Aiuta un cittadino extracomunitario ma sceglie la strada sbagliata

Integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falsità ideologica in atti pubblici l’attività di chi consente l’ingresso nel nostro Paese di cittadini extracomunitari attraverso l’erogazione di documenti fittiziamente attestanti l’esistenza di proposte di lavoro per i medesimi.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33175, depositata il 25 luglio 2014. Il caso. La Corte d’appello, con sentenza, confermava la sentenza di primo grado che aveva condannato l’imputata per i reati di cui agli artt. 110, 61, n. 2, 81, cpv., 48 e 479 c.p. falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e artt. 110 c.p., 12, comma 3, d. lgs. n. 286/1998 disposizioni contro le immigrazioni clandestine . La condotta addebitata all’imputata era quella di aver agito da intermediaria al fine di consentire ad un cittadino extracomunitario di nazionalità marocchina di entrare e soggiornare in Italia, attraverso la presentazione, presso lo Sportello Unico per l’immigrazione, di una richiesta nominativa di nulla-osta al lavoro per l’assunzione dello stesso in qualità di lavoratore subordinato, inducendo in tal modo il suddetto ufficio ad attestare falsamente la ricorrenza dei presupposti necessari per ottenere l’autorizzazione richiesta ed il rilascio del relativo nulla-osta. Avverso la predetta sentenza la donna ricorreva in Cassazione. Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nell’analizzare il ricorso, la Corte di Cassazione richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui sono configurabili i reati di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e falsità ideologica in atti pubblici ed autorizzazioni amministrative, con inganno dei funzionari preposti alla formazione e al rilascio degli stessi, nel caso di attività svolte a fine di lucro allo scopo di consentire l’ingresso in Italia di stranieri extracomunitari mediante la predisposizione e la presentazione alla direzione provinciale del lavoro ed alla questura di pratiche corredate da documenti fittiziamente attestanti l’esistenza di proposte di lavoro, sulla cui base vengano poi rilasciati permessi di soggiorno ed autorizzazioni al lavoro Cass., Sez. I, n. 22741/02 . Falsità ideologica. Nel caso di specie, la falsità ideologica dell’autorizzazione al lavoro e del relativo nulla-osta, appare configurabile, attesa la rilevanza essenziale dei fatti che si assumono falsamente rappresentati in ordine all’effettività della richiesta di assunzione, costituenti presupposti indefettibili ai fini dell’emanazione dei provvedimenti amministrativi sollecitati per consentire l’ingresso ed il soggiorno in Italia del cittadino extracomunitario. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 marzo – 25 luglio 2014, n. 33175 Presidente Lombardi– Relatore Guardiano Fatto e diritto Con sentenza pronunciata il 15.3.2013 la corte di appello di l'Aquila confermava la sentenza con cui il tribunale di L'Aquila, in data 22.11.2010, aveva condannato A.H. alla pena ritenuta di giustizia per i reati di cui agli artt. 110, 61, n. 2, 81, cpv., 48 e 479, c.p. capo a 110, c.p., 12, co. 3, d. lgs. 25.7.1998, n. 286. La condotta addebitata alla A. è quella di avere agito da intermediaria al fine di consentire al cittadino extracomunitario di nazionalità marocchina Ab.Ja. di entrare e soggiornare in Italia, attraverso la presentazione, presso lo Sportello Unico per l'immigrazione de L'Aquila, di una richiesta nominativa di nulla osta al lavoro, ai sensi dell'art. 22, d. lgs. 25.7.1998, n. 286, per l'assunzione a tempo indeterminato del suddetto Ab. in qualità di lavoratore subordinato presso la società Isocal s.r.l. , inducendo in tal modo il suddetto ufficio ad attestare falsamente la ricorrenza dei presupposti necessari per ottenere l'autorizzazione richiesta ed il rilascio del relativo nulla-osta, mentre non vi era, in realtà, alcuna intenzione di procedere alla indicata assunzione e le domande erano state inoltrate adducendo uno scopo fittizio, strumentale per consentire al citato cittadino Marocchino l'ingresso ed il soggiorno in Italia, in cambio della somma di settemila Euro, che lo stesso Ab. aveva consegnato alla A. . 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando 1 violazione di legge, in relazione agli artt. 157, 161, 171, lett. d , 178, lett. c , c.p.p., in quanto il decreto di citazione per il giudizio di appello è stato notificato presso il difensore dell'imputata per inidoneità del domicilio eletto, pur non essendosi verificata alcuna elezione di domicilio presso il luogo dove venne effettuato il tentativo di notificazione del suddetto atto, inidoneità, peraltro, nemmeno configurabile, in quanto l'assenza dell'imputata dal suddetto luogo era solo temporanea e il messo notificatore aveva erroneamente chiesto informazioni in loco per avere notizie della A. , riferendosi, con i suoi interlocutori, ad un uomo e non ad una donna 2 vizio di motivazione della impugnata sentenza, in quanto l'assunto accusatorio fondato sull'intenzione dello I. , amministratore unico della Isocal , di cui l'imputata sarebbe stata a conoscenza, di non assumere il cittadino marocchino, contrasta con l'affermazione dello stesso I. , secondo cui era sua intenzione assumere lo Ab. proprio per soddisfare una richiesta della As. , e, comunque, si fonda su mere illazioni 3 violazione di legge in relazione agli artt. 48 e 479, c.p., non essendo configurabile nel caso in esame l'ipotesi di reato ex artt. 48 e 479, c.p., in quanto la falsa attestazione di cui la ricorrente è stata accusata concerne esclusivamente la non veritiera intenzione dell'impresa Isocal di procedere all'assunzione del cittadino marocchino, vale a dire un fatto del quale l'atto del pubblico ufficiale il nulla-osta all'ingresso in Italia non era destinato a provare la verità 4 vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla determinazione della pena, con particolare riferimento alla entità della pena inflitta per il reato più grave e degli aumenti operati a titolo di continuazione. 2.1 Con memoria depositata il 20.2.2014 il difensore della ricorrente chiedeva la modifica del capo b dell'imputazione sostituendo, nella relativa rubrica, la dicitura per il reato p. e p. dagli artt. 110, c.p. e 12, comma III del d. lgs. 286 del 25 luglio 1998 , con quella per il reato p. e p. dagli artt. 110, c.p. e 12, comma I del d. lgs. 286 del 25 luglio 1998 . 3. Il ricorso non può essere accolto. 4. Infondato appare, innanzitutto, il primo motivo di ricorso, in quanto, come si evince dalla lettura degli atti, consentita essendo stato dedotto un error in procedendo , la relativa eccezione non è stata tempestivamente sollevata nel giudizio di appello dall'avv. Carla Falli, difensore di ufficio dell'imputata e, pertanto, non può essere dedotta per la prima volta in questa sede di legittimità. Si tratterebbe, infatti, di una nullità, ove verificatasi, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184, comma primo, alle sanatorie generali di cui all'art. 183, alle regole di deducibilità di cui all'art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art. 180 c.p.p., e, comunque, da ritenersi sanata, non risultando provato che l'omessa notifica personalmente all'imputata del decreto di citazione per il giudizio di appello abbia impedito alla A. di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa, dall'altro cfr. Cass., sez. VI, 21/05/2013, n. 28971, rv. 255629 . Peraltro, nel caso in esame, non appare nemmeno configurabile la lamentata nullità l'imputata, infatti, aveva ritirato in data 28.2.2009 l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, in cui era specificato che era nella sua facoltà eleggere o dichiarare un domicilio e che in caso di mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione o della elezione di domicilio, le successive notificazioni sarebbero state effettuate mediante consegna al difensore, giusto il disposto dell'art. 161, c.p.p., per cui deve ritenersi assolutamente legittima la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, in mancanza di elezione di domicilio, presso il difensore di ufficio, avv. Carla Falli, che nulla ha eccepito al riguardo. 4.1 Inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, in quanto in esso il difensore della ricorrente si limita ad esporre censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza che a ciò si accompagni l'individuazione di vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, quindi, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di cassazione cfr. Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507 Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510 Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508 . 4.2 Del pari inammissibili, ai sensi dell'art. 606, co. 3, c.p.p., devono ritenersi il terzo ed il quarto motivo di ricorso in quanto con essi vengono dedotti violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello. E ciò a tacere della ulteriore causa di inammissibilità rappresentata dalla assoluta genericità del quarto motivo di ricorso. Va, infine, rilevata anche la manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso. Come da tempo chiarito da un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, sono configurabili i reati di favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina e falsità ideologica in atti pubblici ed autorizzazioni amministrative, commessa mediante inganno dei funzionari preposti alla formazione e rilascio degli stessi, nel caso di attività svolta a fine di lucro allo scopo di consentire l'ingresso in Italia di stranieri extracomunitari mediante la predisposizione e la presentazione alla direzione provinciale del lavoro ed alla questura di pratiche corredate da documenti fittiziamente attestanti l'esistenza di proposte di lavoro per i lavoratori, sulla cui base vengano poi rilasciati permessi di soggiorno ed autorizzazioni al lavoro cfr. Cass., sez. I, 08/05/2002, n. 22741 . Ne consegue che nel caso in esame la falsità ideologica dell'autorizzazione al lavoro e del relativo nulla-osta, appare configurabile, attesa la rilevanza essenziale dei fatti che si assumono falsamente rappresentati in ordine all'effettività della richiesta di assunzione, costituenti presupposti indefettibili ai fini dell'emanazione dei provvedimenti amministrativi sollecitati per consentire l'ingresso ed il soggiorno in Italia dell'Ab. . Va, infine, convenuto con il difensore della ricorrente circa l'erronea indicazione, nella qualificazione giuridica del reato operata nel capo b , del comma terzo dell'art. 12, d. lgs. 25.7.1998, n. 286, laddove la condotta addebitata alla A. è in realtà attualmente prevista dal primo comma della anzidetta disposizione normativa, ai sensi delle modifiche apportate dal Legislatore, da ultimo con la l. 5 luglio 2009, n. 94, che ha previsto nel terzo comma del menzionato articolo 12 una nuova fattispecie penale di maggiore gravità. Si tratta, tuttavia, di un errore del tutto irrilevante ai fini della decisione adottata, che non abbisogna nemmeno di una formale correzione, in quanto la condotta per la quale l'imputata è stata condannata rientra ora pacificamente nella previsione normativa del primo comma dell'art. 12, d. lgs. 25.7.1998, n. 280 e nessun effetto pregiudizievole sulla posizione dell'imputata deriva dal riferimento non più pertinente al terzo comma del menzionato art. 12, d. lgs. 25.7.1998, n. 286 . 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso va, dunque, rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.