sistematico , il riferimento ad altre attività illecite”, per definire il perimetro della sproporzionalità, è criterio ex lege riscontrabile, invece assente nel tenore di legge dell’art. 12- sexies della l. n. 356/1992 segue , spesso invocato in comparazione con la confisca preventiva de qua . La soluzione ormai superata. Altro è la confisca preventiva ex art. 2-ter cit. altro è la confisca c.d. allargata ex art. 12-sexies della l. n. 356 del 1992. Per quest’ultima la giurisprudenza è giunta ad esiti opposti. E’ innanzitutto caratterizzata da una distinta ratio legis, richiede la commissione di specifici reati accertati da condanna – mentre la confisca preventiva prescinde dal reato per accedere ad un giudizio di pericolosità sociale -. Inoltre, in particolare, aggredisce quanto incoerente con i redditi dichiarati o con la propria attività economica, al fine di impedire la realizzazione di nuovi reati – viene dunque esclusa la proprietà funzionale della misura preventiva ex art. 2 ter cit. di cui al paragrafo precedente -. Le differenze qualitative delle misure nonché l’incoerenza delle strutture normative – il mancato riferimento alle altre attività illecite” nella confisca ex art. 12- sexies cit. – ne impediscono l’assimilazione. In conclusione per la confisca preventiva ex art. 2- ter cit. non sono deducibili dall’indiziato, al fine di impedire il giudizio di sproporzione, i proventi o gli arricchimenti da evasione fiscale, come invece sostenuto in caso di confisca allargata ex art. 12- sexies cit.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 29 maggio – 29 luglio 2014, sentenza n. 33451 Presidente Santacroce – Relatore Zampetti Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Milano, con decreto in data 30 novembre 2011, disponeva nei confronti di R.D. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per la durata di anni due e mesi sei, il versamento di cauzione e la confisca di numerosi beni sia immobili - agricoli ed urbani - sia mobili, tra i quali titoli di vario genere, denaro depositato in conti correnti, in parte intestati al R. stesso, in parte intestati a terzi, e segnatamente a a M.S. , moglie del R. b S.V.F. Immobiliare s.r.l., con sede in c New City Bar s.r.l., con sede in omissis d Medusa Invest Ltd., con sede nelle omissis e MR Pneumatici s.r.l., con sede in f Mondial 2000 impresa individuale di Mu.Ro. con sede in omissis . A sostegno del provvedimento di prevenzione personale il Tribunale deduceva il passato criminale del proposto, richiamando 1 la condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso intervenuta nel novembre del 1997 e passata in giudicato il successivo 9 dicembre 1998, per condotte risalenti al 1986 quale sodale della Cosca Garofolo contrapposta a quella Imerti 2 la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale per la durata di un anno, decisa dal Tribunale di Reggio Calabria con decreto del 29 ottobre 1992, divenuto definitivo il 3 novembre 1995 3 le condanne per furto, ricettazione ed emissione di assegno a vuoto succedutesi dal 1987 al 1990 4 l'arresto il 15 novembre 1997 per associazione per delinquere finalizzata a truffe e condotte fallimentari, reati per i quali era condannato con sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano il 10 novembre 2011 5 le numerose frequentazioni con malavitosi accertate nel corso di controlli eseguiti tra il 2004 ed il 2009. In ordine, invece, al provvedimento di prevenzione patrimoniale il Tribunale argomentava che il R. non aveva giustificato la legittima provenienza dei beni confiscati, di valore rilevantissimo, sproporzionato rispetto ai redditi del proposto e dei terzi interessati a titolo esemplificativo era segnalato che l'imbarcazione intestata alla società Medusa Invest aveva un valore di tre milioni di Euro e perché acquisiti i beni stessi reimpiegando il frutto di illecite attività. 2. Avverso la misura personale proponeva appello il R. , eccependo in via preliminare l'incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, e lamentandone, nel merito, l'inattualità sia perché l'ultima condotta delittuosa giudicata in suo danno risaliva al 2006 peraltro con transazione in favore della curatela fallimentare e versamento di Euro 120.000,00 alla stessa , sia perché di scarso rilievo erano le poche frequentazioni di persone ritenute pregiudicate. Da valutarsi rilevante era, viceversa, l'attività lavorativa intrapresa stabilmente all'estero e significativa, infine, la revoca della libertà vigilata decisa in suo favore nel 2001 dal Magistrato di Sorveglianza di Reggio Calabria. Veniva appellata anche la decisione relativa alla complessa misura patrimoniale con impugnazioni dello stesso R. , della moglie M.S. , anche nell'interesse dei due figli minori, e di Mu.Ro. , madre della M. , i quali tutti sostanzialmente denunciavano che, nel considerare il requisito della sproporzione tra redditi percepiti e valore dei beni confiscati, il Tribunale aveva considerato semplicemente i redditi individuali e non già anche i cospicui ed accertati profitti societari. Inoltre rilevavano che il valore delle società stesse, ai fini del rapporto appena detto, andava individuato con riguardo a quello quantificabile al momento della loro acquisizione e non già a quello successivo, implementato dalla positiva gestione societaria e dagli investimenti eseguiti legittimamente. I profitti societari ben giustificavano, secondo l'opinamento difensivo, gli acquisti immobiliari della M. , impegnata per anni come amministratrice societaria. 3. La Corte di appello di Milano, con provvedimento del 6 dicembre 2012, revocava la confisca del saldo attivo del libretto postale n. 26083256 intestato a R.D. , confermando nel resto il decreto appellato. A sostegno della decisione assunta la Corte territoriale osservava quanto segue. Sulla contestata competenza territoriale dell'autorità giudiziaria milanese considerava che il fondamento della misura personale e di quella reale era da ricercarsi nell'attività delittuosa svolta in danno della società di Milano per la quale era intervenuta nel 2011 la sentenza di condanna del Tribunale di Milano a cinque anni e dieci mesi di reclusione e questo radicava la competenza del Tribunale milanese il dedotto trasferimento all'estero del proposto risultava contraddetto dalla stessa documentazione difensiva versata in atti, là dove si dimostrava il rapporto di lavoro subordinato del medesimo alle dipendenze della MR Pneumatici s.r.l. dal gennaio del 2009 al giugno del 2012. Sulla misura personale rilevava che i profili di pericolosità qualificata relativi al proposto prendevano corpo da tempi lontani, vale a dire dal 1992, anno della prima misura di prevenzione personale proseguivano fino al 1997, epoca della prima condanna per 416-bis cod. pen. si sviluppavano ulteriormente attraverso una serie di condotte delittuose caratterizzate dalla sottrazione di beni e da mancati pagamenti di obbligazioni assunte e giungevano, infine, ai reati più recenti, commessi nel 2007, in danno della società. Osservava, altresì, che l'attività di commercializzazione di pneumatici, iniziata nel 1987, con un fatturato di 700 milioni di lire nel 1991, appariva contraddistinta da comportamenti inquietanti, come la ricettazione di gomme rubate in Piemonte per sessanta milioni di lire e la reiterata emissione di assegni a vuoto. Considerava, ancora, che il proposto aveva sempre frequentato personaggi di spicco della criminalità organizzata e non per ragioni occasionali, come dimostrato dagli incontri registrati in autovetture anche blindate decisiva andava considerata, ai fini delle fortune accumulate dal proposto ed a quelle connesse alla procedura di prevenzione, la vicenda , per la quale, in relazione ai reati di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta e truffa continuata il Tribunale aveva individuato 136 episodi truffaldini dai quali erano derivati profitti per complessivi 524.000 Euro e distrazioni fallimentari per oltre 1.200.000 Euro , il R. era stato condannato alla pena di cinque anni e dieci mesi di reclusione. Tale condanna aveva determinato il Pubblico Ministero a richiedere, nel settembre 2009, le misure di prevenzione per cui è causa, in ragione del fatto che le modalità operative del proposto erano caratterizzate dal finanziamento, attraverso il delitto, di attività commerciali i profitti delle quali erano poi assicurati attraverso gestioni caratterizzate da ulteriori condotte illecite in tale prospettiva andavano lette le vicende relative alla ricettazione di pneumatici per 60 milioni di lire del 1988 e quelle di cui alla bancarotta della società VECAM. Sulla misura patrimoniale rilevava che i redditi percepiti dai ricorrenti dal 1984 per i profitti aziendali, al netto, erano di palese modestia. La consulenza tecnica di parte aveva cercato di dimostrare che tutte le acquisizioni patrimoniali oggetto di confisca erano il frutto di profitti aziendali leciti conseguiti dalla ditta individuale International Pneus, dalle s.r.l. Mondial Tires e MR Pneumatici e dalla unipersonale Mondial, nonché dalla ditta individuale Mondial 2000. Dall'approfondito esame delle documentazioni aziendali si era accertato, tuttavia, che i finanziamenti iniziali e le gestioni commerciali successive erano strettamente collegati a risorse provenienti da delitto ed a condotte delittuose. La Corte sottoponeva, quindi, singolarmente a rassegna le singole realtà aziendali innanzi menzionate ed i singoli beni confiscati, per ognuno evidenziando dati e circostanze che dimostravano l'assunto posto a fondamento delle misure impugnate, valorizzando particolarmente, in tale contesto, la vicenda relativa alla bancarotta ed alle collegate condotte delittuose. 4. Il ricorso per cassazione.- Con atto datato 6 aprile 2013, R.D. in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori V.D. e F.S. , la moglie M.S. quale terza interessata anche nell'interesse dei suddetti figli minori, nella sua qualità di legale rappresentante della SVF Immobiliare s.r.l. e della MR Pneumatici s.r.l. e di cessionaria della quota di partecipazione della Tuttogomme s.r.l. e Mu.Ro. , madre della M. terza interessata nella sua qualità di legale rappresentante della Mondial 2000 , assistiti dai comuni difensori di fiducia, nominati all'uopo procuratori speciali Avv. Antonio Managò e Avv. Umberto Abate , ricorrevano per cassazione avverso il suddetto decreto della Corte di appello di Milano, sviluppando tre motivi di impugnazione. La difesa dei ricorrenti, col primo di essi, denunciava violazione di legge in relazione all'art. 4, comma 2, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, assumendo che erroneamente era stata individuata la competenza per territorio dell'autorità giudiziaria milanese. Ad avviso dei ricorrenti, in costanza, come nella fattispecie, di una pluralità di condotte criminose poste in essere in luoghi diversi, ai fini in parola avrebbe dovuto farsi riferimento al luogo ove si era manifestata la pericolosità qualificata di maggiore spessore, luogo nel caso in esame da individuare nella provincia di Reggio Calabria ove era stato consumato il reato di gran lunga più grave tra quelli per i quali era stato giudicato il R. , vale a dire il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. A ciò si doveva aggiungere che tutte le altre condotte delittuose ovvero di rilievo ai fini della prevenzione risultavano collocate nell'area reggina, di guisa che le vicende collegate alla dovevano intendersi, nel complessivo compendio istruttorio, come episodio isolato, peraltro caratterizzato dal reato di associazione per delinquere non di tipo mafioso. Similmente le attività imprenditoriali del proposto, pure valorizzate ai fini di prevenzione dai giudici territoriali, erano nate e si erano sviluppate, anche secondo le modalità criminali accreditate dai giudicanti, in terra reggina e lontano dalla Lombardia. Col secondo motivo di ricorso la difesa denunciava la violazione dell'art. 18 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136 , sul rilievo che detta disciplina non avrebbe potuto trovare applicazione al caso di specie in forza della previsione contenuta nella norma transitoria, ex art. 117, e che, pertanto, nella fattispecie in concreto dedotta ricorreva la necessità di uno stato di pericolosità riferito all'attualità, requisito non sussistente in relazione al R. . Col terzo motivo di impugnazione denunciava ancora la difesa violazione di legge in relazione agli artt. 1, 2, 2-bis, 2-ter L. 1423/1956, sub specie della motivazione meramente apparente. In particolare osservava che i giudici di merito avevano collegato la ritenuta pericolosità sociale del proposto alla vicenda relativa alla bancarotta della società e, pertanto, ad episodi tutti antecedenti al 2006, senza peraltro tener conto della transazione con la curatela fallimentare conclusa dal R. per Euro 112.000 comunque significativa per delimitarne la pericolosità. Peraltro, le frequentazioni del proposto valorizzate dai giudici territoriali risalivano al periodo 2004-2009, da ciò derivando l'assenza del requisito dell'attualità della pericolosità, tenuto conto che i fatti si collocavano cinque anni prima del decreto di prevenzione reso dal Tribunale. Rilevava ancora la difesa che, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, le frequentazioni malavitose potevano assurgere ad elemento di indizio e sospetto ai fini di prevenzione soltanto quando ne fosse dimostrata la finalizzazione a commettere azioni delittuose. Nello specifico si trattava di otto episodi avvenuti tra il 2004 ed il 2009, peraltro registrati quasi sempre in piccoli centri del reggino ove è assai semplice l'incontro casuale. Considerava, quindi, che il numero degli incontri e la forbice temporale nel cui ambito essi sarebbero avvenuti non consentivano, sul piano logico, di ritenere le frequentazioni, tanto valorizzate dal giudice della prevenzione, come ripetute in ogni caso, delle stesse non era stata dimostrata la significatività nonostante l'insegnamento di legittimità fosse nel senso della loro rilevanza solo in caso di concreta pericolosità. A ciò si doveva aggiungere -sosteneva sempre il ricorrente - che nel 2001 la magistratura di sorveglianza di Reggio Calabria aveva dichiarato cessata la pericolosità sociale di esso R. , annullando un contrario decreto del Tribunale pronunciato nel 1999, di guisa che le attività indicate nel decreto impugnato sub 25, 26 e 27 corrispondevano ad un periodo per il quale è stata esclusa la pericolosità dell'attuale proposto. Da tanto derivava la legittimità delle notevoli plusvalenze acquisite dall'acquisto nel 2004, per Euro 361.519 di capannoni siti in OMISSIS dalla Mondial s.r.l. unipersonale, poi rivenduti al prezzo di Euro 1.860.000.000 tale è il dato numerico indicato dalla difesa a pag. 37 del ricorso . Tali plusvalenze avevano consentito legittimamente gli acquisti di altri beni, tra cui quelli effettuati da M.S. e dalla SVF Immobiliare s.r.l I ricorrenti contestano, quindi, che i giudici territoriali non abbiano valutato i tempi in cui sono stati eseguiti gli acquisti apoditticamente cumulati nell'unità della confisca, anche in considerazione dell'avvenuta dimostrazione del rapporto privilegiato del proposto con la Michelin s.p.a., in forza del quale i pagamenti degli ordini avvenivano a distanza di molti mesi, circostanza che aveva consentito l'implementazione del volume di affari da poco meno di 6 milioni di Euro a quasi 19 milioni di Euro tra il 2002 ed il 2004. A detta della difesa, il giudice territoriale, in contrasto con l'insegnamento giurisprudenziale, non aveva valutato ai fini del giudizio di prevenzione i singoli beni e le singole attività, né aveva considerato la posizione dei terzi in relazione ai quali l'onere probatorio deve essere più incisivo quanto alla discrasia tra intestazione formale e reale disponibilità lo stesso decreto impugnato evidenziava che già dal 2000 i ricorrenti avevano instaurato rapporti commerciali, propri della grande distribuzione, con Paesi stranieri Emirati Arabi, Egitto, Giordania, Libia ed altri . Sotto diverso aspetto, i giudici territoriali avevano valorizzato, ai fini del giudizio di prevenzione, una ritenuta colossale evasione fiscale della quale, per superiore insegnamento, non può tenersi conto per l'ammontare del reddito in contesti quali quelli di causa. Ebbene, ai fini della sproporzione di cui all'art. 2-ter legge 575/1965, i ricorrenti assumono che si debba avere riguardo al reddito dichiarato ovvero all'attività svolta, previsione, questa, alternativa che impone la considerazione, ai fini anzidetti, anche delle somme fiscalmente evase, come riconosciuto pure dalla giurisprudenza di legittimità nelle sentenze n. 29926/11 e n. 21265/12. La difesa evidenziava, ancora, che la M. era stata assolta in sede penale dal reato di infedele dichiarazione fiscale come pure che dall'imponente evasione fiscale il decreto impugnato aveva fatto discendere anche l'acquisto, in data 20 giugno 2007, dell'immobile posto in OMISSIS per il prezzo dichiarato di Euro 39.500,00, di guisa che illegittimamente era stata disposta al riguardo la confisca di prevenzione. Detto bene, inoltre, esageratamente valutato dall'amministratore giudiziario, non era stato considerato nel suo valore al momento dell'acquisto, ma in esso ricomprendendo le migliorie per le quali nessuna indagine risulta effettuata analoghe considerazioni valevano per gli immobili di cui ai punti 1, 2, 3 foglio 51 del decreto . In ordine poi all'imbarcazione confiscata, i ricorrenti contestavano che i giudici territoriali avessero ritenuto provata la proprietà effettiva dell'imbarcazione in capo a M.S. ancorché non era stato provato alcun suo esborso. Da ultimo la difesa si doleva della particolarmente severa - ed immotivata - dimensione del lungo tempo stabilito per la misura di sorveglianza di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno. 5. Con argomentata requisitoria scritta in data 15 luglio 2013 il P.G. in sede, in persona del Sostituto Gioacchino Izzo, ha concluso per il rigetto del ricorso, rilevando come il provvedimento impugnato si fosse sviluppato secondo linee giurisprudenziali consolidate. 6. A tali conclusioni ha replicato la difesa istante con memoria difensiva depositata il 20 novembre 2013, osservando ulteriormente che la previsione di cui alla legge 94/2009, novellatrice dell'art. 2-bis legge 575/1965 - che consente la misura di prevenzione patrimoniale anche prescindendo dalla verifica della pericolosità del proposto - si applica alle fattispecie successive all'entrata in vigore della legge, come precisato da Cass. n. 14044/2013, e pertanto non al caso in esame il proposto inoltre era stato considerato non come pericoloso per mafia, ma pericoloso generico ex art. 1 L. 1423/1956 di qui la piena legittimità delle censure difensive sviluppate sul punto. 7. La rimessione della questione alle Sezioni Unite.- La Prima Sezione penale, con ordinanza in data 12 dicembre 2013, depositata il 17 febbraio 2014, ha ritenuto infondata la sollevata eccezione di incompetenza territoriale ed ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, per le ragioni di seguito indicate. Quanto alla censura relativa alla competenza territoriale, preliminare all'esame delle doglianze in diritto, la Corte ha rilevato che i giudici del merito avevano valorizzato come circostanza di fatto rilevante sul punto, determinante quindi per l'attivazione nel 2010 della procedura di prevenzione presso il Tribunale di Milano, le vicende connesse al fallimento della s.r.l., sia per le modalità, sia per dimensioni criminali, sia infine per i profitti conseguiti con le condotte distrattive e truffaldine di poco inferiori a due milioni di Euro . Su tali premesse fattuali corretta si appalesava - a detta della Corte - l'individuazione del giudice della prevenzione competente a conoscere i fatti di causa nell'autorità giudiziaria milanese, posto che nel distretto della Corte di appello di Milano risultavano consumate le innumerevoli condotte, di rilevanza penale, attraverso le quali erano stati conseguiti gli illeciti profitti sintomatici della pericolosità del proposto. Ai fini in parola il Collegio ha rammentato che la competenza territoriale, nel procedimento di prevenzione, deve essere individuata sulla base della dimora del proposto cfr. art. 5 d.lgs. 159/2011, richiamato per la prevenzione patrimoniale dall'art. 23, che riproduce e coordina l'art. 4, comma, legge 1423/1956, l'art. 2 legge 575/1965 e l'art. 19 legge 152/1975 sulla competenza e che tale si deve intendere il luogo in cui il soggetto abbia tenuto comportamenti sintomatici della sua pericolosità, traendo vantaggi per sé non assumono pertanto rilievo alcuno né le risultanze anagrafiche, né il luogo ove la persona vive abitualmente, dovendosi avere riguardo, piuttosto, allo spazio geografico ambientale nel quale lo stesso abbia manifestato comportamenti socialmente pericolosi, idonei a fornire elementi sintomatici della sua pericolosità, come da pacifica giurisprudenza Sez. U. n. 16 del 1996, Simonelli Sez. 6, n. 23090 del 2004, Alecci Sez. 5, n. 19067 del 2010, Gaglianò . Nell'ordinanza in esame si legge, altresì, che, in ragione della disponenda rimessione alle Sezioni Unite della questione di diritto sottesa al ricorso, l'infondatezza della eccezione di competenza è stata affermata incidenter tantum e solo come passaggio necessario per l'ulteriore momento motivazionale. Ciò posto il Collegio ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di investire le Sezioni Unite della Corte. Ha, innanzitutto, premesso che il caso in esame prendeva le mosse con la richiesta di misura di prevenzione, personale e patrimoniale, avanzata dalla Procura della Repubblica di Milano in data 28 settembre 2010 e che ad esso, pertanto, era correttamente stata applicata la disciplina normativa antecedente all'entrata in vigore 13 ottobre 2011 del d.lgs. 159/2011, c.d. codice antimafia, ai sensi delle disposizioni transitorie di cui all'art. 117 dello stesso decreto legislativo. Ha, quindi, rilevato che la contestata confisca, adottata ai sensi dell'art. 2-ter legge 575/1965, presuppone, tra gli altri, il requisito oggettivo della sproporzione tra il valore dei beni oggetto della confisca ed il reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o [ .] la propria attività economica” e che i giudici di merito non avevano considerato, al fine di valutare la legittima provenienza dei beni e la legittimità del loro acquisto, le risorse rivenienti da un'evasione fiscale riferibile ai soggetti destinatari del provvedimento, giudicata dalla Corte di merito in termini di enorme rilevanza e comunque di per sé illecita. Orbene, la questione di diritto posta dalla difesa riguardava la legittimità di una siffatta decisione, ovverosia se possa essere ritenuto giuridicamente corretto, ai fini di valutare la legittima provenienza dei beni sottoposti a sequestro e successivamente a confisca, ai sensi dell'art. 2-ter legge 575/1965 oggi artt. 16 e segg. d.lgs. 159/2011 considerare o meno le risorse eventualmente lucrate dal sottoposto attraverso infedele dichiarazione dei redditi. La Sezione rimettente rileva, quindi, che su analoga questione di diritto a margine della disciplina di cui all'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, recante ipotesi particolari di confisca”, là dove è previsto che in costanza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta per i reati contemplati al primo comma è sempre disposta la confisca” di beni di valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”, si è formata un'ampia lezione giurisprudenziale, diffusamente richiamata dalla difesa ricorrente. Per Sez. 6, n. 29926 del 31/05/2011, Tarabugi, Rv. 250505 e Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, dep. 2012, Barba, Rv. 252855, infatti, Al fine di valutare la legittima provenienza dei beni di cui l'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 consente il sequestro preventivo e la confisca, è irrilevante la circostanza che le fonti lecite di produzione del patrimonio siano identificabili, in termini non sproporzionati ad esse, nel reddito dichiarato a fini fiscali, ovvero nel valore delle attività economiche svolte, produttive di reddito imponibile pur nell'assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi”. Motivando il principio, la Suprema Corte ha svolto l'argomento secondo cui la ratio dell'istituto mira a colpire i proventi di attività criminose, non a sanzionare la condotta di infedele dichiarazione dei redditi, che si colloca in un momento successivo rispetto a quello della produzione del reddito, e per la quale soccorrono specifiche previsioni in materia tributaria in termini Sez. 1, n. 6336 del 22/01/2013, Mele, Rv. 254532 Sez. 6, n. 44512 del 24/10/2012, Giacobbe, Rv. 258366 Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, Scognamiglio, Rv. 253956 . Nell'ordinanza in esame è dato atto che in senso contrario, sempre sull'art. 12-sexies, al di là di precedenti lontani nel tempo cfr. Sez. 1, n. 2860 del 10/06/1994, Moriggi, Rv. 198941 , si era espressa di recente la stessa Corte con la sentenza Sez. 2, n. 36913 del 28/09/2011, Lopalco, Rv. 251151, nella quale era stato richiamato proprio l'orientamento affermatosi in relazione alla confisca di prevenzione in termini, Sez. 2, n. 32563 del 14/06/2011, De Castro, non massimata, ove si era sottolineata la sufficienza della dimostrazione della non lecita provenienza del bene che è comunque deducibile dall'evasione fiscale . Sotto diverso aspetto, il Collegio rileva che, pur essendosi consolidato l'orientamento per il quale nella confisca di prevenzione restano illeciti - quindi inopponibili a fini liberatori - i redditi derivanti da evasione fiscale, non risulta però specificamente precisato se tali redditi si debbano identificare con l'intero imponibile al lordo dell'imposta dovuta, ovvero come l'ordinanza ritiene dovrebbe ritenersi più corretto solo con l'importo corrispondente all'imposta evasa. Sul punto è richiamata Sez. 6, n. 950 del 22/03/1999, Riela, Rv. 214507, a parere della quale anche i proventi di eventuali frodi fiscali sono, a fini di prevenzione, da considerare di illecita provenienza, nonché Sez. 2, n. 2181 del 06/05/1999, Sannino, Rv. 213853, che ha riconosciuto la legittimità del provvedimento di confisca dei beni appartenenti al prevenuto che ne aveva giustificato il possesso dichiarando di averli acquistati con i proventi dell'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto principio, quest'ultimo, già affermato da Sez. 6, n. 258 del 23/01/1998, Bonanno, Rv. 210834, e nuovamente da Sez. 6, n. 36762 del 27/05/2003, Lo Iacono, Rv. 226655 Sez. 2, n. 27037 del 27/03/2012, Bini, Rv. 253405 e da Sez. 1, n. 39204 del 17/05/2013, Ferrara, Rv. 256140 nello stesso senso, anche se con specificazione di principio più in generale riferita a qualsivoglia condotta delittuosa, e pertanto anche a quelle di natura fiscale, Sez. 5, n. 27228 del 21/04/2011, Cuozzo, Rv. 250917 . La Prima Sezione, tanto premesso, osserva che la diversità di orientamenti contrastato al suo interno l'uno, uniforme l'altro , ancorché relativa a confische disciplinate da normative diverse art. 12-sexies d.l. 306/1992, in funzione di sanzione accessoria, e art. 2-ter legge 575/1965, in funzione di misura di prevenzione , non sembra trovare logica giustificazione. I testi normativi sono infatti del tutto sovrapponibili e comune si appalesa, per entrambi gli istituti, la ratio legis , che è quella di contrastare soggetti socialmente pericolosi e dediti al delitto colpendone i patrimoni. Il Collegio, pertanto, ritenendo meritevole di seria considerazione la richiesta della difesa di applicare anche agli effetti dell'art. 2-ter legge 575/1965 l'orientamento affermatosi, in modo prevalente, in sede di interpretazione dell'analoga disposizione di cui all'art. 12-sexies d.l. 306/1992, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, al fine di fare piena e definitiva chiarezza sulla corretta lettura delle norme predette, evitando di protrarre ed eventualmente aggravare i contrasti applicativi in una materia così delicata. 8. Il Procuratore Generale, sempre in persona del Sostituto Gioacchino Izzo, con atto depositato il 7 aprile 2014, con specifico riguardo alla questione rimessa alle Sezioni Unite, ribadendo il proprio parere negativo, ha rilevato come non sia possibile sostenere la piena sovrapponibilità dei testi normativi di cui agli artt. 12-sexies legge 356/1992 e 2-ter legge 575/65, giacché solo in quest'ultima norma è affermata anche la possibilità di attingere con la confisca di prevenzione il frutto dell'attività illecite”, quali appunto sono i proventi dell'evasione fiscale, fenomeno che, ove pure non abbia rilievo penale per mancato superamento delle soglie di punibilità, è comunque amministrativamente illecito, tanto da dar luogo all'irrogazione di sanzione tributarie. 9. Il Primo Presidente, con decreto in data 19 febbraio 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza camerale. Considerato in diritto 1. La questione controversa rimessa alla cognizione delle Sezioni Unite è stata conseguentemente sintetizzata nei seguenti termini Se, ai fini della confisca di cui all'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, titolare diretto o indiretto dei beni, debba tenersi contro o meno dei proventi dell'evasione fiscale . 2. Prima di affrontare i temi centrali del ricorso ed in particolare la questione rimessa alle Sezioni Unite, si rende necessario - per la sua pregiudizialità -risolvere il tema della competenza territoriale, proposto con il primo motivo del ricorso, sul quale la motivazione dell'ordinanza di rimessione ha esplicato considerazioni di condivisione di quelle dei giudici del merito sul punto, ma - dichiaratamente - incidenter tantum . Va dapprima rilevato, in proposito, come la deduzione sia sicuramente ammissibile, posto che risulta in atti che l'eccezione era stata proposta già davanti al Tribunale e poi riproposta in Corte d'appello, e comunque dovendosi qui richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la questione della competenza per territorio, in subiecta materia , può essere proposta anche per la prima volta in sede di legittimità v. Sez. 5, n. 19067 del 31/03/2010, Gagianò, Rv. 247503 Nel procedimento di prevenzione, la questione relativa all'incompetenza territoriale del giudice, essendo anche correlata al genus dell'incompetenza funzionale dell'organo proponente, ed essendo essa stessa di natura funzionale e inderogabile, è rilevabile in ogni stato è grado del procedimento, mancando nella disciplina speciale una preclusione temporale” . Ciò posto, deve essere qui convalidata la decisione resa sul punto dai giudici territoriali e condivisa dall'ordinanza di rimessione. Sul tema della competenza territoriale delle misure di prevenzione la giurisprudenza di questa Corte di legittimità è del tutto consolidata nel senso ben delineato, da ultimo, da Sez. 5, n. 9350 del 25/10/2012, dep. 2013, Albamonte, Rv. 255204 Nel procedimento di prevenzione la competenza territoriale si radica - in stretta correlazione con il criterio dell'attualità della pericolosità sociale - nel luogo in cui, al momento della proposta o, ad essere più precisi, in quello della decisione, la pericolosità si manifesti e, nell'ipotesi in cui plurime siano le manifestazioni del tipo in esame e si verifichino, poi, in luoghi diversi, là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di maggiore spessore e rilevanza”. Nello stesso senso si erano peraltro già espresse, tra le altre, Sez. 5, n. 19067 del 31/03/2010, Gaglianò, Rv. 247504, e, ancor prima, Sez. 6, n. 23090 del 15/04/2004, Alecci, Rv. 229955. Tali essendo i parametri giurisprudenziali di corretta interpretazione del quadro normativo in punto di competenza territoriale, che in questa sede devono essere ribaditi, occorre rilevare come i giudici territoriali si siano ben attenuti a tale univoco indirizzo, procedendo ad incrociare il dato dell'attualità della pericolosità del proposto con quello dello spessore e rilevanza delle condotte, criteri che confluivano entrambi nel territorio della circoscrizione milanese. Tanto ritenuto, la valutazione - in fatto, a questi fini - di attualità dal 2000 in poi e di maggiore rilevanza delle condotte di pericolosità sociale vicenda VECAM e collegate , come effettuata da entrambi i giudici di merito, siccome intrinsecamente logica e ben coerente a tutte le evidenze rilevanti in proposito, risulta incensurabile in questa sede di legittimità, tenuto presente che, in subiecta materia, il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge - insussistente nella fattispecie sotto questo profilo - come statuiscono l'art. 4, comma 11, legge 1423/56 e l'art. 3-ter, comma 2, legge 575/65 limitazione che ha superato il vaglio della Corte Costituzionale v. sent. n. 321 del 2004 . Ciò esime la Corte dall'approfondire il merito degli argomenti dei ricorrenti sullo specifico punto, non potendosi mancare, peraltro, di osservare come la diversa localizzazione sostenuta dagli stessi Reggio Calabria, sulla base della condanna per reato ex art. 416-bis cod. pen., sentenza del 28 novembre 1997, e per le attività commerciali svolte in detto territorio negli anni '90 sarebbe decisamente contrastante con il fondamentale criterio dell'attualità della pericolosità. Per completezza va solo aggiunto come sia irrilevante che il proposto abbia, nel frattempo, trasferito la propria residenza anagrafica in territorio inglese, una volta accertata la pericolosità in territorio nazionale, secondo condivisibile criterio già altre volte statuito dalla giurisprudenza di legittimità v. Sez. 1, n. 1281 del 10/11/2006, dep. 2007, Zito, Rv. 235856 . Il primo motivo di ricorso è dunque infondato. 3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione della disciplina intertemporale, assumendo che nel decreto impugnato non si sarebbe tenuto conto della non applicabilità delle norme di cui al d.lgs. n. 159/2011 in ragione della data della proposta 28 settembre 2010 , ricadente nella pregressa normativa, di tal che si rendeva imprescindibile il requisito dell'attualità della pericolosità. È del tutto evidente l'erroneità di tale tesi dei ricorrenti. Ed invero i giudici del merito hanno disposto le misure, quella personale e quelle patrimoniali, in forza della disciplina vigente al tempo della proposta legge 1423/56 e legge 575/65 , limitando le occasionali citazioni della successiva normativa d.lgs. 159/2011 solo per evidenziare - se del caso - la continuità dei principi consolidati che governano la materia. Peraltro è altrettanto evidente che la Corte territoriale non ha omesso di valutare il requisito dell'attualità della pericolosità che sembra essere la ragione del rilievo difensivo , debitamente considerato essenziale, tanto che vi ha fondato la ritenuta competenza territoriale in particolare in considerazione delle condotte degli ultimi dieci anni in area lombarda ed ha ampiamente motivato sul punto che era stato oggetto di specifica doglianza difensiva. È appena il caso di rilevare che anche l'ordinanza di rimessione ha correttamente valutato in tal senso questo profilo dell'impugnazione. Anche tale secondo motivo del ricorso non può, dunque, trovare accoglimento. 4. Vanno ora vagliate le deduzioni dei ricorrenti proposte con il terzo motivo di ricorso - inerenti il merito della decisione - e, in tale ambito, va affrontata e risolta la specifica questione di diritto rimessa, ex art. 618 cod. proc. pen., alle Sezioni Unite. Gli argomenti difensivi attengono ai seguenti quattro aspetti della decisione impugnata che possono cosi essere sintetizzati a le vicende che ruotano attorno alla bancarotta VECAM b le ascritte frequentazioni con pregiudicati c lo sviluppo imprenditoriale fin dagli anni pregressi d la deducibilità dell'evasione fiscale al fine di giustificare la ritenuta sproporzione degli accumuli patrimoniali. La corretta valutazione di tali motivi di ricorso non può prescindere dalla prioritaria e fondamentale considerazione dell'esperibilità del ricorso per cassazione, in subiecta materia , solo per violazione di legge come sopra già ricordato . Occorre dunque verificare, dapprima, se tali motivi di impugnazione, sia pur formalmente versati sub specie di violazione di legge, in realtà non propongano critica agli sviluppi motivazionali dell'impugnato provvedimento. Sul punto non può che farsi richiamo al consolidato insegnamento di legittimità secondo cui il vizio di motivazione ridonda in violazione di legge solo ove si traduca in motivazione del tutto mancante o meramente apparente, non essendo perciò deducibile il vizio di motivazione manifestamente illogica nei suoi vari aspetti della motivazione carente, illogica strictu sensu o contraddittoria . Tale fondamentale distinguo giurisprudenziale è stato anche di recente ribadito da puntuale decisione, proprio sullo specifico tema delle misure di prevenzione, che va qui richiamata e ribadita Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Rv. 257007, Buonocore, che esprime la seguente massima che ha condotto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, in una fattispecie largamente sovrapponibile alla presente Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell'art. 4 della legge 27/12/1956, n. 1423, richiamato dall'art. 3-ter, secondo comma, della legge 31/05/1965, n. 575 ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l'ipotesi dell'illogicità manifesta di cui all'art. 606, lett. e , cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 1956, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente”. Tenendo presente e qui confermando tale fondamentale chiave di lettura, è del tutto evidente che non possono essere positivamente apprezzati i primi tre profili di ricorso nel merito di cui alle lettere a, b, e, del presente paragrafo sui quali - come, peraltro, è reso evidente dalle stesse articolate e puntuali controdeduzioni dei ricorrenti - non può certo dirsi che il decreto impugnato sia affetto da inesistenza o mera apparenza di motivazione. Su tali punti, a conferma della presente valutazione delle Sezioni Unite, non resta che rimandare alla prima parte di questa sentenza nella quale si sono ricordate, sia pur in necessaria sintesi, gli ampi sviluppi motivazionali che sorreggono l'impugnato provvedimento sui punti dedotti. Peraltro - e senza deflettere da tale impostazione - non è chi non veda come sia in relazione alle vicende criminose reati di associazione per delinquere, truffa e bancarotta relativi alle vicende della società VECAM , sia con riferimento alle frequentazioni di soggetti connotati da pericolosità, sia ancora quanto alla valutazione degli sviluppi delle attività imprenditoriali, neppure possa dirsi attinto il minor livello - ripetesi, non rilevante in subiecta materia - della motivazione illogica o contraddittoria, avendo i giudici del merito vagliato tutte le risultanze senza apparenti contraddizioni, del resto limitandosi il ricorso, con inevitabile vizio di aspecificità, a ribadire la soggettiva propria valutazione di una ritenuta maggiore incidenza delle proposizioni difensive. In proposito, per completezza, va qui ribadito il principio di diritto secondo cui non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente, come tale refluente in violazione di legge, la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi in realtà presi in considerazione dal giudice o comunque assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato in tal senso vale qui ricordare l'insegnamento, poi sempre seguito, che - proprio sullo specifico tema delle misure di prevenzione - discende dalla pronuncia Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003, dep. 2004, Criaco, Rv. 229305, che nella sua motivazione esprime questi principi che ben a proposito qui devono essere ribaditi trattandosi proprio di una fattispecie in cui i ricorrenti lamentavano, sub specie asserita violazione di legge, la mancata considerazione di alcune prospettazioni difensive Il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti alla causa, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Corte di cassazione non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa” ed ancora - trattandosi di altro aspetto dedotto dagli odierni ricorrenti quale asserita violazione di legge – La valutazione in concreto [del requisito] dell'attualità costituisce una questione di fatto il cui accertamento esorbita dal controllo di legittimità”. Tutto ciò inevitabilmente comporta che i profili di ricorso fin qui esaminati non possano trovare positivo accoglimento. 5. Venendo ora al quarto punto delle deduzioni dei ricorrenti nel merito della decisione - la deducibilità dell'evasione fiscale al fine di giustificare la ritenuta sproporzione degli accumuli patrimoniali ai fini della confisca di prevenzione - sul quale si incentra la questione di diritto rimessa a queste Sezioni Unite, devono valere le seguenti considerazioni. Occorre dapprima osservare che sullo specifico punto, da tempo oggetto di riflessione giurisprudenziale e dottrinale, la Corte di cassazione ha espresso una solida unità di indirizzo, in senso nettamente negativo, di cui non può non prendersi atto. Si rinviene invero solo una pronuncia in senso contrario Sez. 6, n. 44512 del 24/10/2012, Giacobbe, Rv. 258366 che giunge alle sue conclusioni proprio fondandosi sull'elaborazione giurisprudenziale formatasi in tema di confisca ex art. 12-sexies legge 356/92 e che, per tale motivo, sarà oggetto di successivo esame ma che - va subito notato - non si pone il problema dell'eventuale equiparabilità dei due tipi di confisca . Per il resto, come detto, la giurisprudenza di legittimità è da sempre graniticamente contraria alla deducibilità dei redditi non dichiarati al fisco al fine di escludere l'operatività dell'art. 2-ter legge 575/65. In tal senso, infatti, la Corte si è pronunciata già con la sentenza Sez. 6, n. 265 del 05/02/1990, Montalto, Rv. 183641, in cui si afferma che, al fine di escludere la sproporzione di cui all'art. 2-ter, non possono essere valutati i proventi conseguiti in violazione degli obblighi fiscali in quanto essi di per sé non sono considerabili leciti , derivando pur sempre da un'attività costituente reato”. Del tutto sovrapponibili ad essa le affermazioni formulate nelle successive sentenze Sez. 5, n. 3561 del 10/11/1993, dep. 1994, Ciancimino, Rv. 196461 Sez. 1, n. 148 del 15/01/1996, Anzelmo, Rv. 204036 Sez. 6, n. 258 del 23/01/1998, Bonanno, Rv. 210834 Sez. 2, n. 705 del 26/01/1998, Corsa, Rv. 211435 Sez. 1, n. 3964 del 02/07/1998, Arcuri, Rv. 211329 Sez. 6, n. 950 del 22/03/1999, Riela, Rv. 214507. Nella pronuncia Sez. 2, n. 2181 del 06/05/1999, Sannino, Rv. 213853, la Corte, confermando il pacifico orientamento in esame, ha pure escluso che l'eventuale condono fiscale possa incidere sulla determinazione del giudicante in favore del proposto. Ha osservato, infatti, il Collegio che il cosiddetto condono tombale nella specie previsto dalla legge 413/1991 non sposta i termini della questione ed infatti, non rileva che a seguito del perfezionamento dell' iter amministrativo, previsto dalla citata normativa, le somme di cui all'evasione fiscale entrino a far parte legittimamente del patrimonio del proposto, dal momento che l'illiceità originaria del comportamento con cui quest'ultimo se le era procurate continua a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca. Le riportate conclusioni sono state poi richiamate e del tutto recepite da Sez. 2, n. 5248 del 23/01/2007, G.C., Rv. 236129. La giurisprudenza, pertanto, ha costantemente considerato che le disposizioni sulla confisca di prevenzione mirano a sottrarre alla disponibilità del proposto tutti i beni che siano frutto di attività illecite e che ne costituiscano il reimpiego, di talché non è necessario distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso, essendo sufficiente la dimostrazione dell'illecita provenienza dei beni confiscati, qualunque essa sia, anche se gli stessi costituiscano il reimpiego dei proventi dell'evasione fiscale. Tali conclusioni sono state ribadite da Sez. 1, n. 5760 del 20/11/1998, Iorio, Rv. 212443 Sez. 6, n. 36762 del 27/05/2003, Lo Iacono, Rv. 226655 Sez. 6, n. 6570 del 25/01/2012, Brandi, Rv. 252039 Sez. 2, n. 25332 del 05/06/2012, Oscurato, non mass. Sez. 2, n. 27037 del 27/03/2012, Bini, Rv. 253405 Sez. 2, n. 30449 del 05/07/2012, Di Giorgio, non mass. Sez. 1, n. 18423 del 22/03/2013, Commisso, non mass. Sez. 1, n. 39204 del 17/05/2013, Ferrara, Rv. 256140 Sez. 1, n. 6703 del 05/12/2012, dep 2014, Di Maio, non mass Sez. 5, n. 8441 del 22/11/2013, dep. 2014, Caravello, non mass. Deve, ancora, evidenziarsi che nelle sopra citate sentenze nn. 27037/12, 18423/13, 6703/14 e 8441/14 sono espressamente indicate le ragioni per le quali in sede di confisca di prevenzione non può darsi corso al diverso orientamento, in ordine alla rilevanza dei redditi non fiscalmente dichiarati, formatosi con riguardo alla cosiddetta confisca allargata , sostanzialmente rilevando una solo apparente sovrapponibilità tra le rispettive previsioni normative. In particolare la Corte ha rilevato che la confisca ex art. 12-sexies è connotata da una diversa ratio legis e da presupposti in parte diversi, giacché richiede la commissione di un reato tipico, per giunta accertato da una sentenza di condanna, ordinariamente generatore - per la sua tipologia - di disponibilità illecite di natura delittuosa, ancorché l'adozione del provvedimento ablativo prescinda anche in questo caso da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per il quale è intervenuta la condanna. Ha, sotto diverso aspetto, evidenziato che la confisca di prevenzione persegue un più ampio fine di interesse pubblico volto all'eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta provenienza illegittima - siccome appartenenti a soggetti abitualmente dediti a traffici illeciti dai quali ricavano i propri mezzi di vita - che sussiste per il solo fatto che quei beni siano andati ad incrementare il patrimonio del soggetto, a prescindere non solo dal perdurare a suo carico di una condizione di pericolosità sociale attuale, ma anche dall'eventuale provenienza dei cespiti da attività sommerse fonte di evasione fiscale. In altri termini la finalità preventiva perseguita con lo strumento ablativo risiede nell'impedire che il sistema economico legale sia funzionalmente alterato da anomali accumuli di ricchezza di cui il soggetto possa disporre per il reimpiego nel circuito economico-finanziario, ragione per la quale devono considerarsi di provenienza illecita anche i redditi acquisiti per effetto dell'evasione fiscale. A ciò si aggiunga così la sentenza n. 8441/14 che Nell'articolo 12-sexies, infatti, a differenza di quanto è previsto nel citato articolo 2-ter della legge n. 505 del 1965, la presunzione di illecita provenienza dei beni del condannato viene ancorata letteralmente ed esplicitamente al combinato disposto della sproporzione rispetto all'attività economica svolta e dell'assenza di giustificazione, ma non anche, in alternativa, alla esistenza di sufficienti indizi della loro provenienza da qualsiasi attività illecita”. In altri termini, se è vero che per entrambe le misure ablatorie è previsto che i beni da confiscare si trovino nella disponibilità diretta o indiretta del soggetto e che siano di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata, è altresì vero che il requisito alternativo della provenienza illecita del bene qualificabile come frutto o reimpiego di proventi illeciti è specificamente previsto solo per la confisca di prevenzione. In conclusione sul tema, appare utile citare la sentenza Sez. 1, n. 32032 del 10/06/2013, De Angelis, Rv. 256450, che ha ritenuto applicabili le misure di prevenzione, sia personali sia patrimoniali, a soggetto dedito in modo continuativo a condotte elusive degli obblighi contributivi e che reinveste i relativi profitti in attività commerciali. Sul punto la Corte ha constatato che il soggetto dedito in modo massiccio e continuativo a condotte elusive degli obblighi contributivi realizza, in tal modo, una provvista finanziaria che è indubbiamente da considerarsi quale provento di delitto, inteso quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato, secondo l'insegnamento di Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205707. Ora, lì dove la quota indebitamente trattenuta venga successivamente reinvestita in attività di tipo commerciale come nel caso di specie è al contempo evidente che i profitti di tale attività risultano inquinati dalla metodologia di reinvestimento della frazione imputabile alle pregresse attività elusive. Tale consolidato e convincente orientamento deve essere qui confermato. Va invero rilevato, dapprima, come sullo specifico tema - come sopra rilevato - non sussista un reale contrasto in sede di legittimità, in quanto l'unica sentenza contraria la già citata Sez. 6, Giacobbe, Rv. 258366 applica alla disciplina di prevenzione l'orientamento formatosi sulla confisca ex art. 12-sexies legge 356/92 in modo acritico, senza porsi il problema - invece dirimente - dell'eventuale equiparabilità dei due tipi di confisca, problema invece ben presente, e risolto negativamente, all'univoco indirizzo sopra esposto. Anche l'ordinanza di rimessione propone la questione di diritto, nei termini sopra precisati, dopo aver preso atto dei due diversi indirizzi quello negativo sulla confisca di prevenzione e quello, positivo, sulla confisca ex art. 12-sexies legge 356/92 , sull'esplicito duplice presupposto che vi sia la stessa ratio legis e che i testi legislativi siano del tutto sovrapponigli”. Non v'è dubbio, però, che così non sia. La differente struttura normativa delle due confische è di tutto rilievo. In particolare quella ex art. 12-sexies è legata alla commissione di alcuni reati, mentre l'accertata commissione di reati non è presupposto necessario per il giudizio di pericolosità la confisca ed allargata è legata alla non giustificabilità della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai rediti dichiarati o alla propria attività economica, quella di prevenzione aggiunge profilo estraneo alla confisca ex art. 12-sexies in alternativa ovvero quando” la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse beni [ .] che siano il frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego” . La diversa struttura normativa delle due fattispecie, con le diverse ricadute operative, già esclude che si possa porsi la prospettata unità di ratio legis . Si tratta invero di provvedimenti ablatori che agiscono in campi diversi ed hanno diverse latitudini operative. La parziale ma essenziale diversità dei presupposti legittima, d'altronde, la parziale diversità delle due discipline, nell'ambito di una discrezionalità politico-legislativa che l'autorità giudiziaria deve rispettare. In tal senso va richiamato la decisione della Corte EDU sentenza del 05/01/2010, Bongiorno ove si legge non essere sproporzionata, rispetto al legittimo scopo perseguito, l'ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni, tenuto conto della discrezionalità che hanno gli Stati quando disciplinano l'uso dei beni conformemente all'interesse generale, soprattutto nell'ambito di una politica criminale che mira a combattere il fenomeno della grande criminalità”. Risulta del resto coerente con l'evidenziata diversa struttura normativa che per la confisca ex art. 12-sexies, che prevede che il requisito della sproporzione debba essere confrontato con il reddito dichiarato” o con la propria attività economica”, si possa tener conto dei redditi, derivanti da attività lecita, sottratti al fisco perché comunque rientranti nella propria attività economica secondo i più recenti e prevalenti approdi giurisprudenziali in tale ambito da ultimo Sez. 1, n. 13425 del 21/02/2013, Coniglione, Rv. 255082 Sez. 1, n. 6336 del 22/01/2013, Mele, Rv. 254532 Sez. 1, n. 9678 del 05/11/2013, dep. 2014, Creati . Coerente peraltro è, sempre con riferimento alla diversa struttura normativa della specifica previsione, che tale approdo non possa essere applicabile alla confisca di prevenzione per la quale rileva - e dunque non è deducibile a discarico - anche il fatto che i beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. Sicuramente l'evasione fiscale integra ex se attività illecita contra legem anche qualora non integri reato né si può ignorare che la sottrazione di attività, pur intrinsecamente lecite e cioè da impresa palese, non da mafia , agli obblighi fiscali in tutto o in parte , inevitabilmente porta con sé altre connesse illiceità, non essendo neppure immaginabile che l'evasione fiscale non comporti anche altre correlate violazioni che parimenti locupletano il soggetto o sono strumentali all'illecito arricchimento condotte di falso, in ambito contributivo, sulla disciplina del lavoro, ecc. posto che - allo stato attuale della normativa, per l'interconnessione tra i vari rami dell'ordinamento - sommergere i profitti significa anche inevitabilmente eludere tutte le connesse discipline ancorché di rango amministrativo o privatistico , altrimenti l'evasione fiscale si autodenuncerebbe, esito che ovviamente nessun evasore vorrebbe conseguire e che, soprattutto, non consentirebbe il perseguito arricchimento. È poi del tutto ovvio che come ben ha posto in luce la sopra citata recente pronuncia Sez. 1, n. 32032 del 10/06/2013, De Angelis, Rv. 256450 in caso di evasione fiscale si attua inevitabilmente reimpiego delle utilità che ne siano frutto nel circuito economico dell'evasore, con una confusione di utilità lecite - illecite che è proprio quello che la normativa vuole impedire, confusione che si implementa nelle successione dei periodi d'imposta con una sorta di anatocismo dell'illecito per l'inevitabile effetto moltiplicatore . Tale conclusione risulta particolarmente pertinente al caso di specie, posto che la rivendicata evasione fiscale definita massiccia e colossale sia perdurata molti anni negli anni '90 con dichiarato ripetuto e sistematico reinvestimento, anno dopo anno, di tali illecite utilità. Tale esito, cui giungono queste Sezioni Unite, si confronta positivamente con i più rilevanti dieta della Corte Costituzionale e della Corte EDU. La Corte Costituzionale, con le recenti pronunce n. 21 e n. 216 del 2012, nel respingere la proposizione dell'ordinanza di rimessione che, in sostanza, intendeva equiparare l'accertamento penale e quello di prevenzione, ha espresso il seguente fondamentale passaggio argomentativo la sovrapposizione da cui è viziato l'argomentare del rimettente si traduce nello svilimento delle peculiarità del procedimento di prevenzione e, segnatamente, del procedimento per l'applicazione della confisca”. Dunque non esiste quella sovrapponibilità normativa predicata dall'ordinanza di rimessione e di conseguenza risulta logica e coerente la differenziata disciplina da una parte misura di sicurezza atipica così le sentenze delle Sezioni Unite del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221, e 17/12/2003, Montella, Rv. 226490 in relazione ad una condanna penale, dall'altro un giudizio indiziario di pericolosità. Anche la Corte EDU, proprio in materia di prevenzione, ha espresso concetti che ben si conciliano con le conclusioni qui raggiunte. Già la pronuncia del 22/02/1994, Raimondo e. Italia, rilevava come lo strumento della confisca di prevenzione fosse destinata a bloccare i movimenti di capitali sospetti per cui costituisce un'arma efficace e necessaria per combattere questo flagello”. La decisione del 15/06/1999, Prisco c. Italia, affermava come la confisca di prevenzione colpisce beni di cui l'autorità giudiziaria ha contestato l'origine illegale allo scopo che il ricorrente potesse utilizzarli per realizzare ulteriormente vantaggi a proprio profitto o a profitto dell'organizzazione criminale con la quale è sospettato di intrattenere relazione”. Origine illegale dunque contra legem , come l'evasione fiscale realizzare ulteriori vantaggi dunque impedire il reimpiego. Il tutto secondo il principio generale secondo cui nessuno deve poter impunemente godere del frutto di una propria condotta illecita, tanto più se ripetuta e sistematica. È chiaro, infatti, che la finalità di impedire l'utilizzo per realizzare ulteriori vantaggi non necessariamente reati - coerente con i profili economici della sostanza della prevenzione - ben si distingue dalla finalità propria di una misura di sicurezza atipica che comunque, attraverso l'ablazione, mira principalmente ad impedire la commissione di nuovi reati. Anche su tale base non può essere condiviso l'assunto dell'ordinanza rimettente secondo cui nella confisca di prevenzione ed in quella ed allargata vi sarebbe eadem ratio . Valutando poi la principale delle obiezioni che la dottrina sviluppa sul tema, e cioè la preoccupazione di incoerenza sistematica, posto che - si sostiene - con la soluzione qui adottata si verrebbe ad introdurre una confisca, per l'evasione fiscale, anche in casi in cui la legislazione specifica non la contempla, vale osservare che tale argomento non tiene conto del presupposto di base, e cioè che non si verte in ipotesi di mera evasione fiscale, ma di evasione compiuta da soggetto nel contempo giudicato, per la concreta ricorrenza di tutti i presupposti di legge, socialmente pericoloso. Non si tratta, infatti, di valutare in positivo l'evasione fiscale in sé come fonte di pericolosità sociale, ed in ciò radicare la confisca, ma di escludere dunque in negativo che la stessa possa essere addotta quale giustificazione anche parziale dell'illecito accumulo, in soggetto - vale ribadire - giudicato pericoloso aliunde . Infine, il caso di specie - in cui è pacifico, essendo addirittura oggetto di aperta rivendicazione nei motivi di ricorso, che l'evasione fiscale è stata ripetuta negli anni, sistematica e colossale - preclude di entrare nella valutazione della problematica circa la quota confiscabile che avrebbe senso solo ove si trattasse di un'evasione puntuale, circoscritta ed un insussistente, senza effettivo reimpiego essendosi di contro in realtà realizzato il reimpiego e la confusione totale tra profitti leciti ed illeciti del resto, al di là dell'impossibilità pratica di accertare la concreta distinzione in caso di lunghi periodi, è del tutto evidente, per legge economica, che le attività lecite non sarebbero state le stesse con quei volumi e con quei profitti ove vi fosse stato impiego di capitali minori solo quelli leciti dunque l'inquinamento, per definizione e per legge logico-economica, non può non essere omnipervasivo e travolgente. 6. In conclusione, la questione di diritto posta dall'ordinanza di rimessione, l'opponibilità, in tema di confisca di prevenzione, dell'evasione fiscale, deve trovare la seguente risposta Ai fini della confisca di cui all'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 attualmente articolo 24 d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159 , per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, deve tenersi conto anche dei proventi dell'evasione fiscale . 7. Infondata, da ultimo, risulta anche la questione proposta in merito alla durata della misura personale, ben motivata dai giudici del merito, cui spetta esercizio di discrezionalità non sindacabile ove adeguatamente argomentata già da Sez. 1, n. 3057 del 01/10/1990, Montemurro, Rv. 185728 . 8. L'esito raggiunto impone il rigetto dei ricorsi, infondati in ogni loro deduzione, e la condanna dei ricorrenti, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.