Si limita a raccontare un fatto, da cui altri traggono le conclusioni sbagliate: dov’è la diffamazione?

Non può essere condannato per diffamazione chi racconta un fatto senza superare i limiti della verità e della continenza. Per questo, i singoli membri di un’associazione, delle cui condanne penali si è parlato in un articolo di giornale, non possono lamentare una diffamazione ai danni dell’associazione nel suo complesso.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 33210, depositata oggi. Il caso. Il gip del tribunale di Brescia archiviava il procedimento penale per il reato di diffamazione nei confronti di un uomo, in relazione a delle sue frasi riportate in un articolo comparso su un giornale. In questo articolo si accusava un’associazione religiosa di aver compiuto il lavaggio del cervello nei confronti dei suoi membri. Le presunte persone offese, che facevano parte del gruppo, ricorrevano in Cassazione, lamentando, da una parte, la mancata fissazione dell’udienza camerale e, dall’altra, il superamento dei limiti all’esercizio del diritto di critica. Diritti della parte offesa Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricorda che il contraddittorio orale è la regola alla base del procedimento di archiviazione, per cui se la persona offesa si oppone alla richiesta di archiviazione, il gip deve fissare l’udienza camerale per la decisione nel contraddittorio, tra l’indagato e la parte lesa, su richiesta del pm. che però ha anche dei doveri. Tuttavia, tale diritto della parte offesa non vale nel caso in cui l’opposizione non sia stata presentata in maniera tempestiva, oppure quando la stessa parte offesa non abbia indicato i temi di investigazione suppletiva ed i relativi elementi di prova. Questi oneri sono imposti a pena di inammissibilità. Questi elementi di prova devono essere, da un lato, inerenti alla notizia di reato e, dall’altro, rilevanti, in modo da incidere su quanto emerso nel corso delle indagini preliminari. I giudici di legittimità sottolineano, comunque, che il gip non può apprezzarne la capacità probatoria e non può neanche anticipare delle valutazioni di merito sulla fondatezza o l’esito delle indagini suppletive, in quanto l’opposizione mira soltanto a sostituire il provvedimento de plano con il rito camerale. Alla luce di tali considerazioni, la richiesta di audizione del giornalista, avanzata dalle parti offese, per conoscere la fonte da cui aveva ricavato le notizie poi scritte, risultava essere irrilevante, in quanto l’imputato non era autore né del titolo né del sottotitolo dell’articolo. Diritto di critica non violato. Per quanto riguarda i confini al diritto di critica, non veniva ravvisata alcuna violazione le frasi dell’imputato si limitavano a contrastare in maniera veritiera le affermazioni delle persone offese, secondo le quali questo avrebbe accusato falsamente l’associazione di cui facevano parte di aver subito delle condanne penali. Al contrario, l’imputato aveva semplicemente ricordato le condanne di singole persone senza mai tirare in mezzo l’associazione. Anche se, dal risultato finale del testo, poteva risultare ipotizzabile una generalizzazione delle affermazioni, riguardo agli effetti dell’associazione sui suoi membri, di sicuro ciò non poteva essere ascritto all’imputato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 giugno – 25 luglio 2014, n. 33210 Presidente Lombardi – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento del 19/07/2013, il G.i.p. del Tribunale di Brescia ha disposto l'archiviazione dei procedimento penale nei confronti di P.F., in relazione al reato di cui all'art. 595 cod. pen., con riferimento ad un articolo pubblicato nell'inserto Sette, n. 38 del Corriere della Sera. 2. Nell'interesse di P.G.R., A.R., S.C., F.S., A.P., M.R., A.D.M., G.V. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, con il quale si lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 409, comma 6, 127, comma 5, 178, lett. c , cod. proc. pen. e 51 cod. pen., lamentando sia la mancata fissazione dell'udienza camerale, sia il superamento, nel caso concreto, dei limiti all'esercizio del diritto di critica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. In diritto, va premesso che questa Corte sin dalla fondamentale Sez. U. n. 2 del 14/02/1996, Testa, Rv. 204133 ha enunciato i seguenti principi a sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli art. 409, commi 1, 2, 6, e 410 cod. proc. pen., l'esercizio da parte del G.i.p. del potere interdittivo all'accesso della parte offesa al procedimento di archiviazione, attraverso la declaratoria di inammissibilità dell'opposizione, ove avvenga in violazione delle condizioni di legge, rende impugnabile per cassazione il decreto di archiviazione, in quanto l'arbitraria ovvero illegittima declaratoria di inammissibilità sacrifica il diritto della parte offesa al contraddittorio in termini equivalenti, se non maggiormente lesivi, rispetto alle ipotesi di mancato avviso per l'udienza camerale b il contraddittorio orale rappresenta, dunque, la regola fondamentale del procedimento di archiviazione, sicché, a fronte dell'opposizione delta persona offesa alla richiesta di archiviazione, il G.i.p. deve, di norma, provvedere a fissare l'udienza camerale per la decisione nel contraddittorio, tra l'indagato e la parte lesa, sulla richiesta del P.M. c il diritto della parte offesa al contraddittorio orale risulta, peraltro, inoperante in due soli casi, ossia quando non sia stata presentata tempestiva opposizione ovvero quando la parte offesa non abbia ottemperato all'onere, imposto a pena d'inammissibilità art. 410, comma 1, cod. proc. pen. , di indicare i temi dell'investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. Questi ultimi devono caratterizzarsi - e ciò vale a circoscrivere il giudizio di ammissibilità - per la pertinenza, ossia per la inerenza rispetto alla notizia di reato, e per la rilevanza, ossia per l'incidenza concreta sulle risultanze dell'attività compiuta nel corso delle indagini preliminari, senza peraltro che il giudice abbia il potere di apprezzarne la capacità probatoria, non potendo il G.i.p. anticipare, attraverso il decreto, valutazioni di merito in ordine alla fondatezza o all'esito delle indagini suppletive indicate, dal momento che l'opposizione è rivolta esclusivamente a sostituire il provvedimento de plano con il rito camerale su quest'ultimo punto, v., anche, Sez. 4, n. 41625 del 27/10/2010, Rv. 248914 . Ora, nel caso di specie, con motivazione assolutamente razionale, il G.i.p. ha ritenuto che la richiesta audizione dei giornalista, quanto alla fonte della sua conoscenza dell'esistenza di condanne sino in terzo grado , sarebbe stata assolutamente irrilevante rispetto alla posizione dell'indagato, il quale, con assoluta certezza, non è l'autore del titolo e dei sottotitolo dell'articolo del quale si discute. Per il resto, ossia esaminando le valutazioni espresse dal giudice con riferimento alla configurabilità della scriminante di cui all'art. 51 cod. pen., osserva la Corte che non si ravvisa il lamentato superamento dei limiti della verità del fatto e della continenza, giacché, per un verso, le frasi del F. riportate nell'articolo non riferiscono di alcuna condanna di Scientology, ma contrastano l'affermazione degli adepti di non avere subito condanne, laddove, osserva il F., si sono registrate condanne per truffa e circonvenzione di incapaci, che naturalmente riguardano persone singole e non l'associazione nella sua interezza per altro verso, proprio alla luce di tale premessa, si coglie il significato dell'espressione successiva che correla alla disperazione dei genitori di figli tossicodipendenti il lavaggio del cervello e le conseguenti truffe, ancora una volta imputabili a persone singole e non all'associazione. Ne discende che, in disparte le questioni legate alla ipotizzabilità di una generalizzazione di tali affermazioni, certo non ascrivibile al F., non è dato cogliere alcun superamento dei limiti dei diritto di cui all'art. 51 cod. pen. 2. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.