Il dies a quo per prescrivere decorre dalla sentenza di primo grado, in caso di contestazione “aperta” di un reato associativo

Stavolta solo un parziale successo per l’avv. Coppi, reduce dal trionfo Berlusconi/Ruby. Ma il già condannato Matacena resta a Dubai

Così la Cassazione, prima sezione penale, n. 31782/2014, depositata il 18 luglio. Il fatto. Concorso esterno in associazione mafiosa , questa la grave imputazione a carico di Amedeo Matacena, per fatti criminali protrattasi quando l’ex deputato di Forza Italia – eletto nel 1994 – era già da diversi anni Parlamentare della Repubblica. L’articolato giudiziario fu complesso, fino alla sentenza di condanna della Corte d’Assise d’appello del 2012, impugnata ex art. 625 bis c.p.p. dall’avv. Coppi, difensore eletto. Il legale contestava la decorrenza del termine necessario a prescrivere – il dies a quo sarebbe decorso dalla data di elezione alla Camera dei Deputati, nel 1994 -, e la violazione dei diritti della difesa, per la mancata contestazione ex art. 516 c.p.p. di fatti successivi all’insediamento parlamentare. La Cassazione, accogliendo solo parzialmente il ricorso, specifica il regime prescrizionale applicabile in caso di contestazioni aperte”, quando ossia le condotte criminali risultano permanenti nel tempo e non è possibile fissare un termine ultimo. Reati associativi, il dies a quo per prescrivere decorre dalla sentenza di primo grado. Si tratta in realtà di un principio già consolidato. Quando la contestazione è aperta” e la permanenza non è cessata al momento di redigere il rinvio a giudizio – risulta che il Matacena intratteneva rapporti con il sodalizio criminale anche nei tempi successivi alla elezione in Parlamento del 1994, per un episodio estorsivo occorso nel biennio 1999/2000 -, il dies a quo decorre dalla sentenza di primo grado, in quanto in quella fase dibattimentale di si consolida il perimetro temporale dell’imputazione, non più modificabile nei gradi successivi. I giudici avevano erroneamente fissato il dies a quo – da cui il ricorso ex art. 625 bis c.p.p. – nella seconda sentenza della Corte d’Assise – del 2006 - anziché nella prima – del 2001 - poi annullata, per l’effetto scivolando in avanti la compiuta decorrenza del termine a prescrivere, con effetti pregiudizievoli per l’imputato. Si tratta comunque di una vittoria di Pirro, nonostante la retrodatazione al 2001 il tempo a prescrivere non era comunque maturato – sarebbe decorso nel 2016 -. Viene confermata la condanna. La tesi dell’avv. Coppi. Semplicemente, il tentato fatto estorsivo del 1999 esondava dalla prima imputazione, né occorse alcuna contestazione suppletiva che avesse ragguagliato il nuovo fatto emerso del 1999/2000 a quanto già cristallizzato con il rinvio a giudizio, in palese violazione dell’art. 516 c.p.p Pur mancando la contestazione suppletiva, il nuovo fatto fu ritenuto sintomatico di un sodalizio criminale già operante, con l’effetto di posporre il dies a quo per prescrivere nella sentenza di primo grado del 2001, anziché nel 1994 – anno di elezione di Matacena alla Camera dei Deputati -. In breve, quel nuovo fatto non fu ritenuto rilevante ai fini della formulazione dell’imputazione ma rilevante ai fini prescrittivi. I giudici di Cassazione tranciano di netto la tesi del noto avvocato, si tratta di valutazioni irriconducibili al paradigma dell’errore di diritto e di fatto ex art. 625 bis c.p.p L’errore c’è ma solo sulla pena. I giudici d’appello avevano erroneamente applicato la forbice edittale prevista per il reato associativo mafioso ex art. 416 bis c.p. nella versione seguente alla l. n. 251 del 2005 – l. ex Cirielli - , anziché nella versione previgente della norma, più favorevole per l’imputato ex art. 2 c.p. e dunque da preferire. La pena andava rimodulata – 3 anni di reclusione anziché 5, più l’interdizione dai pubblici uffici -. Matacena non torna. Nonostante il giudicato, l’on.le Matacena resta a Dubai, da prigioniero politico – gli Emirati Arabi non hanno concesso l’estradizione -. La Cassazione ha errato il computo della pena, è molto probabile che ci siano altri errori , riferisce, voglio tornare quando sarà appurata la mia innocenza .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 giugno – 18 luglio 2014, n. 31782 Presidente Siotto – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 5.6.2013, la V Sezione di questa Corte rigettava il ricorso proposto da M.A.G.R. avverso la pronuncia resa il 18.7.2012 dalla Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria, determinando l'irrevocabilità della condanna dell'imputato alla pena di 5 anni di reclusione, comminata, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 416 bis cod. pen. , per il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso. 2. Avverso la citata sentenza del 5.6.2013, uno dei due difensori del M. l'atto è sottoscritto unicamente dall'avv. Franco Coppi ha proposto ricorso straordinario ai sensi dell'art. 625 bis cod. proc. pen 2.1. Con il primo motivo, deduce errore di fatto in relazione al calcolo del termine di prescrizione . La sentenza impugnata, a causa di un equivoco nella lettura del capo di imputazione relativo al tempus commissi delicti , aveva omesso di rilevare lo spirare del termine di prescrizione. Ed invero, l'imputazione contestata al M. di concorso esterno in associazione mafiosa di cui agli artt. 110, 416 bis cod. pen., aggravata ai sensi dei commi 4 e 5 art. cit., formulata nella richiesta di rinvio a giudizio del 23.4.1998 data del deposito presso la cancelleria del G.I.P. di Reggio Calabria - mai mutata nel corso di tutte le varie fasi che hanno articolato il procedimento d'interesse - indicava come luogo e tempo del commesso reato Reggio Calabria ed altre località nazionali dal 1988 alla data odierna ovvero il 23.4.1998. Trattandosi di contestazione chiusa - posto che individuava una data precisa di cessazione della condotta delittuosa permanente - doveva venire in considerazione, nella specie, l'applicabilità della disciplina della prescrizione precedente alla legge n. 251/05, che, per i delitti puniti con pena non inferiore a 10 anni - tenuto conto dell'aumento massimo della pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti - prevedeva un termine di quindici anni la prescrizione era, dunque, maturata il 23.4.2013, in data antecedente quella della sentenza emessa da questa Corte, Sezione V 5.6.2013 . Ciò detto, chiede il difensore ricorrente di correggere il decisivo errore di fatto contenuto nella sentenza impugnata, individuando nel 23.4.1998 il momento della cessazione del reato permanente. 2.2. Con il secondo motivo, denuncia errore di fatto . per omessa considerazione delle conclusioni difensive, decisive ai fini del giudizio di legittimità . La sentenza impugnata aveva omesso di rispondere alle conclusioni difensive in ordine alla durata della permanenza e alla necessità di un'eventuale contestazione suppletiva, qualora fosse stato necessario imputare al M. un contributo criminoso successivo al 23.4.1998. Ed invero, detta pronuncia - ricordava che l'oggetto del precedente giudizio di rinvio ad altra sezione della Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria era volto a stabilire se le vicende cc.dd. ovvero la progressione del cursus honorum politico di A.G. vedi pag. 3 sent. cit. e omissis ovvero la tentata estorsione per i lavori ivi effettuati vedi, sempre, pag. 3 sent. cit. rappresentassero degli indizi gravi, precisi e concordanti al fine di confermare la contestazione indicata nel capo di imputazione - ammetteva che l'episodio di omissis si poneva al di fuori del perimetro della contestazione , e che era stato valutato non come fatto in sé penalmente rilevante, ma come episodio sintomatico del permanere del legame tra M. e la cosca Rosmini, salvo, poi, aggiungere, inaspettatamente, che, essendo all'epoca della richiesta estorsiva poi rientrata per i lavori di omissis il legame del ricorrente e la cosca ancora attivo, almeno fino a quel momento anni 1999/2000 il termine di prescrizione non poteva iniziare a decorrere - concludeva affermando che, con le argomentazioni sopra esposte, si era data risposta alle censure dedotte nel ricorso sub c , d ed e , inclusa quella in ordine all'omessa modificazione dell'imputazione ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen La sentenza impugnata, in sostanza, riconosceva di aver tratto dalla vicenda di omissis , avvenuta tra il 1999 e il 2000, un elemento per affermare la permanenza del legame tra il M. e la cosca Rosmini oltre il tempus commissi delicti indicato nel capo d'imputazione, ma non offriva alcuna risposta alle conclusioni difensive in ordine alla necessità di contestare ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen. il segmento ulteriore della durata del reato contestato al ricorrente. 2.3. Con il terzo motivo, si duole di un ulteriore errore di fatto . per omessa considerazione delle conclusioni difensive, decisive ai fini del giudizio di legittimità . Nell'elencare i motivi di ricorso susseguenti al giudizio di rinvio, la sentenza della V Sezione ricordava come al punto 4.4 d la difesa avesse contestato la violazione degli articoli 2 cod. pen., della legge n. 251/2005 e dell'art. 416 bis cod. pen Si era, infatti, lamentato che in sede di giudizio di rinvio la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria avesse ritenuto applicabile, in punto pena, la legge n. 251/2005 entrata in vigore più di dieci anni dopo l'epoca del fatto contestato. Rispetto a questo motivo di ricorso, la Cassazione non solo non aveva dato una risposta specifica, ma aveva ritenuto, erroneamente, di dare una risposta implicita considerando assorbita la questione dall'analisi, svolta in motivazione, per attribuire natura permanente al reato di concorso esterno nell'associazione di stampo mafioso, laddove aveva valutato l'episodio di omissis come sintomatico della persistenza del legame tra M. e la cosca Rosmini. Ammesso e non concesso che un fatto non costituente reato come il predetto episodio potesse avere assunto la descritta valenza sintomatica, era innegabile, per come riconosciuto dalla sentenza ricorsa, che nessun successivo episodio, rispetto all'anno 2001, fosse stato indicato quale ulteriore indice di questa presunta permanenza. Se a ciò si aggiunge che il 2001 è l'anno coincidente con la pronuncia della prima sentenza di condanna, seppure successivamente annullata, comunque interruttiva della permanenza del reato, risultava confermato l'errore di fatto in cui era incorsa la Corte di legittimità nel non censurare la violazione compiuta dai Giudici di merito nell'applicare una pena più sfavorevole al reo prevista da una legge successiva. 3. In data 12.6.2014, il comune di Reggio Calabria, costituitosi Parte civile nel processo definito con la sentenza impugnata, ha depositato memoria ex art. 127 cod. proc. pen In relazione ai motivi di cui ai punti 1 e 2 del ricorso, osserva che la Corte di secondo grado aveva correttamente applicato al caso concreto, quanto al trattamento sanzionatorio, la disciplina di cui alla L. n. 251/2005, avendo attribuito al reato contestato all'imputato natura di reato permanente, cessato alla data della pronuncia di primo grado, cioè al 16.3.2006. La considerazione assorbiva quanto dedotto al punto 2 del ricorso, non occorrendo alcuna nuova contestazione quando si verta in materia di reato permanente. La Corte di Cassazione aveva valutato e correttamente respinto le conclusioni della difesa, riprendendo, in maniera sintetica, ma chiara e completa, quanto già statuito dalla Corte di merito. Sulla presunta erronea applicazione dell'art. 2 cod. pen. e della L. n. 251/05, la Parte civile richiama quanto già scritto dalla Corte di Assise di Appello e ribadito con la sentenza impugnata e cioè che, essendo il reato commesso dal M. permanente, in caso di successione di leggi penali nel tempo concernenti tale tipo di reato deve applicarsi la norma sopravvenuta sotto l'impero della quale la permanenza è cessata. In ogni caso, non si tratterebbe di un errore di fatto, ma di diritto. 4. In data 14.6.2014, la difesa del ricorrente ha depositato estratto della richiesta di rinvio a giudizio presentata dai PP.MM. di Reggio Calabria nel procedimento penale n. 42/97 R.G.N.R. - D.D.A Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei limiti che in seguito verranno specificati. 1. Per una migliore comprensione della motivazione, appare opportuno premettere una sintetica cronologia della presente vicenda giudiziaria, protrattasi per lunghi anni. Va ricordato che a con sentenza del 13 marzo 2001, la Corte di Assise di Reggio Calabria condannò l'imputato alla pena di cinque anni di reclusione al detta sentenza fu annullata in sede di appello decisione del 12 febbraio 2003 , in conseguenza della presa d'atto, da parte della Corte d'Assise d'Appello, della pronuncia con la quale la Corte Costituzionale aveva risolto il conflitto di attribuzione in favore del M. , all'epoca deputato, affermando che non spettava alla Corte di merito negare la validità dell'impedimento addotto il giudice di primo grado aveva disatteso l'allegazione di un impedimento a comparire addotto dall'imputato per la concomitanza di impegni parlamentari, dichiarandolo contumace b con sentenza del 16 marzo 2006, la Corte di Assise di Reggio Calabria assolse il M. perché il fatto non sussiste b1 previa riqualificazione dell'impugnazione del P.M. come appello, la Sezione V di questa Corte, con sentenza 5 maggio 2009, dispose trasmettersi gli atti alla Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria per il giudizio di secondo grado b2 detta Corte, con sentenza resa in data 11 maggio 2010, confermò la sentenza assolutoria del primo Giudice b3 su ricorso proposto dal Procuratore Generale competente, questa Sezione I, con sentenza del 24 maggio 2011, annullò con rinvio la sentenza impugnata b4 con sentenza pronunciata in data 18 luglio 2012, la Seconda sezione della Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria riformò la sentenza di primo grado, condannando l'imputato alla pena di cinque anni, nonché alle pene accessorie di legge e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, Comune di Reggio Calabria, disponendo, infine, che, a pena espiata, l'imputato fosse sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per il periodo di un anno. 2. La sentenza oggi ricorsa, emessa dalla Sezione V di questa Corte, costituisce, dunque, l'approdo dell'articolato giudizio di merito celebratosi a seguito dell'annullamento della prima decisione di condanna del M. , resa dalla Corte di Assise reggina in data 13 marzo 2001. 2.1. Per quel che rileva ai presenti fini, è necessario, anzitutto, richiamare, della predetta decisione, la parte espositiva dei motivi di ricorso sub c , d ed e trattata in quarta pagina , dal momento che i rilievi oggi proposti dalla difesa del M. ai sensi dell'art. 625 bis cod. proc. pen. investono la omessa considerazione delle conclusioni difensive formulate in relazione a quei determinati motivi i motivi nuovi si limitano ad ampliare profili già dedotti . 2.1.1. Nel motivo di ricorso sub e violazione dell'art. 627, comma secondo, e degli artt. 648 e 624, comma secondo, cod. proc. pen. , assumevano i difensori dell'imputato che la Corte di Cassazione Sez. 1, sentenza 24.5.2011 , annullando la sentenza d'appello, aveva recepito come definitivo il dictum della suddetta decisione relativo al tempus commissi delicti , da individuarsi nel 1994, anno della elezione del M. alla Camera dei Deputati aveva, dunque, errato, la Corte di rinvio nel ritenere di trovarsi in presenza di una contestazione temporalmente aperta in relazione ad un reato permanente e, conseguentemente, nell'estendere arbitrariamente la cessazione della permanenza alla data del 13.3.2006, coincidente con quella della sentenza di primo grado par. 4.3. . 2.1.2. Nel motivo di ricorso sub d violazione ed erronea applicazione del combinato disposto degli articoli 2 cod. pen. e della legge n. 251/2005, nonché dell'articolo 416 bis cod. pen. nella formulazione precedente la legge citata , la difesa ricorrente, in base alla individuazione della data del commesso reato nel dicembre 1994, lamentava la mancata applicazione, in punto pena, della normativa all'epoca vigente, che prevedeva per il partecipe dell'associazione mafiosa di cui all'art. 416 bis cod. pen. la reclusione da tre a sei anni par. 4.4. . 2.1.3. Nel motivo di ricorso sub e violazione ed erronea applicazione degli articoli 2 e 157 cod. pen., nonché degli articoli 627, 624 e 648 cod. proc. pen. , infine, quale logico sviluppo dei motivi precedenti, la difesa ricorrente si doleva della mancata declaratoria di estinzione del reato, commesso nel 1994, per intervenuta prescrizione par. 4.5. . 2.2. Dato atto dei motivi di ricorso, i Giudici della Sezione V di questa Corte hanno affrontato il nodo circa la natura - permanente o istantanea - del concorso esterno nei delitti associativi, concludendo come segue il concorso esterno in associazione mafiosa ha .natura permanente, o, almeno, tendenzialmente permanente cfr ASN 201215727 - RV 252329, che qualifica tale delitto come reato di regola permanente , nel senso che nulla vieta che, così come l'associato pieno jure possa, a un certo punto, decidere di non far più parte del club criminale cui aveva aderito, del pari, il concorrente esterno cessi di essere a disposizione - sia pure ab extrinseco - della struttura malavitosa . 2.3. Alla luce di tale affermazione, il Collegio ha coerentemente osservato che la questione della persistenza o meno della disponibilità del concorrente esterno a fornire il suo apporto doveva risolversi in un mero problema di prova . 2.4. Calando gli enunciati principi nel caso di specie e tenendo conto delle motivazioni svolte dalla Corte reggina sulla questione oggetto del giudizio di rinvio stabilire se le vicende cc. dd. e omissis costituissero indizi gravi, precisi e concordanti della serietà e concretezza degli impegni assunti dall'imputato nei confronti del sodalizio criminale, per ottenere la sua elezione alla Camera dei deputati, nelle elezioni politiche del 1994 , la V Sezione è giunta ad evidenziare - che l'episodio c.d. omissis , certamente al di fuori del perimetro della contestazione, era stato valutato, non come fatto in sé penalmente rilevante, ma come episodio sintomatico del permanere del legame tra M. , da un lato, e i Rosmini e i loro associati, dall'altro - che, siccome all'epoca della richiesta estorsiva poi rientrata per i lavori di omissis anni 1999/2000 il legame tra il ricorrente e la cosca era ancora attivo, almeno fino a quel momento, il termine di prescrizione non poteva iniziare a decorrere . Concludono, poi, i Giudici affermando Con le argomentazioni sopra esposte, si è data risposta alle censure sub c , d ed e , nonché a parte delle censure introdotte con i motivi nuovi. Dette censure sono, pertanto, da qualificare infondate . 3. Osserva, preliminarmente, il Collegio che i rilievi svolti dalla difesa del ricorrente in ordine alla natura del reato di concorso esterno in associazione mafiosa istantaneo ovvero permanente , al tipo di contestazione se chiusa o aperta , al momento della cessazione della condotta delittuosa dipendente dalla ravvisata natura di reato permanente ed alla mancata contestazione suppletiva del segmento ulteriore di durata del reato ascritto all'imputato l'episodio dei lavori di omissis , risalente agli anni 1999/2000 devono ritenersi inammissibili nella presente sede, in quanto tutti hanno costituito oggetto, esplicitamente o implicitamente, di compiute e argomentate valutazioni espresse nella sentenza impugnata, che, quindi, non potrebbero mai essere ricondotte al paradigma dell'errore materiale o di fatto. 4. Venendo alla tipologia di errori deducibili con il particolare strumento del ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen., ritiene questo Collegio che la sentenza censurata sia incorsa in un errore percettivo laddove ha individuato la sentenza di primo grado cui ancorare la cessazione della permanenza del reato ascritto all'imputato nella decisione emessa dalla Corte di Assise di Reggio Calabria in data 16.3.2006, anziché nella antecedente pronuncia resa dalla stessa Corte in data 13.3.2001, seppure di detta decisione si faccia menzione nella esposizione in fatto. È pacifico, infatti, che, in tema di delitti associativi - come nel caso di concorso esterno negli stessi - la permanenza del reato, allorquando la contestazione sia aperta come è stato ritenuto nella specie, cessi con la pronuncia di primo grado, in quanto, a seguito dell'istruttoria dibattimentale espletata in tale fase, si accerta compiutamente il fatto da giudicare e si cristallizza l'imputazione, non più modificabile nei giudizi successivi v., fra molte, Sez. II, sent. n. 23695 del 22.3.2012, P.M. in proc. Foti, Rv. 253187 Sez. V, sent. n. 36928 del 18.4.2008, Pandolfino, Rv. 241579 Sez. I, sent. n. 17265 dell'8.4.2008, Zavettieri, Rv. 239628 . Né è dato rilevare nella sentenza oggi ricorsa alcun tipo di valutazione, esplicita o implicita, che dall'enunciato principio si discosti. 4.1. Va, subito, osservato che tale errore percettivo in cui è incorsa la sentenza impugnata non incide affatto sulla maturazione, nel caso in esame, del termine prescrizionale. Dovendosi applicare in relazione alla data di consumazione del reato coincidente con il 13.3.2001 la disciplina previgente la legge n. 251/2005, che fissava, per i reati puniti con pena della reclusione non inferiore a cinque anni si ricorda che, per effetto del giudizio di bilanciamento delle circostanze, l'ipotesi-base del reato di cui all'art. 416 bis cod. pen., era, all'epoca, punita con la reclusione da tre a sei anni , in dieci anni il tempo necessario a prescrivere, tenuto conto del prolungamento fino alla metà per i fatti interruttivi dieci più cinque , il reato per cui il M. è stato condannato sarebbe, infatti, prescritto non prima del 16.3.2016 16.3.2001 + quindici anni . 4.2. L'errore percettivo riscontrato rileva, viceversa, sull'entità della pena principale da irrogarsi nei confronti dell'imputato. Ed invero, alla data del 13.3.2001, la pena inflitta per il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen. ed in concreto applicabile al M. previo giudizio di bilanciamento delle circostanze ex art. 69 cod. pen. era quella della reclusione da tre a sei anni, sanzione all'evidenza più favorevole di quella successivamente introdotta dalla L. n. 251/2005, applicata, nella specie, dai Giudici di merito da cinque a dieci anni . Trattasi di errore in qualche modo alimentato da eccessiva stringatezza motivazionale, rinvenibile nella sopra menzionata espressione Con le argomentazioni sopra esposte, si è data risposta alle censure sub c , d ed e . , che, lambendo i confini dell'argomentare apparente, non chiarisce le ragioni per le quali, pur essendosi poco prima individuata la cessazione della permanenza della condotta delittuosa dell'imputato quanto meno in coincidenza con i lavori effettuati in omissis anni 1999/2000 e, comunque, con la data della decisione di primo grado in relazione a contestazione che la Corte ha ritenuto aperta , il trattamento sanzionatorio andava, comunque, stabilito ai sensi della L. n. 251/2005. Sotto questo profilo, deve, quindi, rilevarsi un ulteriore errore di fatto in cui è incorsa la sentenza in esame, per omessa considerazione delle conclusioni difensive decisive ai fini del giudizio di legittimità Sez. 1, Sentenza n. 26697 del 23/05/2013 Grande Rv. 255970 . 5. Ciò detto, atteso che, a mente dell'art. 625 bis, quarto comma, ultima parte, cod. proc. pen., in caso di accoglimento della richiesta di correzione dell'errore, la Corte adotta i provvedimenti necessari , e che il Giudice di merito ha inteso esercitare la sua discrezionalità ancorando il trattamento sanzionatorio al minimo edittale, deve determinarsi nei confronti del ricorrente per il delitto oggetto di condanna l'entità della pena secondo il limite edittale minimo di tre anni di reclusione vigente alla data del 13.3.2001 data della sentenza di primo grado della Corte di Assise di Reggio Calabria . In conseguenza della determinazione della pena principale in tre anni di reclusione, va limitata a cinque anni la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici art. 29, primo comma, ultima parte, cod. pen. , mentre la pena accessoria della interdizione legale va eliminata del tutto art. 32, terzo comma, cod. pen. . La sentenza impugnata va, nel resto, confermata. P.Q.M. Annulla la sentenza emessa in data 5.6.2013 da questa Corte di Cassazione Sezione V, limitatamente alla entità della pena che determina in anni tre di reclusione, alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, che limita ad anni cinque, ed alla pena accessoria della interdizione legale, che elimina. Conferma, nel resto, la sentenza impugnata.