Mozzarella di Bufala Campana DOP prodotta con latte non casertano: dimmi da dove vieni e ti dirò chi sei

Il divieto di promiscuità di materie prime negli stabilimenti che producono prodotti DOP con materie prime diverse da quelle utilizzate per la produzione ‘certificata’, contenuto in norma ministeriale, rileva ai fini penali solo a seguito della emanazione della norma regolamentare, di talché la presenza di materia prima non certificata in stabilimento che produce anche prodotti non DOP non è indice assoluto di utilizzo di materia non consentita per la produzione DOP e, quindi, di frode.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 33399/14 della Corte di Cassazione, depositata il 29 luglio. Il caso. Il Pubblico Ministero è ricorso davanti alla Cassazione per vedere riformata la decisione con cui il Tribunale del Riesame di Napoli aveva rigettato le richieste relative alle misure cautelari personali e reali concernenti un’indagine per associazione per delinquere aggravata dall’art. 7 d.l. 152/1991 c.d. ‘metodo mafioso’ finalizzata alla commissione di un numero indefinito di delitti contro il commercio e l’industria, per frode nell’esercizio del commercio continuata e aggravata in concorso e per vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, che aveva coinvolto 19 indagati e numerose aziende di caseificazione. Dimmi da dove vieni e ti dirò chi sei. Il punto nevralgico della discussione è quello relativo alla normativa sulla provenienza della materia prima utilizzata per prodotti assistiti da un’etichetta di provenienza funzionale a certificarne origine e qualità. Era, infatti, accertato che nei caseifici sottoposti ad indagine vi era latte che proveniva dall’estero e che non poteva essere utilizzato per la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. Contrariamente alla convinzione del Pubblico ministero, ad avviso del Tribunale del Riesame non vi sarebbe prova che il latte di provenienza estera, acquistato dai caseifici sottoposti ad indagine, sia stato utilizzato per produrre la mozzarella DOP. L’accertato acquisto della materia prima estera latte congelato , aggiungono i giudici territoriali, sarebbe perfettamente lecito, specie se manca la prova che quella materia sia stata utilizzata per la produzione di prodotti DOP verosimilmente, ad avviso dei giudici, quel latte era utilizzato per la produzione di prodotti non assistiti dalla denominazione in parola. Quale norma applicare? Il Tribunale aveva ritenuto applicabile la Legge 4/2011 che prevede che per i prodotti alimentari non trasformati l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti per i prodotti alimentari trasformati, invece, l’indicazione si riferisce al luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalentemente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti. Per il ricorrente la norma applicabile alla data del sequestro sarebbe l’art. 2 d.lgs. n. 109/92 e non quella applicata dal Tribunale del Riesame, vale a dire l’art. 4, comma 2, Legge n. 4/2011 perché successiva ai fatti in verifica. In altre parole, non sarebbe applicabile a fatti pregressi una norma sopravvenuta avente natura extrapenale integratrice del precetto penale quale è quella in esame . Ad ogni modo, secondo l’esegesi del ricorrente, la norma in concreto applicata specificherebbe che l’indicazione della provenienza non si riferisce alla sola trasformazione, atteso che non è la trasformazione a qualificare la provenienza, bensì soprattutto il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalentemente utilizzata. Ne deriva che, secondo questa tesi, gli illeciti-fine sarebbero configurabili perché il latte utilizzando non sarebbe stato puro latte casertano. Nei prodotti a marchio DOP o IGP L’indicazione del luogo di origine o di provenienza è definita dalla loro derivazione geografica indipendentemente dalle fasi di lavorazione, perché per tali prodotti il ‘marchio’ attribuisce una garanzia di tipicità e qualità, sicché la Cassazione afferma che è corretta l’interpretazione data dal ricorrente. nei prodotti agroalimentari generici. Cioè non provvisti di tali denominazioni, l’origine o la provenienza è stabilita secondo i criteri dettati dal codice doganale europeo disciplinato dal Reg. CE 9 ottobre 2013 n. 952/2013. Divieto di promiscuità negli stabilimenti. I caseifici interessati dall’indagine, in verità, producevano anche una linea di prodotti non DOP, circostanza perfettamente lecita al momento del sequestro. Infatti, solo nell’aprile 2013 un decreto ministeriale aveva fissato le Modalità per l’attuazione della separazione degli stabilimenti di produzione della DOP Mozzarella di Bufala Campana”. Il decreto ha dato attuazione al d.l. 171/2008 convertito in Legge 205/2008 e recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare. Nel menzionato provvedimento si disponeva che a decorrere dal 1° gennaio 2013 la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP fosse effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui si producono altri formaggi o preparati. Il ragionamento è giusto ma i tempi sono sbagliati Non vi è chi non veda come alla data del sequestro, avvenuto nel marzo 2010, i divieti menzionati non erano operativi e, quindi, la produzione di prodotti non DOP era lecita, con l’ulteriore conseguenza che gravemente intaccata è l’inferenza che vuole l’acquisto di latte estero quale presupposto per il suo utilizzo illecito per la produzione di prodotto DOP. Infatti solo successivamente al 2013 sono operative le disposizioni che vietano la promiscuità dei prodotti negli stabilimenti di produzione della mozzarella DOP. La previsione normativa in questione oltre ad essere successiva ai fatti non consente di ritenere configurabili gli illeciti ipotizzati in quanto ai tempi del fatto era consentita la detenzione o lo stoccaggio di materie prime e prodotti diversi e di quelli idonei alla lavorazione DOP. L’azienda è cosa pertinente al reato? Il Tribunale del Riesame aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo dei caseifici asserendo non trattarsi di cose pertinenti al reato, sia perché non riteneva sussistente il fumus commissi delicti sia perché l’azienda non sarebbe strumentale al reato, in quanto tale sarebbe solo materia prima utilizzata per la produzione dell’alimento. Secondo il ricorrente, invece, è pacifico che l’intera azienda di un caseificio serva necessariamente alla produzione degli alimenti in questione. La nozione di ‘cose pertinenti al reato’ è più ampia di quella di ‘corpo del reato’, sicché, in astratto, la misura cautelare reale può ritenersi applicabile con riferimento allo stabilimento di produzione della mozzarella, in quanto nell’espressione di ‘cose pertinenti’ rientrano anche le cose legate indirettamente al reato. Manca l’attualità del pericolo. Tuttavia, ai tempi del fatto i divieti di promiscuità non erano operativi e, pertanto, non vi era rilevanza penale della promiscuità produttiva, con l’effetto che il profilo dell’attualità della misura reale svanisce. La distanza cronologica rispetto ai fatti, insieme alla sopravvenienza della norma ministeriale che ha connotato di illiceità penale condotte precedentemente non integranti fattispecie penali, esclude la sussistenza delle condizioni per l’adozione del sequestro preventivo. E, invero, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte Sezioni Unite n. 12878/2003 il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche quando l’ipotesi delittuosa si sia già perfezionata ma sub conditione che il pericolo della libera disponibilità della cosa sia concreto e attuale e che le conseguenze del reato – ulteriori rispetto a quelle derivanti dalla consumazione – siano connotate da antigiuridicità e determinino un volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta illecita.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 maggio – 29 luglio 2014, numero 33399 Presidente Mannino – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con separate ordinanze emesse in data 14/10/2013, ambedue depositate in data 15/11/2013, il tribunale del riesame di NAPOLI - decidendo sull'appello cautelare sia personale che reale proposto dal P.M. avverso l'ordinanza del GIP presso il medesimo Tribunale del 4/07/2012, con cui veniva rigettata sia la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di diciannove indagati C. , M. , CI. , G. R. numero omissis , GA. R. numero omissis , CI. , GR. , OL. , CA. , O. P., O. F., V. , PA. , c. , PR. , P. F., P. P., P. D. e PI. sia la richiesta di sequestro preventivo di 28 aziende - dichiarava inammissibile l'appello con riferimento al rigetto della richiesta di sequestro della ONORATI s.r.l. per rinuncia al gravame, rigettando, nel resto, sia l'appello cautelare reale che personale. 2. Giova precisare, per migliore intelligibilità della questione, che il procedimento penale nel quale i predetti sono indagati, nelle qualità e con le condotte per ciascuno meglio indicate nei capi delle imputazioni cautelari di cui al ricorso, riguarda i seguenti reati 1 associazione per delinquere art. 416, commi 1, 2, 3 e 5 c.p. , aggravata ai sensi dell'art. 7, d.l. numero 152/1991, finalizzata a commettere un numero indefinito di delitti contro l'industria ed il commercio delitti di cui agli artt. 515, 516 e 517-bis c.p. , imputazione riguardante tutti i predetti indagati fatto contestato come commesso in e provincia, e provincia ed altre località del territorio nazionale fino al giugno 2010 2 frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso artt. 40 cpv., 81 cpv., 110, 515 e 517-bis c.p. , imputazione riguardante gli indagati M. , CO. , O. , OL. e C. fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di , fino al settembre 2010 3 frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso artt. 40 cpv., 81 cpv., 110, 515 e 517-bis c.p. , imputazione riguardante gli indagati CI. , O. , OL. e C. fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di , fino al settembre 2010 4 frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso artt. 40 cpv., 81 cpv., 110, 515 e 517-bis c.p. , imputazione riguardante gli indagati GA. , O. , OL. e C. fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di , fino al settembre 2010 5 frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso artt. 40 cpv., 81 cpv., 110, 515 e 517-bis c.p. , imputazione riguardante gli indagati CI. , O. , OL. e C. fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di , fino al settembre 2010 6 frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso artt. 40 cpv., 81 cpv., 110, 515 e 517-bis c.p. , imputazione riguardante gli indagati GR. , O. , OL. e C. fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di Caserta, fino al settembre 2010 7 frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso artt. 40 cpv., 81 cpv., 110, 515 e 517-bis c.p. , imputazione riguardante gli indagati M. , CA. , V. , pi. , PR. , c. e PA. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 8 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv. e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato MASTROIANNI fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 9 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv. e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato FELAPPI fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 10 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv. e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato T. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 11 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv. e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato D.C. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 12 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv. e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagata DI.MA. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 13 frode nell'esercizio del commercio continuata in concorso artt. 110, 81 cpv. e 515 c.p. , imputazione riguardante gli indagati A. e B. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 14 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato L. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 15 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagata D.S. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 16 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato M. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 17 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato R. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 18 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato A. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 19 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato V. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 20 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato M. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 21 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagata M. fatto contestato come commesso in , fino al settembre 2010 22 frode nell'esercizio del commercio continuata in concorso artt. 110, 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante gli indagati MO.RI. e MA. fatto contestato come commesso in omissis , prov. TV, fino al settembre 2010 23 frode nell'esercizio del commercio continuata in concorso artt. 110, 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante gli indagati CO.LU. e EU. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 24 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato S. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 25 frode nell'esercizio del commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine continuata ed aggravata in concorso artt. 110, 81 cpv, 515, 516 e 517-bis c.p. , imputazioni riguardanti gli indagati P.D. , P. e F. fatti contestati come commessi in omissis , fino al settembre 2010 26 frode nell'esercizio del commercio continuata artt. 81 cpv e 515 c.p. , imputazione riguardante l'indagato B. fatto contestato come commesso in omissis , fino al settembre 2010 . 3. Ha proposto tempestivi e separati ricorsi il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, impugnando le predette ordinanze recanti, rispettivamente, il numero 1364/2012 RIMC reali ed il numero 5540/2014 RIMC personali e deducendo quattro identici motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. penumero 3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , c ed e , c.p.p. in relazione agli artt. 416, 416 bis e 649 c.p.p In sintesi, il PM ricorrente muove alle ordinanze impugnate tre distinte censure a una prima censura di ordine processuale, in quanto il tribunale del riesame, dopo aver ritenuto nelle premesse inammissibile l'appello del PM per genericità, sarebbe passato ad esaminare il merito dell'imputazione, come emerge dalla stessa formula adottata rigetto vi sarebbe, quindi, contraddittorietà ed illogicità della motivazione sul punto b una seconda censura investe le ordinanze impugnate quanto al profilo delle esigenze cautelari le ordinanze impugnate affermano che il PM sarebbe stato generico sul punto tale motivazione sarebbe errata, atteso che il PM ha utilizzato la tecnica della motivazione per relationem , ossia richiamando - quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari - la richiesta dello stesso PM di applicazione della misura, opportunamente integrata con riferimento alla valutazione in ordine all'attualità delle predette esigenze, tenuto conto dei rilievi del GIP in sede di rigetto della richiesta anche su tale punto, le ordinanze impugnate sarebbero illogiche, errate in diritto ed incongrue c una terza censura, infine, investe le ordinanze impugnate nella parte in cui hanno rigettato l'appello cautelare in ordine all'imputazione con cui si addebita la partecipazione dell'indagato M. ad un'associazione per delinquere semplice, sia pure aggravata ai sensi dell'art. 7, d.l. numero 152/1991 in sostanza, il tribunale del riesame sostiene, erroneamente, che l'imputazione de qua contrasterebbe con altra imputazione, relativa a diverso procedimento proc. numero 52938/2005 DDA Napoli riguardante sempre l'indagato M. , in cui è contestata la partecipazione di quest'ultimo a clan LA TORRE, perdurante fino al 2003 in base a tale premessa, il tribunale del riesame, ritenendo che l'attuale imputazione consista in una duplicazione della precedente, ha ritenuto inaccoglibile la richiesta di applicazione della misura in quanto sarebbe stato violato il principio del ne bis in idem sostiene il PM ricorrente che tale motivazione è affetta da travisamento dei fatti , in quanto a si tratta di due procedimenti doversi b gli stessi riguardano tempi diversi fino al 2003, quanto alla partecipazione alla prima associazione dal 2006 in poi, quanto alla partecipazione alla seconda associazione , associazioni diverse il clan LA TORRE, la prima il clan dei Casalesi, la seconda e fatti diversi l'imputazione attuale è solo un'associazione per delinquere semplice, con finalità per alcuni soggetti, tra cui il MANDARA, di operare per realizzare delitti con carattere organizzato, al fine di far ottenere al clan del casalesi - e non al clan LA TORRE come nel diverso procedimento -, vantaggi derivanti dai reati attinenti l'adulterazione di sostanze alimentari le ordinanze impugnate sarebbero, pertanto, illogiche e contraddittorie sul punto, oltre che in violazione degli artt. 416 e 416-bis c.p. e 649 c.p.p., avendo richiamato erroneamente l'esistenza di un giudicato, il ne bis in idem e la preclusione processuale. 3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b ed e , c.p.p In sintesi, il PM ricorrente muove alle ordinanze impugnate una censura afferente il giudizio di insussistenza della partecipazione alla contestata associazione per delinquere da parte degli indagati C. ed OL. estendendo tale censura in genere a tutti gli associati , nell'accertata loro condotta di pressione sul Ministero delle politiche agricole al fine di ottenere la modifica del disciplinare che regolamenta l'immissione in commercio del prodotto DOP denominato mozzarella di bufala campana la motivazione del tribunale sul punto viene trascritto in ricorso il passaggio argomentativo a pag. 20 dell'impugnata ordinanza sarebbe illogica in quanto riterrebbe fisiologico intervenire sul Ministero per rimuovere una causa che, se mantenuta, permea di illiceità la condotta fino ad allora posta in essere dagli associati, ossia quella di produrre mozzarella di bufala campana DOP con latte diverso da quello casertano il tribunale, dunque, giungerebbe a determinazioni paradossali, non valorizzando il dato nella sua oggettività ossia il tentativo di rendere giustificabile una condotta che istituzionalmente non è tale , attribuendogli un valore indiziario opposto. 3.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b c.p.p., in relazione agli artt. 515 e 517 c.p In sintesi, il PM ricorrente muove alle ordinanze impugnate due distinte censure a la prima censura investe l'affermazione del tribunale secondo cui non vi sarebbe in atti la prova del fatto che il latte estero, pacificamente acquistato dai caseifici oggetto d'indagine, sia servito per la produzione di mozzarella di bufala DOP in sostanza, per i giudici del riesame, l'accertato acquisto di materia prima estera non DOP utilizzata per la lavorazione, apparirebbe perfettamente lecito, essendo intervenuto il divieto legislativo in tal senso solo a far data dal mese di giugno 2013, per effetto dell'art. 4-quinquiesdecies, d.l. numero 171/2008 tale affermazione sarebbe, secondo il PM ricorrente, illogica e contraddittoria con quanto prima affermato dallo stesso tribunale del riesame, laddove, da un lato, ritiene che quella realizzata dagli associati fosse una condotta finalizzata a modificare il disciplinare DOP per esigenze di tipo imprenditoriale consistite nella maggiore richiesta di prodotto DOP mentre, dall'altro, attesta che l'acquisto del latte congelato estero serviva verosimilmente per immettere in commercio prodotti non DOP b la seconda censura investe le ordinanze impugnate per aver erroneamente interpretato la legge penale in estrema sintesi, le doglianze del PM ricorrente attingono le ordinanze impugnate per aver, da un lato, applicato retroattivamente una norma di legge la legge numero 4/2011 non in vigore al momento del fatto essendo all'epoca in vigore il d. lgs. numero 109/1992 e, dall'altro, per aver interpretato erroneamente la stessa legge numero 4/2011, così incorrendo in un gravissimo vizio logico del ragionamento del giudice sotto il profilo della coerenza logica dell'argomentazione in particolare, emergerebbe anzitutto una contraddizione logica dalla stessa motivazione laddove afferma che la condotta posta in essere potesse trarre in inganno il consumatore dunque ammettendo la configurabilità dell'art. 515 c.p. , poi affermando però che tale condotta fosse pienamente conforme alla normativa più specificamente la censura attinge la motivazione del tribunale ove, per attestare la conformità a legge della condotta, richiama una normativa la legge numero 4/2011 che, rispetto ai fatti contestati, non era stata ancora promulgata in particolare, il tribunale precisa che anche tale normativa ha ribadito che il luogo di origine o provenienza dei prodotti alimentari trasformati si identifica nel luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale il richiamo corretto, in relazione al periodo temporale per cui si procede, avrebbe dovuto essere fatto all'art. 2, d. lgs. numero 109/1992 il cui inequivoco tenore qualificava come illecite le condotte poste in essere dagli indagati, sicché il tribunale avrebbe violato il principio generale dell'applicabilità ai fatti delle norme vigenti al tempo della commissione del fatto peraltro, aggiunge il PM ricorrente, il tribunale sarebbe caduto in errore anche nell'interpretazione della nuova normativa legge numero 4/2011 che, correttamente interpretata, consente di affermare che non è la trasformazione che qualifica la provenienza di un prodotto, ma anche e soprattutto il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti . 3.4. Deduce, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b ed e c.p.p., in relazione all'art. 274 c.p.p. ed all'art. 321 c.p.p In sintesi, il PM ricorrente muove sul punto alle ordinanze impugnate due distinte censure a una prima censura afferente il mancato riconoscimento delle esigenze cautelari non in relazione all'art. 274 c.p.p. bensì in relazione al fatto che il PM non avrebbe notificato l'avviso ex art. 415-bis c.p.p. né richiesto il giudizio nei confronti degli indagati, così effettuando una valutazione sulle esigenze cautelari che esula del tutto dai parametri normativi b una seconda censura riguarda l'erronea interpretazione dell'art. 321 c.p.p. il tribunale, nel rigettare la richiesta di sequestro preventivo per i caseifici, ha ritenuto che gli stessi non potessero considerarsi come pertinenti al reato nell'accezione di cui alla norma processuale richiamata di cui agli artt. 515 e 517 c.p., sia perché non sussisterebbe il fumus del delitto sia perché l'azienda non sarebbe ad esso strumentale, dovendo considerarsi tale solo la materia prima utilizzata per la produzione dell'alimento tale affermazione sarebbe errata in diritto e contrastante con l'interpretazione di questa Corte, essendo del tutto pacifico che l'intera azienda di un caseificio serva necessariamente alla produzione degli alimenti in questione. 4. Con separate memorie relative sia al proc. numero 53581/13 RG e numero 53582/13 RG , depositate presso la cancelleria di questa Corte in data 14/05/2014, l'avv. O. Bigolin, nell'interesse dell'indagato MO.Ma. , in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore della LATTERIA e CASEIFICIO M. s.r.l. con sede in omissis , ha chiesto il rigetto dei ricorsi proposti dal P.M 5. Con separate memorie relative sia al proc. numero 53581/13 RG e numero 53582/13 RG , depositate presso la cancelleria di questa Corte, rispettivamente, in data 14/05/2014 ed in data 15/05/2014, l'avv. A. Serafino, nell'interesse dell'indagata A.V. , in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore del CASEIFICIO MOLISE s.r.l. nonché nell'interesse dell'indagato B.G. , ha chiesto dichiararsi inammissibili per assoluta genericità dei motivi o, in subordine, rigettarsi i ricorsi del P.M 6. Con separate memorie d'identico contenuto relative al solo proc. numero 53582/13 RG , trasmesse a mezzo fax alla cancelleria di questa Corte, rispettivamente, alle ore 8.16 ed alle ore 10.02 del 15/05/2014, l'avv. G. Forte, nell'interesse degli indagati CO.Lu. e CO.Eu. , ha chiesto dichiararsi inammissibile per violazione dell'art. 325 c.p.p. o, in subordine, rigettarsi il ricorso del P.M 7. Con separate memorie d'identico contenuto relative al solo proc. numero 53582/13 RG , tutte depositate presso la cancelleria di questa Corte in data 14/04/2014, gli indagati LISA G. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta LA BOVARINA s.r.l. con sede in , proc. SA , D.C. S. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta LA TRINACRIA DALLI CARDILLO s.p.a. , S. A. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta FUNETTA s.r.l. con sede a omissis , hanno chiesto rigettarsi il ricorso del P.M 8. Con memoria relativa al solo proc. numero 53582/13 RG , depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 6/05/2014, l'Avv. F. Cannizzo, nell'interesse degli indagati O.P. ed O.F. , ha chiesto rigettarsi il ricorso del P.M 9. Infine, con memoria relativa al solo proc. numero 53582/13 RG , pervenuta a mezzo fax presso la cancelleria di questa Corte in data 15/05/2014, l'Avv. G. Forte, nell'interesse dell'indagato F.M. , ha chiesto dichiararsi inammissibile per violazione dell'art. 325 c.p.p. o, in subordine, rigettarsi il ricorso del P.M Considerato in diritto 10. Il ricorso del P.M. dev'essere rigettato per le ragioni di cui si dirà oltre. 11. Quale generale premessa in diritto, per quanto concerne i profili di doglianza che investono la misura cautelare reale, dev'essere in questa sede ricordato che in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. penumero ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di violazione di legge rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell'art. 606 stesso codice v., per tutte Sez. U, numero 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 Sez. U, numero 25080 del 28/05/2003 - dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611 . 12. Per quanto, invece, concerne le doglianze che investono l'ordinanza reiettiva con riferimento alla misura cautelare personale, deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di elevata probabilità di colpevolezza , tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poiché di tipo statico e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi Corte Cost., sent. numero 121 del 2009, ord. numero 314 del 1996, sent. numero 131 del 1996, sent. numero 71 del 1996, sent. numero 432 del 1995 . La specifica valutazione prevista in merito all'elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell'accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la libertà personale e a sottolineare l'eccezionalità delle misure restrittive della stessa. Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato anche dagli adempimenti previsti per l'adozione dell'ordinanza cautelare. L'art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. numero 332 del 1995, prevedendo per detta ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di merito dall'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e , impone, invero, al giudice della cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l'esito positivo della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque a favore dell'accusato comma 2, lett. c e c bis . 12.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che - contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell'indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza Sez. U, numero 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, numero 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118 Sez. 6, numero 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998 Sez. 6, numero 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541 Sez. 2, numero 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511 . A norma dell'art. 273 c.p.p., comma 1-bis, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l'adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, Sez. F, numero 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377 Sez. 1, numero 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191 Sez. 6, numero 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799 Sez. 6, numero 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755 Sez. 1, numero 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601 . Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell'art. 273 c.p.p., comma 1-bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei gravi indizi . 12.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all'esame del contenuto dell'atto impugnato e alla verifica dell'adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie tra le altre, Sez. 4, numero 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104 Sez. 6, numero 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565 Sez. U, numero 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828 Sez. 2, numero 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001 Sez. 4, numero 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012 , senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini tra le altre, Sez. U, numero 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391 Sez. 1, numero 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027 Sez. 1, numero 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331 . Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare in concreto la sussistenza delle stesse e rendere un'adeguata e logica motivazione Sez. 1, numero 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019 . Peraltro, secondo l'orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, l'ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l'ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell'altro Sez. 2, numero 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903 Sez. 6, numero 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685 . 13. Tanto premesso, seguendo l'ordine logico e cronologico proposto nella sequenza procedimentale dei singoli motivi, deve essere esaminato anzitutto da questa Corte il primo, articolato, motivo, con cui, come visto, il P.M. deduce numerose doglianze. 13.1. Quanto al primo profilo di doglianza di cui al primo motivo, deve, anzitutto, escludersi che l'ordinanza impugnata possa ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione a tacer d'altro, per quanto concerne la misura cautelare reale, lo stesso sarebbe oltremodo non rilevabile, atteso che il predetto vizio motivazionale esula dal sindacato previsto dall'art. 325 c.p.p. . Ed invero, il tribunale del riesame, dopo aver dichiarato inammissibile per difetto di specificità l'impugnazione proposta dal P.M., ha proceduto ad esaminare, comunque, il merito delle doglianze il giudice del riesame, infatti, ben può procedere all'esame del merito delle censure proposte al fine di valutarne comunque l'infondatezza, giungendo - come avvenuto nel caso in esame - ad un rigetto dell’impugnazione, senza per ciò incorrere nel denunciato vizio di motivazione. A ciò, poi, si aggiunga che difetta, nel caso in esame, qualsiasi interesse del P.M. ad impugnare un provvedimento che abbia rigettato anziché dichiarato inammissibile l'impugnazione del P.M. Non può, infatti, sussistere interesse meramente teorico e formale all'esattezza della decisione, priva di riflessi in punto di utilità concreta, dovendo l'impugnazione essere sempre diretta al conseguimento di un risultato favorevole, che sia anche indirettamente utile al proponente. Da ciò discende, ancora, che tale carenza d'interesse, quand'anche non la si voglia ravvisare come preesistente, debba comunque ritenersi sopravvenuta in tutte le ipotesi in cui vada rigettato anziché dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal P.M. avverso il medesimo provvedimento impugnato dal pubblico ministero. Del resto, come ricordato dalle Sezioni Unite di questa Corte, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza - a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti - ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo Sez. U, numero 6624 del 27/10/2011 - dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693 . 13.2. Quanto, poi, al secondo profilo di doglianza mosso con il primo motivo di ricorso, con cui il P.M. censura l'ordinanza impugnata per aver ritenuto insussistenti le esigenze cautelari, deducendo un vizio motivazionale in quanto sarebbero state richiamate per relationem quelle indicate nella richiesta di applicazione della misura cautelare, il medesimo è parimenti infondato. Ed infatti, il tribunale fornisce alle pagg. 4 e 5 dell'impugnata ordinanza un'esposizione ragionata delle ragioni giustificative di tale soluzione, precisando il motivo per il quale il tribunale ha ritenuto inammissibile l'impugnazione della Pubblica Accusa, atteso che quest'ultima non conteneva alcuna specifica critica al provvedimento del GIP essendosi limitato sul punto il P.M. ad affermare quanto alle esigenze cautelari, ci si riporta integralmente a quanto esposto in sede di richiesta cautelare . La soluzione cui è approdato il giudice del riesame dev'essere condivisa. Ed infatti, è stato già affermato da questa Corte che l'appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare è inammissibile per genericità dei motivi se, per l'illustrazione delle censure, si limita a richiamare la richiesta rigettata e non indica i punti di fatto e le questioni di diritto rimesse alla cognizione del giudice dell'impugnazione Sez. 6, numero 39926 del 16/10/2008 - dep. 24/10/2008, P.M. in proc. Alpignano e altri, Rv. 242248 . Trattasi di principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, anche di recente, ha infatti, ribadito che in tema misure cautelari, i motivi di appello predisposti dal pubblico ministero avverso le decisioni di rigetto non possono limitarsi al semplice richiamo del contenuto della richiesta cautelare ma, per soddisfare i requisiti di specificità previsti a pena di inammissibilità, devono indicare i punti del provvedimento impugnato oggetto di doglianza e gli argomenti di fatto e di diritto addotti a fondamento delle censure Sez. 6, numero 46025 del 24/09/2013 - dep. 15/11/2013, Ciciliano, Rv. 257448 . 13.3. Non miglior sorte merita il terzo profilo di doglianza mossa con il primo motivo di ricorso, con cui il P.M. ricorrente deduce un vizio di travisamento del fatto , in quanto il tribunale del riesame avrebbe in sintesi confuso tra le due associazioni di cui l'indagato M. avrebbe fatto parte quella del clan La Torre, fino al 2003 quella del clan dei Casalesi, dal 2006 in poi . La doglianza si appalesa, all'evidenza, infondata. Ed invero, premesso che, in questa sede di legittimità, non è deducibile l'evocato vizio di travisamento del fatto posto che, a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma primo, lett. e ad opera dell'art. 8 della L. numero 46 del 2006, mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto , stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova , che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano v., ex multis , Sez. 5, numero 39048 del 25/09/2007 - dep. 23/10/2007, Casavola e altri, Rv. 238215 , è indubbio che le argomentazioni svolte dal giudice del riesame sulla questione non possono essere certo tacciate da manifesta illogicità laddove, in particolare, e conclusivamente, il tribunale precisa di trovarsi di fronte alla singolare situazione per cui, nei confronti del M. con riferimento alla contestazione del reato associativo, sul medesimo fatto e sulle medesime fonti probatorie si è già pronunciato il tribunale del riesame - il riferimento è all'ordinanza 30 luglio 2012 - ma anche questa Corte che aveva dichiarato inammissibile il ricorso del P.M. avverso tale ordinanza . A ciò, poi, deve aggiungersi l'ulteriore rilievo per il quale è inibito in sede di legittimità svolgere censure in ordine alla violazione del c.d. ne bis in idem in quanto ciò - come nel caso in esame, in cui il ricorso del P.M. si fonda su elementi acquisiti in procedimento diverso da quello oggetto di esame, relativo a diversa fattispecie associativa - imporrebbe lo svolgimento di accertamenti di fatto per verificare la correttezza o meno delle valutazioni operate dal medesimo tribunale del riesame, al fine di ritenere sussistente o meno la dedotta preclusione processuale in altri termini, se relativa allo stesso fatto o a fatti diversi, in cui è coinvolto il medesimo indagato M. , né potendo fare riferimento il P.M. ad argomenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito. In tal senso, osserva il Collegio, dev'essere data continuità al principio già affermato da questa stessa Corte secondo cui non è deducibile dinanzi alla Corte di Cassazione la violazione del divieto del ne bis in idem , atteso che è escluso in sede di legittimità l'accertamento del fatto necessario per verificare la preclusione derivante dalla coesistenza di procedimenti iniziati per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, e non potendo la parte produrre documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito Sez. 4, numero 35831 del 27/06/2013 - dep. 30/08/2013, Maini, Rv. 256883 contra, una minoritaria giurisprudenza ritiene che la violazione del divieto del bis in idem si risolve in un error in procedendo - v., ad esempio, da ultimo, Sez. 6, numero 44632 del 31/10/2013 - dep. 05/11/2013, Pironti, Rv. 257809 -, soluzione, tuttavia, che non può essere preferita, atteso che quella cui questo Collegio aderisce è senza alcun dubbio maggiormente rispondente al limitato ambito cognitivo della S.C., che esclude qualsiasi accertamento fattuale, necessario presupposto per la verifica dell'esistenza di un preteso ne bis in idem . 14. Può, quindi, procedersi all'esame del secondo motivo di ricorso, con cui il P.M. articola una censura di vizio motivazionale per illogicità nella parte in cui l'ordinanza riterrebbe fisiologico l'intervento sul Ministero delle politiche agricole per tentare di ottenere una modifica del disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana DOP per consentire l'impiego di latte diverso da quella casertano. Orbene, rileva il Collegio come tale censura non tiene conto del fatto che la stessa ordinanza sottolinea come la contestazione mossa dal P.M. quanto alle posizioni degli indagati C. /Ol. è fondata sull'erronea attribuzione di ruoli e competenze tra i vari organi del Consorzio cfr., in particolare, le pagg. 18 e 19 dell'ordinanza impugnata . A ciò si aggiunga, poi, come la doglianza della valutazione operata dal tribunale che, nell'ottica del P.M. ricorrente, determinerebbe il raggiungimento di conseguenze paradossali, si traduce in una richiesta a questa Corte di valutare il merito e non di sindacare il percorso logico - giuridico con cui il tribunale ha motivato l'inammissibilità, risolvendosi, in ultima analisi, nel dissenso sul risultato della valutazione del compendio indiziario operata dal tribunale del riesame, operazione non consentita in questa sede. Deve, infatti, essere ribadito che il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto Sez. 2, numero 56 del 07/12/2011 - dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251761 . 15. Passando, quindi, ad esaminare il terzo motivo di ricorso, con lo stesso il P.M. ricorrente muove una censura afferente, in via esclusiva, i delitti - fine di cui agli artt. 516 e 517 c.p. in sostanza, con tale profilo di censura, il P.M. si duole della illogica e contraddittoria motivazione secondo la quale quella realizzata dagli associati sarebbe stata una condotta finalizzata a modificare il disciplinare DOP. 15.1. La censura, in particolare, investe l'ordinanza impugnata in quanto illogica e contraddittoria per aver ritenuto che non vi fosse prova in atti del fatto che il latte estero, pacificamente acquistato dai caseifici oggetto di indagine, fosse servito per la produzione della mozzarella di bufala DOP in altri termini, il vizio dedotto si manifesterebbe in tutta la sua evidenza laddove il tribunale, da un lato, ritiene che quella realizzata dagli associati fosse una condotta finalizzata a modificare il disciplinare DOP per esigenze di tipo imprenditoriale ossia, soddisfare la maggiore richiesta di prodotto DOP e, dall'altro, attesta che l'acquisto del latte congelato estero servisse verosimilmente per immettere in commercio prodotti non DOP. A ciò si aggiungerebbe un errore nell'applicazione della legge penale, in particolare costituito dall'aver il tribunale applicato una norma la legge numero 4 del 3 febbraio 2011 successiva ai fatti, la quale prevede che il luogo d'origine o provenienza dei prodotti alimentari trasformati si identifica nel luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale. In realtà, sostiene il P.M. ricorrente, l'unica norma applicabile, alla data del sequestro marzo 2010 sarebbe stata l'art. 2, d. lgs. numero 109/1992 così operando, il tribunale avrebbe violato il principio generale dell'applicabilità ai fatti delle norme vigenti al tempo della commissione del fatto. L'errore esegetico, poi, sarebbe ulteriormente aggravato dal fatto che, pur volendo ritenere applicabile la nuova normativa, la stessa sarebbe stata erroneamente interpretata dal tribunale, in quanto la legge numero 4/2011, all'art. 4, comma 2, non si limiterebbe a dire quanto affermato dai giudici campani, ma specificherebbe che l'indicazione della provenienza non va limitata alla sola trasformazione, in quanto non sarebbe detta trasformazione che qualifica la provenienza, ma anche e soprattutto il luogo di coltivazione ed allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti. Nonostante, come si vedrà, l'impostazione - almeno parzialmente - del P.M. sia corretta, il motivo di ricorso, a giudizio del Collegio, non può essere accolto. Ed invero - a parte l'erroneità della censura del P.M. secondo cui non sarebbe applicabile ai fatti pregressi una legge sopravvenuta avente, come nel caso in esame, natura extrapenale integratrice del precetto penale atteso che il principio tempus regit actum , si applica alle sole norme processuali penali, laddove, nel caso di successione di leggi, trova applicazione il regime di cui all'art. 2, cod. penumero relativo all'applicabilità della disposizione più favorevole, norma chiaramente riferibile esclusivamente solo al diritto penale sostanziale, come risulta chiaro anche dalla locuzione tempo in cui fu commesso il reato” contenuta nella citata norma v., sul punto Sez. 5, numero 622 del 12/09/1975 - dep. 18/12/1975, Marini, Rv. 131559 - l'esegesi normativa operata dal P.M. non potrebbe comunque condurre all'annullamento dell'impugnata ordinanza. 15.2. La censura si appunta criticamente contro l'interpretazione della normativa applicata dal tribunale, che giustifica l'applicazione della citata legge numero 4/2011 alla luce dell'ulteriore considerazione che, invece, il PM ricorrente trascura secondo cui tutti i caseifici interessati, accanto ad una produzione di mozzarella di bufala DOP, ne curavano anche una non DOP v., in particolare, le pagg. 20 e 21 dell'ordinanza impugnata . Sul punto, va, in particolare, ricordato che solo con il D.M. 10 aprile 2013 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali pubblicato nella G.U. numero 96 del 24 aprile 2013 sono state fissate le Modalità per l'attuazione della separazione degli stabilimenti di produzione della DOP Mozzarella di Bufala Campana . Detto decreto, in particolare, attua l'art. 4-quinquiesdecies del D.L. 3 novembre 2008, numero 171 recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 comma 1, Legge 30 dicembre 2008 numero 205 , disponendo che a decorrere dal 1 gennaio 2013 la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP sia effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari. A tale disposizione normativa era seguita l'emanazione del decreto ministeriale 6 marzo 2013 recante disposizioni per la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP in attuazione dell'art. 4-quinquiesdecies , che però non teneva conto della inevitabile produzione di sottoprodotti o derivati del latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana, inclusa la ricotta, sicché, si è ritenuto necessario includere la lavorazione dei sottoprodotti o derivati del latte provenienti da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana all'interno degli stabilimenti che producono Mozzarella di Bufala Campana DOP. Da qui, l'emanazione del richiamato D.M. 10 aprile 2013 che, abrogando il predetto D.M. 6 marzo 2013 art. 2 , all'art. 1, stabilisce che, a decorrere dal 30 giugno 2013, in attuazione dell'art. 4-quinquiesdecies, gli operatori inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana producono il formaggio Mozzarella di Bufala Campana nonché i sottoprodotti o derivati della stessa materia prima, inclusa la ricotta, in stabilimenti esclusivamente dedicati a tali produzioni, nel contempo vietando, da un lato, la produzione in tali stabilimenti di altri tipi di formaggi o preparati alimentari e, dall'altro, vietando la detenzione e lo stoccaggio di materie prime e cagliate diverse da latte e cagliate bufaline idonee alle lavorazioni di cui sopra e ad esse esclusivamente dedicate . Quanto sopra, quindi, conferma che, alla data del sequestro marzo 2010 , non fossero ancora operativi tali divieti, con conseguente liceità della condotta allora posta in essere. A ciò, poi, si aggiunga l'ulteriore considerazione per la quale, in materia di mozzarella di bufala campana DOP, la normativa Europea di riferimento è costituita dal Regolamento CE numero 1107/1996 della Commissione del 12 giugno 1996 in G.U.C.E. L. 148 del 21 giugno 1996 , con il quale e1 stata registrata la denominazione d'origine protetta Mozzarella di Bufala Campana”. Detta normativa è stata successivamente integrata dal Reg. CE 21 novembre 2012, numero 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari pubblicato nella G.U.U.E. 14 dicembre 2012, numero L 343 entrato in vigore il 3 gennaio 2013 e dal Reg. CE 25 ottobre 2011, numero 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori pubblicato nella G.U.U.E. 22 novembre 2011, numero L 304 , entrato in vigore il 12 dicembre 2011. 15.3. Premessa la normativa Europea e quella regolamentare, v. d.m. 10 aprile 2013 applicabile in materia, devono peraltro essere svolte alcune considerazioni in relazione alle norme richiamate di cui è stata fatta applicazione nel caso in esame. Come detto, il tribunale del riesame ha ritenuto applicabile - a differenza di quanto, invece sostenuto dal P.M. ricorrente, che ritiene applicabile il d. lgs. 27 gennaio 1992, numero 109, art. 2 che, sotto la rubrica Finalità dell'etichettatura dei prodotti alimentari , in particolare prevede che la stessa deve essere effettuata in modo da non indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sull'origine o la provenienza . lett. a -, l'art. 4 della legge 3 febbraio 2011, numero 4 recante Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari , norma che, in particolare, prevede che art. 4, comma 2 Per i prodotti alimentari non trasformati, l'indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti . Come in precedenza esposto, il P.M. ricorrente sostiene che l'esegesi del tribunale sarebbe errata, in quanto in realtà il citato art. 4, comma 2, specificherebbe che l'indicazione della provenienza non va limitata alla sola trasformazione, in quanto non sarebbe detta trasformazione che qualifica la provenienza, ma anche e soprattutto il luogo di coltivazione ed allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti. Da qui, quindi, la configurabilità degli illeciti - fine in quanto il latte utilizzato nella produzione della mozzarella di bufala non sarebbe solo latte casertano. Tale esegesi, a giudizio di questo Collegio, appare corretta, anche alla luce della considerazione che, per quanto riguarda i prodotti agroalimentari trasformati, la disciplina dettata dall'art. 4, comma 2, della Legge numero 4/2011, deve essere interpretata nel senso che l'indicazione del luogo di origine o di provenienza degli stessi è definita dalla loro derivazione geografica, ed indipendentemente dalla localizzazione delle fasi di lavorazione, esclusivamente per i prodotti recanti marchio DOP denominazione di origine protetta ovvero IGP indicazione geografica protetta attributivi di una garanzia di tipicità e di qualità, mentre per tutti gli altri prodotti agroalimentari generici perché sprovvisti di detti marchi, per stabilirne l'origine o la provenienza deve farsi riferimento ai criteri dettati dal codice doganale Europeo, la cui disciplina è attualmente contenuta nel Reg. CE 9 ottobre 2013, numero 952/2013 v., in precedenza Sez. 3, numero 27250 del 15/03/2007 - dep. 12/07/2007, P.M. in proc. Contarini, Rv. 237812 . La tesi del P.M. ricorrente, dunque, può ritenersi fondata per quanto concerne la contestazione relativa alla frode in commercio ed alla violazione dell'art. 517 c.p., essendo dunque inapplicabile il codice doganale e, diversamente, applicabile il criterio oggi contemplato dall'art. 60 del citato reg. CE numero 952/2013, trattandosi di prodotto agroalimentare trasformato con marchio DOP. Tuttavia, a fronte del rilievo, già in precedenza esposto, che solo a decorrere dal 30 giugno 2013 sono operative le disposizioni che impongono il divieto di promiscuità presso gli stabilimenti dedicati alla produzione di mozzarella di bufala campana DOP, deve ritenersi che la previsione normativa dettata dal citato art. 4, comma 2, legge numero 4/2011, oltre che ad essere successiva ai fatti periodo di consumazione settembre 2010 , non consente di ritenere configurabile ora per allora detti illeciti, in quanto, all'epoca dei fatti, era consentita all'interno degli stabilimenti interessati la detenzione e lo stoccaggio di materie prime e cagliate diverse da latte e cagliate bufaline idonee alle lavorazioni DOP Mozzarella di Bufala Campana e ad esse esclusivamente dedicate divieto, come detto, introdotto solo con l'art. 2, comma 2, D.M. 10 aprile 2013 dal 3 giugno 2013 . A questo, poi, va aggiunto che - in ogni caso -non è prospettabile un interesse del P.M. quanto all'impugnazione dell'ordinanza con riferimento alle misure cautelari personali, poiché la questione riguarderebbe i reati - fine, per i quali, pacificamente pur se aggravati ex art. 517-bis c.p. , non sarebbe possibile emettere alcuna misura custodiale in relazione ai limiti edittali previsti dall'art. 280 c.p.p. con gli inevitabili riflessi sul delitto associativo, essendo stata costituita l'associazione, secondo la prospettazione accusatoria, al fine di commettere un numero indefinito di reati - fine, come detto, all'epoca dei fatti non penalmente perseguibili per le ragioni suesposte . 16. Deve, infine, essere esaminato il quarto ed ultimo motivo di ricorso, con cui il P.M. ricorrente svolge una doglianza in ordine alla pretesa mancata valutazione delle regole previste dall'art. 274 c.p.p Il motivo è infondato, atteso che il ricorrente non muove alcuna critica specifica all'ordinanza impugnata, non potendosi certamente ritenere sufficiente il mero richiamo alla parte della motivazione in cui il tribunale esprime apprezzamenti in ordine alla mancata notifica dell'avviso di conclusione indagini ex art. 415-bis c.p.p. o alla mancata richiesta di rinvio a giudizio. Deve, ancora una volta, essere qui ricordato che l'impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità Sez. 4, numero 34270 del 03/07/2007 - dep. 10/09/2007, Scicchitano, Rv. 236945 . Ad analogo approdo, infine, deve pervenirsi con riferimento alla doglianza relativa alla presunta violazione dell'art. 321 c.p.p., con cui il P.M. ricorrente censura quanto affermato dal tribunale secondo cui non potrebbero considerarsi cose pertinenti al reato le aziende produttrici della mozzarella di bufala non DOP. Ed invero, se ben può ritenersi in astratto applicabile la misura cautelare reale con riferimento allo stabilimento di produzione della mozzarella di bufala atteso che, come ricorda il P.M. ricorrente, l'espressione cose pertinenti al reato , cui fa riferimento l'art. 321 cod. proc. penumero , è più ampia di quella di corpo di reato, così come definita dall'art. 253 cod. proc. penumero , e comprende non solo qualunque cosa sulla quale o a mezzo della quale il reato fu commesso o che ne costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa Sez. 2, numero 34986 del 19/06/2013 - dep. 14/08/2013, Pini, Rv. 256100 , purtuttavia il già richiamato rilievo secondo cui la rilevanza penale della c.d. promiscuità produttiva si è avuta solo a far data dall'entrata in vigore del D.M. 10 aprile 2013, fa venir meno il profilo di attualità della misura avuto riguardo a fatti avvenuti quattro anni or sono, quando ancora i divieti indicati dal D.M. 10 aprile 2013 non erano operativi. Ed invero, dev'essere in questa sede ricordato l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato Sez. U, numero 12878 del 29/01/2003 - dep. 20/03/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 223721 . Nel caso di specie, la distanza cronologica rispetto ai fatti e, soprattutto, l'incidenza dello ius superveniens D.M. 10 aprile 2013 che ha attribuito carattere di illiceità penale a condotte all'epoca del fatto non integranti le fattispecie penali ipotizzate, esclude la ricorrenza delle condizioni per l'adozione della misura cautelare richiesta. Non va, infine, nemmeno trascurato l'ulteriore argomento sviluppato dal tribunale del riesame che, in particolare, richiama l'operatività, nel caso in esame, del criterio di proporzionalità, di cui opera una corretta applicazione, richiamando infatti la giurisprudenza di questa Corte secondo cui i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall'art. 275 cod. proc. penumero per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti cautelari Sez. 5, numero 8382 del 16/01/2013 - dep. 20/02/2013, Caruso, Rv. 254712 , ditalché può essere ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un'intera azienda anche se soltanto alcuni dei beni che la compongono siano stati utilizzati per la consumazione del reato, ma il giudice, in ossequio al principio di proporzionalità, deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato della misura cautelare con misure invasive, anche di natura interdittiva Sez. 4, numero 18603 del 21/03/2013 - dep. 24/04/2013, P.M. in proc. Camerini, Rv. 256068 . Anche tale ultimo motivo dev'essere, pertanto, rigettato. 17. Il ricorso del P.M. dev'essere, quindi, complessivamente, rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del P.M.