Non si possono negare le attenuanti a chi si proclama innocente

Per la Cassazione l’ordinamento non può entrare in contraddizione con se stesso ragione per cui se l’imputato si proclama innocente, il giudice non può negare solo per questo la concessione delle attenuanti generiche.

E’ quanto emerge dalla sentenza della sez. III Penale della Cassazione, n. 32603, depositata oggi, che ha annullato, limitatamente a questo profilo, la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva condannato l’imputato per il reato di violenza sessuale nei confronti della sorella nonché per i reati di minaccia e offese. Il caso. Per il giudice di merito non potevano essere concesse le attenuanti generiche perché l’imputato non aveva ammesso il fatto e non aveva risarcito il danno. Dichiarazione di innocenza. Senonché, per la Cassazione, il diritto dell’imputato di proclamarsi innocente dalle accuse, e in modo coerente di non attivarsi per il risarcimento, non può essere nei fatti limitato ponendo a suo carico le conseguenze di tale scelta e ritenendo che possa in ciò fondarsi la reiezione della richiesta di concessione delle circostanze generiche richieste . Ecco perché, non essendo stato possibile per la Suprema Corte individuare una qualche motivazione ulteriore per negare la concessione delle attenuanti generiche, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio ad altro giudice per quantificare il trattamento sanzionatorio per il condannato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 giugno – 23 luglio 2014, numero 32603 Presidente Teresi – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13 luglio 2010 emessa al termine di un'articolata istruzione dibattimentale il Tribunale di Santa M. Capua Vetere ha condannato il sig. M. per avere commesso con violenza atti sessuali nei confronti della sorella, L.M., e averla successivamente offesa e anche minacciata senza successo affinché ritrattasse le proprie dichiarazioni. Il Tribunale ha ritenuto che la donna abbia reso nel tempo dichiarazioni chiare e convincenti in ordine all'accaduto che le criticità del racconto evidenziate dalla difesa siano inesistenti o puramente marginali che detto racconto trovi conferma in riscontri esterni, così da rendere del tutto irrilevante ai fini della credibilità la circostanza che la persona offesa si sia costituita parte civile e sia portatrice di interessi configgenti con quelli dell'imputato. 2. Decidendo sull'impugnazione dell'imputato, la Corte di appello ha confermato la condanna dell'imputato. Ripercorsi in termini essenziali il materiale probatorio e i riscontri alle dichiarazioni della persona offesa, la sentenza impugnata affronta uno dei principali profili di critica mossi dal ricorrente alla prima sentenza la asserita incompatibilità fra dette dichiarazioni e quelle dei testi M.V. e P.M. e M.N. vedi pagg. 7 e 8 . Esaminato il contenuto delle diverse testimonianze la Corte di appello giunge alla conclusione che i tempi di spostamento dell'imputato riferiti da lui e dai testi a discarico non configgono con quelli emergenti dalle dichiarazioni della persona offesa e dall'ora delle telefonate che consente di ricostruire con piccolo margine di incertezza l'orario in cui l'imputato si sarebbe recato a casa della sorella. 3. Avverso tale decisione l'avv. S.P. nell'interesse del sig. M. propone ricorso in sintesi lamentando a. Vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero per avere la Corte di appello completamente disattese e non affrontate le critiche mosse coi motivi di appello sia in ordine alla credibilità soggettiva della persona offesa sia in ordine alla credibilità oggettiva dichiarazioni contrarie rese dai testi M. e N. sia, infine, in ordine ai tempi e alle circostanze della querela b. Errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero con riferimento all'articolo 62-bis cod. penumero per avere la Corte di appello impropriamente negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche facendo levo sulla mancata confessione. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene che il primo motivo di ricorso risulti manifestamente infondato. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la sentenza di appello non ha affatto omesso di affrontare i temi relativi alla credibilità soggettiva della persona offesa si vedano le pagine 5 e seguenti della sentenza impugnata, che affrontano i temi legati alle condizioni di salute della persona offesa, alla credibilità intrinseca del racconto e ai riscontri esterni e alla credibilità oggettiva si vedano le pagine 7 e 8 in ordine a quello che può essere definito l'alibi introdotto dal ricorrente . Al contrario, la sentenza impugnata si è fatta carico delle esigenze di cautela che nella valutazione della prova che secondo la giurisprudenza richiamata devono caratterizzare le ipotesi di violenza sessuale in cui l'unica fonte diretta di accusa è costituita dalla persona offesa costituitasi parte civile nel processo l'intera motivazione ha affrontato in modo articolato i punti di criticità evidenziati dall'imputato in sede di impugnazione e ha offerto ad essi risposte puntuali e non caratterizzate da illogicità o incoerenza. 2. Va così ricordato che in presenza di una motivazione immune da vizi logici debbono trovare applicazione i principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di definizione dei concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché in tema di travisamento del fatto che sono contenuti nelle sentenze delle Sez. Unumero , numero 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e numero 47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale prospettiva di ordine generale va, dunque, seguita la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti fra tutte Sez.6, sentenza numero 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148 . 3. Ebbene, la lettura del motivo di ricorso impone di rilevare che il ricorrente propone censure che introducono contestazioni in punto di fatto e che sollecitano la Corte a rivisitare le valutazioni operate nel merito dal giudicante si tratta di richieste estranee al giudizio di legittimità e tali da essere dichiarate non ammissibili. 4. Passando all'esame del secondo motivo di ricorso, la Corte ritiene che la censura del ricorrente sia fondata e che questo implichi l'annullamento parziale della decisione. Non vi è dubbio che la formulazione dei passaggi con cui la Corte di appello rigetta la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche risulta non conforme alla legge nella parte in cui sembra negare le invocate circostanze sol perché il ricorrente non ha ammesso il fatto e risarcito il danno. Il diritto dell'imputato di proclamarsi innocente dalle accuse, e in modo coerente di non attivarsi per il risarcimento, non può essere nei fatti limitato ponendo a suo carico le conseguenze di tale scelta e ritenendo che possa in ciò fondarsi la reiezione della richiesta di concessione delle circostanze generiche richieste. Altri elementi non favorevoli avrebbe dovuto la Corte di appello individuare ed esplicitare per giungere alla medesima conclusione, ma così non è stato e il Collegio ritiene che la motivazione come formulata non superi le critiche che le sono state mosse dal ricorrente. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza sul punto con rinvio al giudice di appello che, tenuto conto delle motivazioni della presente decisione, procederà a nuovo esame in ordine al trattamento sanzionatorio, ferma restando la irrevocabilità della decisione di appello ex articolo 624 cod. proc. penumero in punto responsabilità penale del ricorrente. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta il ricorso nel resto.