Il principio della retroattività della lex mitior non opera nella successione di leggi processuali nel tempo

In tema di successione di leggi processuali penali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, non costituisce un principio dell’ordinamento processuale, nemmeno nell’ambito delle misure cautelari. Pertanto il reato di stalking, anche dopo il d.l. n. 78/2013, rientra tra i reati per i quali è possibile la custodia cautelare in carcere.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31839, depositata il 18 luglio 2014. Il caso. Il pm presso il Tribunale di Roma proponeva ricorso per cassazione contro l’ordinanza emessa dal Gip che, in applicazione del d.l. n. 78/2013, ha sostituito nei confronti dell’indagato del reato di cui all’art. 612 bis c.p. atti persecutori , la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. La successione di leggi processuali nel tempo. Il problema che è stato sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione è, fondamentalmente, quello relativo all’applicabilità retroattiva della modifica normativa di carattere processuale. Per quel che concerne il diritto sostanziale è ius receptum che la nuova norma penale non si applichi retroattivamente, se non nei casi in cui introduca una disposizione più favorevole per l’imputato art. 2 c.p. . Ma il principio di cui all’art. 2 c.p. è automaticamente esportabile nel diritto processuale? La risposta delle SU. Le SU, di recente, hanno affermato che in tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, non costituisce un principio dell’ordinamento processuale Cass., SS.UU., n. 27919/11 . Le Sezioni Unite, dunque, hanno sostenuto chiaramente che il principio della retroattività della legge meno severa, che si applica per i reati e per le pene, non è un principio generale dell’ordinamento processuale, tanto meno nell’ambito delle misure cautelari sul punto anche Cass., Sez. III, n. 15378/10 . La pronuncia contraria. Tuttavia, vi è stata una pronuncia successiva a quella delle SU che, pur tenendo conto della sentenza citata, sembra orientata in modo diverso. La VI sezione della Cassazione ha ritenuto applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore la nuova disciplina dell’art. 280, comma 2, c.p.p., la quale – per effetto delle interpolazioni effettuate dalla l. n. 94/2013, che ha convertito con modificazioni il d.l. n. 78/2013 – ha innalzato da 4 a 5 anni il limite minimo del massimo edittale necessario per disporre la custodia cautelare in carcere Cass., Sez. VI, n. 48462/13 . Norme processuali e norme sostanziali. La Corte di Cassazione ritiene che il contrasto tra la recente sentenza delle SU e quella ancor più recente della sezione VI sia solamente apparente, o meglio che possa essere composto considerando le differenze fra i due casi. Infatti, se la sopravvenienza presa in esame dalle SU aveva chiaramente natura processuale perché regolava le modalità applicative della misura , nel caso esaminato dalla VI sezione il cambiamento influiva sulle stesse condizioni di applicabilità e cioè sul presupposto sostanziale, di legalità, della misura cautelare. Si può dire, allora, che i casi esaminati dalle SU e dalla sezione VI sono diversi, perché nel primo caso si trattava di norma di carattere processuale, nel secondo veniva in considerazione una modifica idonea ad influire sullo status libertatis . La nuova norma processuale. Nel caso di specie, la stessa legge che ha modificato le condizioni di applicabilità della misura cautelare, innalzandone i limiti, ha altresì contestualmente elevato la pena edittale del reato contestato all’indagato art. 612 bis c.p. , di modo che lo stesso, anche oggi, rientra tra quelli per cui è possibile irrogare la custodia in carcere. Per risolvere la questione in esame la Cassazione si pone un’unica domanda il reato per cui si procede nei confronti dell’indagato, continua ad essere compreso tra quelli per i quali si può disporre la custodia in carcere? La risposta è positiva. La nuova norma processuale” art. 280 c.p.p. prevede che si possa disporre la predetta misura quando si proceda per reati che sono puniti, nel massimo, con pena non inferiore ad anni 5 e l’attuale testo dell’art. 612 bis c.p. soddisfa tale requisito. Dunque, anche oggi per lo stalking può essere irrogata e dunque mantenuta la custodia carceraria. Principio di diritto. La Cassazione elabora il seguente principio di diritto in tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, non costituisce un principio dell’ordinamento processuale, nemmeno nell’ambito delle misure cautelari. Tale principio è, però, applicabile alla norma cautelare che, al di là della sua collocazione formale, produce effetti afflittivi per l’indagato/imputato, qualora la modifica successiva, incidendo sulle condizioni di applicabilità, possa determinar il venir meno di tali effetti. [] Per il reato di cui all’art. 612 bis c.p. continua ad essere applicabile la custodia cautelare in carcere, pur dopo le modifiche introdotte all’art. 280 c.p.p. dalla l. n. 94/2013, che ha convertito il d.l. n. 78/2013. Le misure già disposte nella vigenza del testo anteriore dell’art. 280 c.p.p., per fatti anteriormente commessi, mantengono efficacia. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla con rinvio l’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 giugno – 18 luglio 2014, n. 31839 Presidente Dubolino – Relatore Albengo Ritenuto in fatto 1. Il pubblico ministero presso il tribunale di Roma propone ricorso per cassazione contro l'ordinanza del gip di Roma che, in applicazione del decreto legge 1 luglio 2013, numero 78, ha sostituito nei confronti di F.M. - indagato del reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale - la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. Il gip ha ritenuto che la predetta normativa, che elevava da quattro a cinque anni il limite minimo di pena previsto per l'applicabilità della misura cautelare della custodia in carcere, fosse applicabile immediatamente, con riferimento ai procedimenti pendenti, trattandosi di norma processuale retta dal principio del tempus regit actum . 2. Viceversa, secondo il giudice per le indagini preliminari di Roma, la modifica dell'articolo 612-6/s del codice penale, che innalzava la pena massima per il reato ivi previsto ad anni cinque di reclusione, opererebbe solamente per i fatti commessi dopo la data di entrata in vigore del predetto decreto legge. 3. Conseguentemente, la misura cautelare, che era stata irrogata nel rispetto dei requisiti di legge poiché al momento dell'adozione la pena applicabile all'indagato era non inferiore ad anni 4 e rientrante, quindi, nel campo di applicazione dell'art. 280, nel testo allora vigente , non poteva essere mantenuta perché la nuova regola processuale imponeva, per la misura custodiale, una pena edittale più elevata sebbene la misura della pena per il reato di stalking fosse stata elevata con la stessa norma che aveva modificato la norma processuale cautelare, tuttavia per il principio di irretroattività della legge penale sostanziale più sfavorevole, al F. non poteva essere irrogata la pena attuale fino a cinque anni, ma quella vigente al momento del fatto fino a 4 anni di reclusione . 4. Il pubblico ministero impugnante - deducendo la violazione degli articoli 280 e 299 del codice di procedura penale, nonché 11 delle disposizioni preliminari al cod. civ. - sostiene che la volontà del legislatore era chiaramente quella di consentire il mantenimento della misura custodiale in carcere per il reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale, essendo avvenute le predette modifiche nell'ambito dello stesso intervento normativo. Secondo il Pubblico ministero, l'invocazione del nuovo testo dell'articolo 280 del codice di procedura penale costituisce un'applicazione retroattiva della norma vietata dal legislatore ed in ogni caso egli osserva come l'articolo 299 del codice di procedura penale, laddove enumera i casi di revoca o sostituzione della misura, non contempli l'ipotesi di una sopravvenienza normativa che incida sulla soglia punitiva. Considerato in diritto 1. Il primo problema da affrontare è quello relativo alla applicabilità retroattiva della modifica normativa di carattere processuale. Per quanto riguarda il diritto sostanziale e, per quanto qui interessa, quello della sanzione , è ius receptum che la nuova norma penale non si applichi retroattivamente, se non nei casi in cui introduca una disposizione più favorevole per l'imputato art. 2 cod. pen. . Il regime di applicabilità temporale della norma penale, dunque, rinviene il suo discrimine negli effetti che produce in carico al reo, dovendo sempre trovare applicazione il regime sanzionatorio meno afflittivo tra quello vigente al momento del fatto e quello operante al momento di applicazione della pena . 2. Il suddetto principio, che trova il suo referente normativo nell'art. 2 del codice penale, è automaticamente esportabile nel diritto processuale? Qui manca, indubitabilmente, una norma analoga all'art. 2 cod. pen., potendosi unicamente fare riferimento all'art. 11 delle preleggi che costituzionale sancito nell'art. 25 della Carta fondamentale, prevede che le leggi dispongono solo per l'avvenire e non hanno effetto retroattivo . Dunque, si tratta di verificare se la disposizione di favore contenuta nell'art. 2 cod. pen. sia applicabile in via analogica o estensiva al diritto processuale. 3. Al predetto quesito, le sezioni unite hanno dato recentemente risposta negativa, affermando che In tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato, non costituisce un principio dell'ordinamento processuale, nemmeno nell'ambito delle misure cautelari, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell'ordinamento processuale Vedi Corte cost. 14 gennaio 1982, n. 15 Sez. U, n. 27919 del 31/03/2011, Ambrogio, Rv. 250196 . 4. E, se è ben vero che nel caso in esame si trattava dell'inapplicabilità di una modifica peggiorativa, pur tuttavia dall'analisi della motivazione della sentenza sembra evincersi un principio di carattere generale la corte, infatti, afferma letteralmente che l'applicazione della nuova, più severa disciplina alla custodia già in corso, con la conseguente introduzione della custodia in carcere, travolge l'apprezzamento discrezionale compiuto dal giudice nel momento genetico, sulla base della normativa del tempo, che quell'apprezzamento discrezionale gli richiedeva. Per tale via, se si alza il velo delle finzioni giuridiche, si finisce con l'intaccare retroattivamente lo statuto normativo che aveva governato l'atto genetico e ne aveva definitivamente determinato le condizioni di legittimità . comporta l'applicazione retroattiva del novum ad un contesto già definito nelle sue coordinate fattuali e normative. Si tratta di operazione che, in mancanza di una disposizione transitoria, non è consentita proprio per la violazione che comporta del principio tempus regit actum . . 5. Ed ancora Quanto all'ambito internazionale, occorre registrare che la giurisprudenza della Corte EDU ha fortemente valorizzato la centralità dell'art. 7 della Convenzione, che sancisce il principio di legalità dei reati e delle pene. Da ultimo la stessa Corte sent. 17 settembre 2009, Scoppola si è pronunziata sulla controversa costituzionalizzazione del principio di retroattività della lex mitior enunciato nell'art. 2 cod. pen. ed ha affermato che il richiamato art. 7 non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge meno severa. Questo principio si traduce nelle norme secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato. Tale principio enunciato quale riconosciuto frutto di un lento progresso del pensiero giuridico non diviene, però, per ciò solo, al contempo, un principio dell'ordinamento processuale, tanto meno nell'ambito delle misure cautelari . Le sezioni Unite, dunque, dicono chiaramente che il principio della retroattività della legge meno severa, che si applica per i reati e per le pene, non è, però, un principio generale dell'ordinamento processuale, tanto meno nell'ambito delle misure cautelari sul punto, si veda anche Sez. 3, Sentenza n. 15378 del 03/03/2010 . Tanto basterebbe per ritenere non applicabili, al caso in questione, le modifiche operate con il decreto legge 78/2013. 6. Occorre considerare, peraltro, che vi è una pronuncia successiva che, pur tenendo conto della sentenza citata, sembra orientata in modo diverso proprio in un caso di applicazione del decreto legge 78/2013, la sesta sezione Sez. 6, n. 48462 del 08/10/2013, Staffetta, Rv. 258042 , ha ritenuto che sia applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore la nuova disciplina dell'art. 280, comma secondo, cod. proc. pen., la quale - per effetto delle interpolazioni effettuate dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, che ha convertito con modificazioni il D.L. 1 luglio 2013, n. 78 - ha innalzato da quattro a cinque anni il limite minimo del massimo edittale necessario per disporre la custodia cautelare in carcere. In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato un'ordinanza del tribunale del riesame che, prima dell'entrata in vigore della legge n. 94 del 2013, aveva confermato la misura custodiate per il reato di violenza privata, in relazione alla quale il massimo edittale previsto è pari a quattro anni. La sesta sezione ha ritenuto di non porsi in contrasto con le sezioni unite sulla considerazione che l'evenienza da quest'ultime considerata aveva ad oggetto un'ipotesi di variazione del tutto diversa del tessuto normativo, siccome destinata ad incidere in malam partem sull'ambito di applicabilità delle restrizioni alla sfera della libertà personale, laddove, nell'ipotesi esaminata dalla sesta sezione, le modifiche processuali incidevano sulle stesse condizioni generali di legalità delle possibili limitazioni dello status libertatis, determinando un'oggettiva situazione di favore nella valutazione della regolarità del vincolo imposto alla libertà personale dell'indagato. Sulla base di queste premesse, la sesta sezione concludeva affermando il seguente principio di diritto Pur in assenza di una specifica disposizione transitoria, deve ritenersi che la modifica normativa in esame sia senz'altro applicabile ai procedimenti cautelari in corso al momento dell'entrata in vigore della su citata legge n. 94/2013, venendo in rilievo, nel caso in esame, la trasformazione di un profilo essenziale di legittimità della misura della custodia cautelare in carcere, ossia quello dotato di valenza propriamente costitutiva , inerente alle sue condizioni generali di applicabilità, la cui presenza non può, per qualsiasi ragione, venir meno in corso di esecuzione, se non al prezzo di un'inammissibile violazione del quadro costituzionale dei presupposti e delle condizioni di legalità delle limitazioni che possono essere tassativamente imposte alle libertà della persona ex artt. 13, comma 2, Cost. e 272 c.p.p. . 7. Come si è detto in precedenza, la pronuncia delle sezioni unite, pur relativa ad un caso di lex superveniens più sfavorevole, non sembra aver posto limiti, in materia processuale, al principio del tempus regit actum principio che, lo si ricorda, non significa solo che il Giudice deve applicare la legge regolatrice del processo in vigore nel momento in cui compie un determinato atto indipendentemente dalla data in cui il reato è stato commesso , ma comporta altresì che legittimità e regolarità dell'atto precedentemente compiuto debbano essere valutate alla stregua della normativa allora vigente, senza che possano assumere rilievo successive modifiche della regola processuale. 8. Ebbene, nonostante la segnalata discrasia, ritiene questo collegio che il contrasto tra la recente sentenza delle sezioni Unite e quella ancor più recente della sezione sesta sia solamente apparente, o meglio che possa essere composto considerando le differenze tra i due casi differenze che non vanno ricercate negli effetti più o meno sfavorevoli della legge successiva, quanto piuttosto nella natura dell'intervento normativo. Orbene, se la sopravvenienza presa in esame dalle sezioni unite aveva chiaramente natura processuale perché regolava le modalità applicative della misura , nel caso esaminato dalla sesta sezione il cambiamento influiva sulle stesse condizioni di applicabilità e cioè su un presupposto sostanziale, di legalità, della misura cautelare. La nuova norma, cioè, non si limitava a dire al Giudice non sei tenuto a provare che o puoi presumere che , ma restringeva i casi in cui la misura poteva essere concessa incideva, cioè, restrittivamente, sulle sue condizioni di applicabilità. Di modo che la differenza tra il prima e il dopo non era sul cosa si doveva valutare o come si doveva applicare la misura differenza processuale , ma sul se applicarla o meno. E poiché la custodia cautelare in carcere, pur non avendo finalità sanzionatoria, ha comunque pesanti effetti afflittivi nei confronti del destinatario, non si può disconoscerne la natura anche sostanziale. 9. Si deve, in conclusione, considerare che la natura di una norma non deve essere valutata esclusivamente con riferimento alla sua collocazione formale o al momento applicativo all'interno del processo, bensì avuto riguardo anche ai concreti effetti pratici che produce. Così, anche una norma del codice di procedura e destinata ad applicarsi nel corso del processo può avere natura - anche solo in parte - sostanziale, laddove, come nel caso di specie, intervenga sulle condizioni di applicabilità e, quindi, di permanenza di una misura che incide sullo status libertatis del soggetto. 10. Si può dire, allora, che i casi esaminati dalle sezioni Unite e dalla sezione sesta sono diversi perché nel primo caso si trattava di norma di carattere processuale, nel secondo veniva in considerazione una modifica idonea ad influire sullo status libertatis. 11. Ciò detto, resta ancora da risolvere la questione dibattuta nel presente procedimento, atteso che trattasi di situazione del tutto peculiare e, comunque, differente da quella esaminata dalla citata pronuncia della sesta sezione. Ed invero, in quel caso a fronte di un innalzamento dei limiti edittali per l'applicazione della custodia cautelare, la pena prevista per il reato contestato era rimasta invariata ed era inferiore ai nuovi limiti minimi nel caso oggi in esame, invece, la stessa legge che ha modificato le condizioni di applicabilità della misura, innalzandone i limiti, ha altresì e contestualmente elevato la pena edittale del reato contestato all'indagato 612-ò/s , di modo che lo stesso, anche oggi, rientra tra quelli per cui è possibile irrogare la custodia carceraria. 12. Il Gip di Roma ritiene che la nuova norma cautelare trovi applicazione immediata, in quanto norma più favorevole, mentre l'innalzamento di pena per il 612-bis non operi per il principio di irretroattività di cui all'art. 2 cod. pen. conseguentemente, ritiene che non sussistano più, oggi, le condizioni per il mantenimento della misura. 13. Tale opinione, che può apparire formalmente corretta, non è tuttavia condivisibile. In primo luogo occorre tener conto della voluntas legis tale dato assume particolare rilevanza nei casi in cui la norma sia oscura o si presti a più interpretazioni, giacché laddove il significato è chiaro od incompatibile con il dichiarato fine del legislatore, il concreto interesse perseguito perde di rilevanza, posto che la legge, una volta emanata, perde ogni legame con il suo autore e vive di vita propria, autonoma. Ma, nel caso di specie, ci troviamo di fronte ad una modifica priva di disciplina transitoria e, dunque, aperta a più soluzioni il dichiarato fine del legislatore nel prevedere altresì l'aumento della pena per il reato di atti persecutori di voler mantenere la custodia cautelare per tale reato, non solo non contrasta con la ratio oggettiva della legge, ma, anzi, è con essa assolutamente compatibile è la stessa contestualità dell'intervento modificativo delle due norme art. 280 c.p.p. e art. 612-bis c.p. ad assegnare al decreto legge, oggettivamente, la volontà di mantenere la possibilità di irrogare la custodia in carcere per tale reato. La soluzione è anche impeccabile sotto un profilo logico, se si pensa che per il reato di stalking l'applicabilità della custodia cautelare era prevista fino al d.l. 78/2013 ed è altresì prevista dopo la predetta modifica. Se si poteva applicare prima e si può applicare dopo, per quale motivo si dovrebbe revocare una misura legittimamente emessa? La soluzione prospettata dal Gip di Roma, allora, si manifesta in tutto il suo formalismo. Tuttavia, poiché il diritto è anche forma, e soprattutto deve essere internamente coerente, non basta reperire una soluzione di ragionevolezza, ma bisogna ancorarla a dati giuridici precisi. 14. La soluzione, per il caso in esame, esiste ed è giuridicamente coerente , se solo si considera che per l'applicabilità della misura cautelare la legge non fa riferimento ad una misura di pena concretamente irrogabile nei confronti di un determinato indagato, ma ad una tipologia di reati individuati quoad poenam. Si vuole dire, cioè, che il riferimento contenuto nell'art. 280 c.p.p. al massimo della pena edittale non vale ad individuare i soggetti cui è applicabile la misura, ma piuttosto i reati per i quali la cautela carceraria può operare. Ciò è reso evidente dalla lettera legis, laddove dice che le misure coercitive possono essere emesse quando si procede per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena . . Non, dunque, un riferimento alla pena che può essere inflitta al soggetto, ma un riferimento alla pena edittale del reato. Analogamente, il secondo comma dell'art. 280 c.p.p., relativo proprio alla custodia carceraria, prevede che la misura può essere disposta . solo per delitti . per i quali sia prevista la pena . . 15. Dunque, ricapitolando, il legislatore ha scelto di ancorare i presupposti di legittimità della misura al reato e non alla persona per l'individuazione dei reati non ha fatto ricorso ad un elenco specifico e tassativo, ma ha fornito un parametro legato ad una caratteristica del reato la misura della sanzione . La soluzione ha l'indubbio pregio di evitare la necessità di una continua rivisitazione quando si prevede un nuovo reato di un elenco chiuso e tassativo. 16. Dunque, la custodia cautelare in carcere può essere disposta per determinati reati tali reati non sono specificati, ma si debbono individuare con riferimento alla misura della pena prevista. In tale contesto, resta indifferente la misura della pena concretamente irrogabile nei confronti del singolo indagato, tantopiù che ove il legislatore ha voluto considerare tale dato, lo ha fatto espressamente art. 275, co. 2-bis, c.p.p. . 17. Sulla base di quanto affermato, è ora possibile risolvere la questione giuridica portata all'attenzione di questo collegio. È pacifico che al F. non potrà essere irrogata una pena di cinque anni è altrettanto pacifico che oggi la misura cautelare della custodia in carcere può essere applicata solo per delitti puniti con pena edittale non inferiore, nel massimo, ad anni cinque. Ma, per verificare se al F. può essere mantenuta o irrogata la predetta misura cautelare, ci si deve porre un'unica domanda il reato per cui si procede nei suoi confronti, continua ad essere compreso tra quelli per i quali si può disporre la custodia in carcere? La risposta è positiva. La nuova norma processuale art. 280 prevede che si può disporre la predetta misura quando si procede per reati che sono puniti, nel massimo, con pena non inferiore ad anni cinque e l'attuale testo dell'art. 612-bis soddisfa tale requisito. Dunque, anche oggi per lo stalking può essere irrogata e dunque mantenuta la custodia carceraria. 18. D'altronde, che per l'applicabilità della carcerazione preventiva si debba aver riguardo alla pena edittale del reato, piuttosto che a quella concretamente irrogabile nei confronti dell'indagato, è reso evidente dal fatto che la misura si applica anche in caso di reato tentato art. 280, co. II, c.p.p. , per il qual caso la pena irrogabile è inferiore non solo ai limiti attuali, ma anche a quelli precedenti. Ne consegue, tra l'altro, che la soluzione proposta dal Gip di Roma, che ancora la possibilità di misura alla sanzione concretamente irrogabile, si manifesta del tutto irragionevole al F. , indagato per il reato consumato non potrebbe essere mantenuta la misura custodiale perché nei suoi confronti non può essere irrogata una pena superiore a 4 anni, ma ad un indagato, oggi, per lo stesso delitto tentato, la misura potrebbe essere applicata anche se la sanzione concretamente irrogabile pur con la nuova pena edittale, più elevata è sicuramente inferiore a 4 anni 5 anni ridotti almeno di 1/3 . 19. In conclusione, se la misura cautelare era ed è tuttora applicabile anche per il tentativo, il quale comporta l'irrogabilità in concreto di una pena sempre inferiore ai 4 anni sia con la vecchia che con la nuova formulazione dell'art. 612-bis c.p. , non è alla sanzione che può essere inflitta all'indagato che si deve fare riferimento, ma alla pena edittale prevista dalla norma incriminatrice. 20. Ne consegue che sussistevano al momento di emissione della misura e permangono oggi, senza soluzione di continuità, i presupposti per l'applicabilità della custodia cautelare in carcere per il reato di stalking pertanto, la decisione del Gip di Roma è viziata da erronea applicazione della legge e come tale va annullata. 21. Il Giudice di rinvio si atterrà ai seguenti principi di diritto - In tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato, non costituisce un principio dell'ordinamento processuale, nemmeno nell'ambito delle misure cautelari. Tale principio è, però, applicabile alla norma cautelare che, al di là della sua collocazione formale, produce effetti afflittivi per l'indagato/imputato, qualora la modifica successiva, incidendo sulle condizioni di applicabilità, possa determinare il venir meno di tali effetti . - È applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore la nuova disciplina dell'art. 280, comma secondo, cod. proc. pen., la quale - per effetto delle interpolazioni effettuate dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, che ha convertito con modificazioni il D.L. 1 luglio 2013, n. 78 - ha innalzato da quattro a cinque anni il limite minimo del massimo edittale necessario per disporre la custodia cautelare in carcere . - Le condizioni di applicabilità delle misure coercitive devono essere valutate con riferimento alla pena edittale del reato, piuttosto che a quella concretamente irrogabile nei confronti dell'indagato . - Per il reato di cui all'art. 612-bis c.p. continua ad essere applicabile la custodia cautelare in carcere, pur dopo le modifiche introdotte all'art. 280 c.p.p. dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, che ha convertito il D.L. 1 luglio 2013, n. 78. Le misure già disposte nella vigenza del testo anteriore dell'art. 280, per fatti anteriormente commessi, mantengono efficacia . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma.