L’erroneo convincimento sulla colpevolezza dell’accusato configura il delitto di calunnia se manca la verifica dei fatti storici

La consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza della persona accusata può escludersi solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento che si trovi nella stessa situazione di conoscenza.

Esistenza di dubbi. Con la sentenza n. 31695 depositata il 17 luglio 2014 la sez. VI Penale della Corte di Cassazione si pronuncia in tema di elemento psicologico del reato di calunnia, delimitandone con nettezza i confini. In particolare, gli Ermellini si uniformano all’insegnamento giurisprudenziale dettato in tema di accertamento della sussistenza dell’elemento psicologico del reato di calunnia quando affermano che la consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza della persona accusata può escludersi solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento che si trovi nella stessa situazione di conoscenza. Attribuzione del fatto illecito. In buona sostanza, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, se l’erroneo convincimento sulla colpevolezza dell’accusato riguarda fatti storici concreti suscettibili di verifica o, comunque, di una corretta rappresentazione nella denuncia, l’omissione di questa verifica o rappresentazione viene a connotare effettivamente in senso doloso la formulazione di un’accusa in termini perentori. Al contrario – come si legge nella sentenza in commento – soltanto quando l’erroneo convincimento riguardi i profili valutativi della condotta oggetto di accusa, in sé non descritta in termini difformi dalla realtà, l’attribuzione della illiceità potrebbe apparire dominata da una preminente inferenza soggettiva, come tale non idonea, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, ad integrare il dolo tipico del delitto di calunnia. Per questo motivo l’ingiustificata attribuzione come vero di un fatto di cui non si sia accertata la realtà presuppone la certezza della sua non attribuibilità all’incolpato. Natura circostanziata delle accuse rivolte al medico. Nel caso di specie la Corte di appello territoriale, riformando la sentenza assolutoria del giudice di primo grado, aveva condannato il ricorrente al risarcimento dei danni in favore della parte civile, ritenendo sussistente a tali effetti il reato di calunnia per avere, nel corso di spontanee dichiarazioni rese al pm e in una memoria allegata al verbale, incolpato la parte civile, nella qualità personale di direttore dell’unità operativa di chirurgia del locale ospedale, del decesso di una donna sottoposta ad intervento chirurgico e morta il giorno successivo. Come osservato dai giudici di Piazza Cavour, la sentenza di appello, seguendo un iter motivazionale congruo e privo di vizi logico-giuridici – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente - , pone in evidenza la natura circostanziata e precisa delle accuse formulate nei confronti del medico, sottolineando la connotazione di volontarietà dell’attribuzione di una condotta penalmente illecita, imperiosamente rappresentata sulla base di circostanze di fatto non solo non verificate e smentite dal successivo intervento autoptico, ma provenienti da una persona che era direttamente a conoscenza del caso clinico oggetto delle sue valutazioni. In definitiva, secondo i giudici della Suprema Corte, il ricorrente, proprio in ragione della sua posizione e capacità professionale , doveva sapere che, nella particolare evenienza legata alle gravi condizioni patologiche in cui si trovava la paziente, le cause dell’emorragia potevano essere molteplici a prescindere dall’incisione effettuata durante l’intervento dall’equipe medica della parte civile. Correttezza dell’operato del giudice di appello. Il giudice di appello, secondo la Cassazione, ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione del delitto di calunnia, evidenziandone gli aspetti maggiormente significativi. Da qui la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 aprile – 17 luglio 2014, n. 31695 Presidente Garribba – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23 maggio 2013 la Corte d'appello di Venezia, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Vicenza in data 30 novembre 2011, impugnata dalla parte civile F.F. , ha condannato A.G. al risarcimento del danno in favore della parte civile, ritenendo sussistente agli effetti della responsabilità civile il reato di calunnia per avere, nel corso di spontanee dichiarazioni rese al P.M. di Vicenza in data 14 giugno 2007 e in una memoria allegata al relativo verbale, incolpato il predetto F. , nella sua qualità di direttore dell'unità operativa di chirurgia dell'ospedale di , per il decesso di R.C. , ricoverata dal omissis , sottoposta ad intervento chirurgico il omissis e deceduta il giorno successivo, affermando, tra l'altro a che la stessa era stata incisa ed aggredita chirurgicamente per ottenere altri scopi quali il drenaggio o la biopsia b che la donna era deceduta per emorragia, indipendentemente dal fatto che fosse piena di tumore c che se non avessero bucato il tumore non sarebbe morta di emorragia d che la vicenda aveva le sue radici nella connivenza, negli affari sporchi e nella insensibilità della direzione, del primario anestesista e del chirurgo, F. , incolpato di avere ucciso una povera donna solo per dimostrare che era in grado di operare i pazienti . 1.1. All'esito del giudizio di primo grado il Giudice riteneva che quella proposta dall'A. era un'opinione, ossia un'ipotesi ricostruttiva di un fatto che egli aveva inopportunamente presentato, riferendosi ad una circostanza per lui assodata, ma che era stata formulata sulla base di una conoscenza imparziale ed errata dei fatti, per essere stato egli allontanato dal reparto nei giorni precedenti l'intervento. La condotta dell'imputato, dunque, veniva ritenuta di natura colposa, essendo mancata la consapevolezza certa dell'innocenza del F. ed essendo rimasto indimostrato il fatto che l'imputato avesse formulato giudizi dei quali non era convinto. 2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato, deducendo vizi di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla configurabilità del dolo tipico del delitto di calunnia. Il Giudice di secondo grado, infatti, da un lato ha riconosciuto che l'imputato ha attribuito ingiustificatamente come vero un fatto di cui non aveva accertato la realtà, dall'altro lato, in maniera illogica e contraddittoria rispetto alla giurisprudenza citata in motivazione, ha ritenuto configurato il reato di calunnia, facendo propria la tesi della parte civile nella parte in cui giustifica le dichiarazioni rese al P.M. dall'imputato come frutto di vendetta e rivalsa personale per quanto accadutogli nella struttura ospedaliera vicentina. Proprio l'estromissione dell'A. dalla carica di primario del reparto di chirurgia dell'ospedale ha fatto sì che quest'ultimo non fosse a conoscenza degli ultimi sviluppi sulle condizioni della paziente, per cui quando egli si recò dal P.M. per rendere le dichiarazioni poi ritenute calunniose, commise degli errori dovuti ad una conoscenza incompleta ed inesatta dei fatti, che escludono in capo al dichiarante l'infondatezza delle accuse formulate. 3. Con memoria depositata in Cancelleria il 28 marzo 2014 il difensore della parte civile ha svolto ampie argomentazioni a sostegno della sentenza pronunciata dalla Corte d'appello, chiedendo il rigetto del ricorso proposto dall'imputato. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte nel giudizio d'appello, ed ivi ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, poiché imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione. Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato sulla congruità di scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice d'appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d'accusa. In tal senso deve rilevarsi come la Corte territoriale, sulla base di quanto sopra esposto in narrativa, abbia proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse dalla difesa, pervenendo alla decisione qui impugnata attraverso una disamina completa ed approfondita dell'insieme delle risultanze processuali. Nel riformare la decisione assolutoria di primo grado, infatti, la Corte non si è limitata ad opporre alla sua struttura argomentativa generiche notazioni critiche di dissenso, ma ha provveduto a riesaminare l'intero materiale probatorio vagliato dal primo giudice, articolando, rispetto alle parti non condivise della prima sentenza, una nuova e compiuta struttura motivazionale che ha offerto congrua giustificazione delle difformi conclusioni cui essa è pervenuta. Al riguardo, in particolare, la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata nelle deduzioni e nei rilievi difensivi, ponendo in evidenza a che il medico legale autore dell'autopsia e gli approfondimenti istruttori disposti a seguito della denuncia dell'imputato hanno concordemente escluso che la causa del decesso possa essere stata la biopsia eseguita dall'equipe del F. b che la causa della morte era da ricondurre alla presenza di una enorme massa neoplastica che ha distrutto parte dello stomaco e ne ha determinato il sanguinamento finale c che lo stomaco della paziente, infatti, presentava una breccia, ovvero una soluzione di continuo di circa dieci cm., derivante da un precedente intervento, con la conseguenza che lo stomaco continuava a produrre succhi gastrici deputati alla digestione, i quali, attraverso quella breccia, fuoriuscivano dallo stomaco e andavano ad erodere i tessuti circostanti d che tali liquidi hanno eroso l'importante messa neoplastica che si era venuta formando, ed hanno pertanto provocato l'ultima fatale emorragia e che era dunque da escludere che un piccolo taglio operato sulla parete addominale posteriore potesse cagionare un'emorragia massiva quale quella, fatale, poi verificatasi f che l'A. era a conoscenza di tali circostanze, per avere egli stesso operato la sig.ra R. il OMISSIS per un carcinoma corticale surrenale, mantenendo successivamente i contatti con la paziente e visitandola, da ultimo, nel OMISSIS g che con le sue dichiarazioni l'imputato ha affermato che la R. era deceduta per emorragia e che tale emorragia era stata provocata proprio da un intervento improvvidamente deciso dal F. ed eseguito dalla sua equipe h che l'affermazione di tale circostanza di fatto, tuttavia, è stata smentita dal medico legale che ha effettuato l'autopsia, oltre che dai medici che hanno valutato professionalmente il caso nel corso dell'istruttoria. La Corte d'appello, pertanto, ha coerentemente concluso il suo percorso motivazionale, traendo dalle implicazioni legate alla ricostruita sequenza storico-fattuale il fondato convincimento che il giudizio di colpa era stato espresso da un medico di elevata competenza professionale, portatore, peraltro, di una specifica conoscenza del caso clinico oggetto delle sue critiche, avendo avuto in cura sino a qualche settimana prima la paziente, le cui condizioni fisiche dovevano essergli ben note, tanto da programmare un alternativo intervento riparatorio. Entro tale prospettiva, inoltre, la Corte di merito ha valorizzato il rilievo secondo cui il tenore letterale e le modalità di quelle accuse, espresse con una formulazione categorica, non apparivano certo il frutto di una valutazione estemporanea, ma provenivano da persona professionalmente qualificata, che si presentava ed appariva pienamente a conoscenza del caso, e che, ciò nonostante, ha ritenuto di esprimere un giudizio di colpa sulla base di una valutazione tecnica di circostanze di fatto non verificate, inserendolo in un contesto fortemente polemico, ove erano poste in dubbio la correttezza e la competenza professionale della persona accusata di aver ucciso la R. , tanto da comportare l'apertura di un procedimento penale a carico del F. , in seguito conclusosi con un provvedimento di archiviazione. Deve rilevarsi, a tale riguardo, come l'impugnata sentenza abbia fatto buon governo del quadro di principii più volte stabiliti da questa Suprema Corte da ultimo, v. Sez. 6, n. 29117 del 15/06/2012, dep. 18/07/2012, Rv. 253254 , uniformandosi all'insegnamento dettato in tema di accertamento della sussistenza dell'elemento psicologico del reato di calunnia, ove si consideri che la consapevolezza del denunciante in merito all'innocenza della persona accusata può escludersi solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà, e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza Sez. 6, n. 46205, del 06/11/2009, Rv. 245541 Sez. 6, n. 27846, del 10/06/2009, Rv. 244421 Sez. 6, n. 3964 del 06/11/2009, dep. 29/01/2010, Rv. 245849 . Sul punto, invero, la giurisprudenza di legittimità ha chiaramente tracciato una linea di discrimine, stabilendo che se l'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o, comunque, di una corretta rappresentazione nella denuncia, l'omissione di tale verifica o rappresentazione viene a connotare effettivamente in senso doloso la formulazione di un'accusa espressa in termini perentori. Di contro, solo quando l'erroneo convincimento riguardi i profili valutativi della condotta oggetto di accusa, in sé non descritta in termini difformi dalla realtà, l'attribuzione dell'illiceità potrebbe apparire dominata da una pregnante inferenza soggettiva, come tale inidonea, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, ad integrare il dolo tipico del delitto di calunnia. Ne discende che l'ingiustificata attribuzione come vero di un fatto del quale non si è accertata la realtà presuppone la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all'incolpato. Nel caso di specie, è agevole rilevare come le argomentazioni sviluppate nell'impugnata pronunzia abbiano posto in evidenza, seguendo un iter motivazionale congruo e privo di vizi logico-giuridici, la natura circostanziata e precisa delle accuse formulate nei confronti del F. , sottolineando la connotazione di volontarietà dell'attribuzione di una condotta penalmente illecita, assertivamente rappresentata sulla base di circostanze di fatto non solo non verificate e smentite dal successivo esito autoptico, ma provenienti da persona che era direttamente a conoscenza del caso clinico oggetto delle sue valutazioni, e che, proprio in ragione della sua posizione e capacità professionale, doveva sapere che, in quella particolare evenienza legata alle gravi condizioni patologiche in cui versava la paziente, le cause dell'emorragia potevano essere molteplici e prescindere, dunque, dall'incisione effettuata durante l'intervento eseguito dall'equipe medica del F. . Le censure al riguardo prospettate, in definitiva, mirano sostanzialmente a sollecitare una non consentita rilettura delle emergenze probatorie, come tale improponibile nel giudizio di legittimità. 5. La Corte d'appello, pertanto, ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione del delitto oggetto del tema d'accusa, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale mera ipotesi alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti. La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logico - argomentativa. In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nella decisione di merito, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’ iter argomentativo ivi tracciato, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali. 6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro mille. Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile, la cui liquidazione viene operata sulla base dell'importo in dispositivo meglio indicato. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Lo condanna altresì alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida nella somma di Euro 4.000,00 quattromila , aumentata del 15% per spese generali, oltre IVA e CPA.