Mancata firma sul “pezzo”, ma non per forza si può andare a punire il primo nella scala gerarchica

La responsabilità penale del direttore di un quotidiano a causa di un articolo pubblicato, di contenuto diffamatorio, non firmato e di cui non si conosce la paternità, non può essere affermata automaticamente, ma deve essere rilevata da una serie di circostanze, che dimostrino la consapevole adesione del direttore al suo oggetto.

Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 31813, depositata il 18 luglio 2014. Il caso. Ai sensi degli artt. 595 c.p., 13 e 21 l. n. 47/1948 disposizioni sulla stampa , la Corte d’appello di Milano condannava il direttore di un quotidiano, a causa di un articolo non firmato pubblicato sul giornale, che aveva contenuto diffamatorio. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione dell’art. 57 c.p. reati commessi col mezzo della stampa periodica . I giudici di merito, da una parte, avevano ritenuto sussistente la responsabilità del direttore a titolo di dolo, ma, dall’altra, avevano fatto riferimento ad un addebito di omesso controllo. In più, mancava la motivazione sulla mancata considerazione del difetto di prova riguardo all’impossibilità di risalire all’autore materiale dell’articolo, nonché all’eventuale concorso del direttore nel reato di diffamazione, che soli avrebbero giustificato la responsabilità ai sensi dell’art. 595 c.p Mancavano, perciò, i presupposti per ritenere che il direttore di un quotidiano nazionale avesse voluto, rispetto ad un fatto di cronaca di non primaria importanza ed interesse pubblico, la pubblicazione della notizia nella conoscenza del suo contenuto lesivo e, quindi, nella consapevolezza di aggredire la reputazione altrui. Responsabilità del direttore. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che la pubblicazione di un articolo di stampa, senza indicazione dell’autore, non dimostra di per sé che ne sia autore il direttore del giornale che lo pubblica. Anche se questo, autorizzando la pubblicazione di uno scritto anonimo, assume un obbligo di verifica più rigoroso, ma ciò non esclude che il titolo della sua eventuale responsabilità permanga quello previsto dall’art. 57 c.p., qualora non ne risulti provata la paternità dello scritto oppure il concorso nel delitto di diffamazione. Da cosa si ricava la colpevolezza. Nel caso di specie, non era stata dimostrata la configurabilità, in capo al direttore del quotidiano, del reato di diffamazione a mezzo stampa. Tale prova può essere desunta da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione, tra cui il contenuto degli scritti, la loro correlazione con il contesto sociale da cui traggono ispirazione, la forma, l’evidenza e la collocazione tipografica loro assegnata nello stampato. Si tratta di circostanze che sono espressione della consapevole adesione del direttore al suo oggetto, come manifestazione del convincimento e della partecipazione attiva di colui che la deve autorizzare. Automatismo sbagliato. Invece, i giudici di merito avevano rilevato la responsabilità del direttore, non ai sensi dell’art. 57 c.p., ma a titolo di diffamazione, basandosi solo sul richiamo al contenuto diffamatorio dell’articolo e della sua intitolazione, nonché sulla mancata firma e sul fatto che nessuno se ne era assunta la paternità. Mancava, quindi, la ricognizione delle circostanze necessarie, con la configurazione di una responsabilità automatica in capo all’imputato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 aprile – 18 luglio 2014, n. 31813 Presidente Dubolino – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 21/03/2013, la Corte di appello di Milano, revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena, ha nel resto confermato la sentenza in data 12/04/2011 con la quale il Tribunale di Milano dichiarava M.G. colpevole del reato di cui agli artt. 595 cod. pen., 13 - 21 L. n. 47 del 1948, per avere quale direttore del quotidiano OMISSIS , da ritenersi autore dell'articolo non firmato intitolato Sporcizia, cibi avariati e irregolarità. Messi i sigilli a due ristoranti etnici pubblicato il omissis , offeso la reputazione di N.S. , titolare del ristorante omonimo, affermando che il ristorante stesso era stato chiuso per le pessime condizioni e multato per l'impiego di una donna eritrea al sesto mese di gravidanza, circostanze entrambe non vere, ingenerando nel lettore il convincimento di una grave situazione igienica del locale e che essa fosse la ragione della sua chiusura riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti del mezzo della stampa e del fatto determinato, l'imputato è stato condannato alla pena di 800 Euro di multa e, in solido con il responsabile civile Poligrafici Editoriale s.p.a., al risarcimento dei danni a favore della parte civile costituita, liquidati in Euro 8.000 e al pagamento a titolo di riparazione pecuniaria di 2.000 Euro. Rileva la Corte di merito che il carattere diffamatorio dell'articolo non attiene al fatto vero della chiusura del ristorante, ma alla natura della violazione per la quale è stata applicata tale sanzione, in quanto l'accostamento indistinto della situazione di irregolarità riscontrate nei due locali induceva a ritenere che anche il ristorante della persona offesa fosse stato chiuso, contrariamente al vero, per le pessime condizioni igieniche è incontrovertibile la portata diffamatoria per un ristorante della notizia della sua chiusura per l'accertamento di pessime condizioni igieniche, sporcizia, cibi avariati , notizia, questa, non rispondente alla realtà storica per quanto riguarda il locale della querelante, accomunato nell'articolo alla contestazione mossa al ristorante peruviano, sicché l'accostamento tra notizie vere ha determinato l'effetto di un ulteriore significato, trascendente la notizia stessa, acquisendo un'autonoma valenza offensiva anche la notizia che la cuoca eritrea clandestina impiegata nel locale fosse al sesto mese di gravidanza è risultata non rispondente al vero e non può ritenersi trattarsi di modesta e marginale inesattezza, essendo innegabile la capacità di tale falsa notizia di accrescere il discredito causato all'immagine della persona offesa è corretta la qualificazione giuridica, operata dalla sentenza di primo grado, della condotta del direttore che abbia pubblicato un articolo privo di firma contenente notizie diffamatorie, configurandosi il dolo indiretto consistente nell'accettazione del rischio relativo la portata oggettivamente lesiva della reputazione della parte civile ravvisabile sia nel titolo e sottotitolo, sia nel testo dell'articolo, del quale nessuno si era assunto la paternità, consente di ritenere la volontà del direttore di pubblicare l'articolo nella consapevolezza ed accettando il rischio di aggredire l'altrui reputazione, e non semplicemente una colposa omissione di controllo la sentenza di primo grado ha adeguatamente tenuto conto dei criteri ex art. 133 cod. pen., applicando la sola pena pecuniaria previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti anche per quanto riguarda le statuizioni civili, il Tribunale di Milano ha correttamente fatto riferimento ai parametri della portata diffamatoria della notizia e del discredito effettivamente cagionato da essa alla persona offesa, tenendo conto dello spazio dedicato all'articolo su un quotidiano ad ampia e diffusa tiratura nazionale. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione, nell'interesse di M.G. e di Poligrafici Editoriale s.p.a., il difensore avv. A. Biffarli, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen 2.1. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 57 cod. pen., mancanza di motivazione. La motivazione resa dalla Corte di appello in merito alla responsabilità a titolo di dolo dell'imputato è meramente apparente, non rispondendo dettagliatamente alle censure articolate con il gravame, ove si era dedotta l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado, che, da una parte, riteneva sussistente la responsabilità del direttore a titolo di dolo, ma, dall'altra, faceva riferimento ad un addebito di omesso controllo. La sentenza impugnata, inoltre, non ha motivato in ordine alla mancata considerazione dell'obiettivo difetto di prova in ordine all'impossibilità di risalire all'autore materiale dell'articolo, nonché all'eventuale, effettivo, concorso del direttore nel reato di diffamazione, che soltanto avrebbero giustificato l'affermazione di responsabilità ai sensi dell'art. 595 cod. pen. nel caso di specie difettano sia la prova della paternità dell'articolo, sia quella dell'eventuale concorso del direttore nel reato di diffamazione. Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l'esame dell'intero contesto informativo, per le modalità della pubblicazione e per i suoi contenuti, conduce ad escludere la sussistenza dei presupposti per ritenere il direttore di un quotidiano nazionale abbia voluto - rispetto ad un fatto di cronaca di non primaria importanza ed interesse pubblico - la pubblicazione della notizia nella conoscenza del suo contenuto lesivo e, dunque, nella consapevolezza di aggredire la reputazione altrui. 2.2. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62 bis e 69 cod. pen. e vizio di motivazione. La motivazione della sentenza impugnata sul trattamento sanzionatorio è apodittica e non tiene conto dei rilievi svolti nei motivi di appello circa l'esorbitanza della pena inflitta e la mancata declaratoria di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche. 2.3. Inosservanza dell'art. 538 cod. proc. pen. e vizio di motivazione. In ordine alla quantificazione del danno, la Corte di appello non ha considerato le doglianze relative all'eccessività dell'importo alla luce della sostanziale corrispondenza al vero dei fatti riportati nell'articolo e all'omessa considerazione, in difetto dell'apporto della parte civile di prove contrarie, della circolazione solo locale della notizia. 2.4. Mancanza di motivazione in relazione all'eccessivo ammontare della somma liquidata a titolo di riparazione pecuniaria. La sentenza impugnata non ha tenuto conto delle censure svolte nei motivi di appello in ordine alla mancata considerazione dei parametri ex art. 12 L. n. 47 del 1948. 3. In data 19/03/2014, la difesa ha depositato un atto con il quale deduce due motivi nuovi. 3.1. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 57, 132, 595 cod. pen. e mancanza di motivazione. Logico corollario del primo motivo del ricorso è la rivalutazione del trattamento sanzionatorio in concreto applicato alla luce dell'art. 57 cod. pen 3.2. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 538 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in relazione ai criteri utilizzati per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale. Considerato in diritto Il ricorso è fondato, nei termini di seguito indicati. Sussiste il vizio motivazionale denunciato con il primo motivo, posto che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la pubblicazione di un articolo di stampa senza indicazione dell'autore non dimostra di per sé che ne sia autore il direttore del quotidiano o del settimanale che lo pubblica. Certo il direttore che autorizza la pubblicazione di uno scritto anonimo assume un obbligo di verifica più rigoroso. Ma ciò non esclude che il titolo della sua eventuale responsabilità permanga quello previsto dall'art. 57 c.p., ove non ne risulti provata la paternità dello scritto ovvero il concorso nel delitto di diffamazione” Sez. 5, n. 29410 del 09/05/2007 - dep. 20/07/2007, Rinaldi Tufi, Rv. 237437 . La sentenza impugnata non ha adeguatamente motivato in ordine alla prova della configurabilità, in capo al direttore del quotidiano, del reato di diffamazione a mezzo stampa, prova che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere desunta da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione legittimamente essa è rinvenibile nel contenuto degli scritti, nella loro correlazione con il contesto sociale dal quale traggono ispirazione, dalla forma, dall'evidenza e dalla collocazione tipografica loro assegnata nello stampato, circostanze, queste, che sono espressione del meditato consenso e della consapevole adesione del direttore al suo oggetto, quale manifestazione del convincimento e della partecipazione attiva di colui che la deve autorizzare Sez. 5, n. 4563 del 13/02/1985 - dep. 10/05/1985, Criscuoli, Rv. 169150 conf. Sez. 5, n. 10252 del 07/07/1981 - dep. 13/11/1981, Cingoli, Rv. 150976 Sez. 5, n. 41249 del 26/09/2012 - dep. 23/10/2012, S. e altro, Rv. 253752 . Nel caso di specie, l'affermazione della responsabilità del direttore - non già ai sensi dell'art. 57 cod. pen., bensì - a titolo di diffamazione è motivata sulla base del mero richiamo al contenuto diffamatorio dell'articolo pubblicato e della sua intitolazione, nonché facendo leva sul rilievo che il medesimo articolo non era firmato e nessuno se ne è assunto la paternità. Escluso che la fattispecie dolosa possa ritenersi configurata sulla base di una sorta di automatismo incentrato sulla pubblicazione di un articolo non firmato dal contenuto oggettivamente diffamatorio, l'affermazione a titolo di dolo dell'imputato risulta svincolata dalla puntuale ricognizione del complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione, così come delineate dalla giurisprudenza richiamata né la lacuna motivazionale può essere esclusa sulla base della considerazione del tipo di pubblicazione, versandosi, nel caso in esame, in una ipotesi di scritto pubblicato, come rilevato dalla stessa Corte di merito, su un quotidiano ad ampia e diffusa tiratura nazionale e non, ad esempio, in un mensile a tiratura limitata ed esclusivamente locale come nel caso esaminato da Sez. 5, n. 43084 del 10/10/2008 - dep. 18/11/2008, Monaco e altro, Rv. 242598 . Il primo motivo di ricorso, pertanto, è fondato nei termini indicati, sicché, restando assorbiti gli ulteriori motivi, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.