Volantinaggio molesto: assoluzione per mancanza dell’elemento soggettivo del reato

Il reato di molestie è integrato, sotto il profilo soggettivo, dalla volontà della condotta tesa a disturbare e dalla sua direzione verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà. Il giudice, pertanto, deve prendere in esame l’atto di molestia dell’imputato, e non può basarsi solo sulla percezione che di esso ha il destinatario.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31740, depositata il 18 luglio 2014. Il caso. Il Tribunale di Cosenza condannava l’imputata per il reato di cui all’art. 660 c.p., per aver recato molestia o disturbo alla persona offesa collocando all’inferriata esterna della sua abitazione, sul parabrezza delle autovetture parcheggiate sulla pubblica via adiacente e sul cassonetto dell’immondizia, decine di piccoli manifesti riportanti fotocopie di un atto di donazione in cui risultava evidenziata la firma della persona offesa, per petulanza ed altri biasimevoli motivi. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’imputata. Il reato di molestie. Il reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. La contravvenzione in questione non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può essere realizzato anche con una sola azione Cass., Sez. VI, n. 248982/10 Cass., Sez. I, n. 29933/10 . Ai fini della configurazione del reato previsto dall’art. 660 c.p., l’atto di molestia dev’essere ispirato da biasimevole motivo o rivestire il carattere della petulanza, consistente in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri. L’elemento soggettivo. L’elemento soggettivo del reato di molestie consiste nella coscienza e volontà della condotta tenuta, nella consapevolezza della sua idoneità a molestare e disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole, o addirittura per il ritenuto conseguimento della soddisfazione di un proprio diritto, con modalità non legali Cass., Sez. I, n. 4053/03 . La fattispecie richiede sotto il profilo soggettivo la volontà della condotta e la sua direzione verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà Cass., Sez. I, n. 11755/91 . Nel caso in esame, sul punto dell’elemento soggettivo del reato, la sentenza è motivata solo in modo apparente, perché non è stato accertato il dolo specifico. Il giudice ha ritenuto integrato il requisito dell’elemento soggettivo non già prendendo ad esame la condotta dell’imputata, bensì solo guardando gli effetti che da essa erano rifluiti nella sfera della persona offesa. Tale ragionamento non rispecchia il contenuto della norma che è incentrato sulla molestia dell’atto e non sulla percezione che di esso ha il destinatario. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 maggio – 18 luglio 2014, n. 31740 Presidente Siotto – Relatore Novik Ritenuto in fatto Con sentenza emessa il 1 luglio 2013, il tribunale di Cosenza, in seguito ad opposizione a decreto penale, condannava P.A.F. alla pena di euro 200 di ammenda, doppi benefici, per il reato di cui all'articolo 660 cod. pen., per aver recato molestia e disturbo a P.P. collocando all'inferriata esterna della sua abitazione, sul parabrezza delle autovetture parcheggiate sulla pubblica via adiacente e sul cassonetto dell'immondizia, decine di piccoli manifesti riportanti fotocopie di un atto di donazione in cui risulta evidenziata la firma della persona offesa, per petulanza ed altri biasimevoli motivi . In Rende il 9/7/2009. L'imputata veniva condannata altresì al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, liquidati in euro 2500, oltre alla rifusione delle spese processuali. Il giudice, sulla base della deposizione della persona offesa, riteneva accertato il fatto storico contestato e che questo si era realizzato per malanimo nei confronti della sorella, avendo l'imputata confessato candidamente di aver volontariamente perseguito lo scopo di rendere nota l'esistenza del suo diritto e la legittimità del proprio operato onde l'affissione di volantini, all'uopo predisposti, tra le abitazioni del quartiere . Detto fatto aveva sgradevolmente interferito nella sfera della libertà e della quiete della sorella cagionandole un sottile senso di vergogna nei confronti dei vicini con i quali aveva rapporti meramente formali . Avverso questa sentenza ha presentato ricorso l'imputata a mezzo del difensore di fiducia chiedendone l'annullamento per violazione dell'art. 606 lett. b-c-e cod. proc. pen. in relazione agli artt. 660 e 43 cod. pen. 125, 192, 459 comma 1, 546 comma 1 lett. e 420 ter 493 e 503 cod. proc. pen. art. 150 disp. att. cod. proc. pen Richiamando la giurisprudenza formatasi sul punto, la parte rileva che la molestia per essere penalmente rilevante deve avere un connotato oggettivo e non essere sentita tale dalla parte interessata. Nella specie, l'intento dell'imputata, fatta oggetto di verifiche edilizie da parte di vigili urbani su segnalazione della parte civile, era stato quello di portare a conoscenza dei terzi il suo diritto al compimento di opere edilizie, regolarmente assentite dall'autorità comunale. Non si trattava quindi di petulanza o di biasimevole motivo, ma volontà di essere lasciata in pace. Era carente quindi il dolo del reato. Sotto altro profilo la sentenza non aveva adeguatamente dimostrato che i volantini fossero stati apposti in luogo aperto al pubblico, in quanto l'imputata aveva dichiarato di averli affissi solo sulla ringhiera di recinzione dell'unità abitativa. Nulla escludeva quindi che altri, entrati in possesso delle copie della donazione, avessero potuto ricostruire diversamente i siti dell'affissione. L'esercizio del diritto realizzato dall'imputata escludeva il reato di molestie, in quanto non era stato posto in essere con modalità arroganti e vessatorie. La condotta si era realizzata con una sola azione, per l'unico fine di reclamare il proprio diritto a fronte di chi si opponeva, ed era quindi scriminata né aveva alterato la condizione di vita della parte offesa, la cui deposizione non appariva credibile, in quanto proveniente da soggetto portatore di interessi antagonisti con quelli dell'imputata. Illegittimamente il giudice aveva emesso decreto penale di condanna, nonostante l'opposizione della parte offesa esposta nella querela, così da determinare la nullità del decreto e di tutti gli atti consecutivi. Infine, il giudice onorario di Cosenza aveva illegittimamente rigettato la richiesta di rinvio presentata dall'imputata per legittimo impedimento con motivazione apodittica ed inconferente, avendo ritenuta insufficiente la documentazione prodotta, senza specificare quale fosse quella mancante, necessaria per accogliere la richiesta di differimento. L'imputata aveva dedotto di dover presenziare ad un convegno internazionale per conto dell'Università della Calabria, dove svolge il ruolo di professore universitario. L'intervenuto rigetto inficia la sentenza per l'ulteriore inosservanza degli articoli 493 e 503 cod. proc. pen. e 150 disp. att. cod. proc. pen Il Procuratore generale presso questa Corte, in persona del dott. P.C., ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza perché il fatto non sussiste. Considerato in diritto Le questioni di rito sollevate, il cui esame è logicamente pregiudiziale, sono manifestamente infondate e vanno respinte. A norma dell'articolo 459, co. 1, cod. proc. pen., come modificato dalla legge numero 479 dei 1999, uno dei presupposti per l'instaurazione del procedimento per decreto è che, nei reati perseguibili a querela, il querelante non abbia dichiarato preventivamente di opporvisi. La contravvenzione in esame è perseguibile d'ufficio, quindi la questione non si pone. Per quanto riguarda la doglianza relativa al rigetto della richiesta di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento dell'imputata, la parte non specifica quale sia l'attività processuale svolta in sua assenza e quale il pregiudizio che ne sia derivato. Il motivo non è specifico. Il reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo dei telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. La contravvenzione in questione non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può essere realizzato anche con una sola azione Sez. 6, 23.11.2010, n. 248982, rv 248982 Sez. 1, 8.7.2010, n. 29933, rv 247960 . È principio affermato da questa Corte che l'elemento soggettivo del reato in oggetto consiste nella coscienza e volontà della condotta tenuta, nella consapevolezza della sua idoneità a molestare e disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l'eventuale convinzione dell'agente di operare per un fine non biasimevole, o addirittura per il ritenuto conseguimento della soddisfazione di un proprio diritto, con modalità non legali Sez. 1, 12.12.2003, n. 4053, rv 226992 . La fattispecie richiede sotto il profilo soggettivo la volontà della condotta e la sua direzione verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà Sez. 1, 1.10.1991, n. 11755 rv 188987 . Sul punto dell'elemento soggettivo del reato, la sentenza è motivata solo in modo apparente, perché non è stato accertato il dolo specifico. Era invece obbligo del giudice verificare, in concreto, la ricorrenza dei requisiti di legge per la sussistenza della contravvenzione, giacché, ai fini del reato previsto dall'art. 660 c.p., l'atto di molestia dev'essere ispirato da biasimevole motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri. Nella specie, il giudice ha ritenuto integrato tale requisito non già prendendo ad esame la condotta dell'imputata, bensì solo guardando gli effetti che da essa erano rifluiti nella sfera della persona offesa. Tale ragionamento non rispecchia il contenuto della norma che è incentrato sulla molestia dell'atto e non sulla percezione che di esso ha il destinatario. Dall'esame della sentenza impugnata risulta che il fatto contestato all'imputata, riguardò la diffusione di fotocopie di un atto di donazione, realizzato a mò di collage, al fine di evidenziare la legittimità delle opere edilizie poste in essere, ripetutamente contrastate dalla sorella, pur essendo regolarmente assentite degli organi comunali. In questo comportamento non è evidenziabile nessun biasimevole motivo, né tantomeno petulanza, che richiede comunque una pluralità di atti. Consegue l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.