La sorveglianza del datore di lavoro continua fino alla fine dei lavori

In materia di sicurezza sul lavoro, il reato di contravvenzione commesso dai datori di lavoro e dai dirigenti, per quanto riguarda l’omessa sorveglianza della lavorazioni su manufatti contenenti amianto, deve stimarsi permanente sino a quando persiste la lavorazione.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sez. III Penale con la sentenza n. 31458, depositata il 17 luglio 2014. Il caso. L’imputato veniva condannato dal Tribunale di Torino per il reato di cui al combinato disposto ex artt. 50, comma 1, e 27, comma 1, lett. d , d.lgs n. 277/91 per non avere nella qualità di titolare della ditta progettato, programmato e sorvegliato le lavorazioni su manufatti contenenti amianto in modo che non vi fossero emissioni d’amianto nell’aria . Avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso il difensore sulla scorta dei seguenti motivi 1 mancata ammissione della prova decisiva rappresentata nel caso di specie dal mancato esame di un teste 2 erronea applicazione della norma incriminatrice contestata perché ritenuta dal giudice di merito applicabile anche nel caso in cui non sia in corso un’attività lavorativa 3 erronea qualificazione del reato in epigrafe come permanente anzichè istantaneo. La prova è decisiva solo se specifica e atta ad apportare un contributo probatorio inoppugnabile. La Corte di Cassazione, nell’esaminare i motivi di ricorso proposti, dichiara il primo summenzionato inammissibile perché nettamente generico e, di conseguenza, ha ritenuto la prova richiesta non decisiva perché sommaria nel suo contenuto e quindi inidonea ad apportare un risultato probatorio che non lasciasse margini di soluzione contraria. La dicitura contenuta in sentenza che i lavori fossero in corso o no non prova che nel periodo contestato l’attività lavorativa non fosse in corso. Per quanto attiene il secondo motivo di ricorso, i giudici di legittimità l’hanno stimato manifestatamente infondato stante il fatto che l’affermazione decisoria, contenuta nella sentenza impugnata, che i lavori fossero in corso o no era una mera argomentazione ad abundantiam che, in quanto tale, si palesava del tutto neutra rispetto al percorso argomentativo tracciato nella decisione adottata dal Tribunale di Torino in cui veniva invece accertato che i lavori erano effettivamente in corso, sia per l’esposto dei condomini sia per la presenza di materiali e postazioni fisse al momento della verifica ASL in un cortile abitato . Reato permanente o reato istantaneo? Venendo a trattare il terzo motivo, i giudici di Piazza Cavour hanno affermato come la fattispecie contestata ossia quella di non aver progettato, programmato e sorvegliato le lavorazioni su manufatti contenenti amianto, in modo che non vi siano emissioni d’amianto nell’aria , per quanto concerne l’omessa sorveglianza delle lavorazioni, sia da qualificarsi come permanente fino a che la lavorazione continua . Nel dettaglio, la Corte di legittimità è addivenuta a siffatta conclusione giuridica prendendo atto che tale approdo argomentativo è perfettamente speculare a quello citato nella decisione emessa dalla sez. III n. 26539/2008 in cui è stato similmente postulato che, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, l'omessa sottoposizione del lavoratore ad accertamenti sanitari configura un'ipotesi di reato permanente e non istantaneo, in quanto l'obbligo della sorveglianza sanitaria non è circoscritto alla fase preventiva all'assunzione, ma perdura nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, protraendosi la condotta lesiva dell'interesse protetto sino a quando il datore di lavoro non ottemperi a tale obbligo . Ebbene, tale principio di diritto è perfettamente consono anche per questo caso posto che allora, come ora, la scelta di elaborare un criterio ermeneutico di questo tenore fu fatta proprio perché l’ interesse dello Stato alla effettiva assunzione delle misure di salvaguardia della salute del lavoratore non è limitato alla fase che precede l'assegnazione dei compiti ma perdura per l'intero rapporto . Infatti, non vi sono ragioni logiche, ancor prima che giuridiche, per dubitare che tale situazione ricorre anche quando la salute del lavoratore possa essere messa a repentaglio a causa della sua esposizione alle polveri di amianto. Il reato può essere dichiarato estinto per prescrizione qualora il ricorso sia dichiarato inammissibile? La Cassazione, nel respingere le doglianze difensive, ha ritenuto infine di non poter dichiarare estinto il reato estinto per prescrizione e ciò in ragione di un consolidato orientamento nomofilattico alla stregua del quale l’estinzione del reato per prescrizione è rilevabile anche d’ufficio a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 giugno – 17 luglio 2014, numero 31458 Presidente Squassoni – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 maggio 2008 il Tribunale di Torino ha condannato F.A. alla pena di € 4.000 di ammenda per il reato di cui all'articolo 27, comma 1, lettera d , d.lgs. 277/1991 per non avere nella qualità di titolare della ditta Tecnorestauri progettato, programmato e sorvegliato le lavorazioni su manufatti contenenti amianto in modo che non vi fossero emissioni d'amianto nell'aria, fatto contestato in Torino il 26 luglio 2005 con permanenza fino al 22 maggio 2006. 2. Ha presentato appello, convertito in ricorso, il difensore, sulla base di tre motivi. Il primo denuncia la mancata ammissione della prova decisiva rappresentata dalla testimonianza della teste L. Il secondo denuncia erronea applicazione dell' articolo 27, comma 1, lettera d , d.lgs. 277/1991 perché ritenuto dal Tribunale applicabile anche laddove non è in corso alcuna attività lavorativa. Il terzo motivo denuncia erronea qualificazione del reato come permanente, essendo invece istantaneo. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. 3.1 Il primo motivo lamenta la mancata ammissione di una prova decisiva, rappresentata dalla testimonianza della dottoressa L. Il Tribunale aveva rigettato la richiesta della difesa di audizione della suddetta quale teste a prova contraria motivando che ella avrebbe deposto su una circostanza non connessa ai fatti di causa che pertanto non poteva essere ritenuta prova contraria ex articolo 495, comma 2, c.p.p. Sostiene il ricorrente che invece la teste avrebbe potuto fondatamente riferire in merito alle circostanze che in concreto hanno originato il presente processo . L'imputato infatti sembrerebbe aver omesso di versare la somma comminata a titolo di ammenda, il cui pagamento avrebbe comportato l'estinzione del reato ma in realtà non ha colpevolmente omesso di versarla, non avendo mai ricevuto la comunicazione dell'importo da pagare né l'informazione che con tale pagamento avrebbe evitato il procedimento penale . Il giudice avrebbe dovuto pertanto rimetterlo in termini per consentirgli di pagare l'ammenda di cui non conosceva l'esistenza e di estinguere la contravvenzione. Ma solo la teste L. poteva confermare la circostanza dell' ignoranza incolpevole perché la sua deposizione avrebbe certamente chiarito le modalità relative alla notificazione dell'atto con cui il F. era stato ammesso al pagamento della sanzione amministrativa e, soprattutto, come quest'ultimo non fosse mai venuto effettivamente a conoscenza di tale beneficio . La formulazione dei motivo è stata riportata in modo ampio perché la sua lettura evidenzia una netta genericità, a tacer d'altro, sulle circostanze in ordine alle quali avrebbe dovuto deporre la teste L., che non sono state determinate se non nella loro pretesa conseguenza di ignoranza incolpevole di una notificazione da parte dell'imputato. Una prova generica nel suo contenuto non può assurgere al ruolo di prova decisiva ex articolo 495 c.p.p., considerato anche che, per essere tale, occorre che apporti un risultato probatorio che non lasci alcun margine di soluzione contraria cfr. da ultimo Cass. sez. II, 20 marzo 2013 numero 21884 e Cass. sez. III, 15 giugno 2010 numero 27581 . Il motivo risulta dunque inammissibile per genericità. 3.2 Il secondo motivo denuncia erronea applicazione dell'articolo 27, comma 1, lettera d , d.lgs. 277/1991 per avere il Tribunale ritenuto di scarso rilievo il fatto che non sia stato accertato con sicurezza che nel sito di proprietà della ditta dell'imputato fossero in corso attività lavorative perché l'articolo 24, comma 2, dello stesso decreto si riferirebbe all'inquinamento ambientale e non solo al rischio dei lavoratori. Il ricorrente, pur riconoscendo che tale articolo fa riferimento effettivo all'inquinamento ambientale, afferma che l'ambiente in esso non è considerabile lato sensu come ecosistema, poiché la normativa in argomento. è espressamente volta alla tutela dei lavoratori e le norme asseritamente violate, come dimostra anche l'intitolazione dei capo cui appartengono, sono deputate alla protezione di questi contro i rischi da esposizione all'amianto durante il lavoro. Non è discutibile che il d.lgs. 15 agosto 1991 numero 277 - che, a norma della legge delega 30 luglio 1990 numero 212, ha effettuato l'attuazione di varie direttive CEE 80/1107, 82/605, 86/188 e 88/642 in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro - , al suo capo III, contemplasse la protezione dei lavoratori contro i rischi connessi ad ogni esposizione cfr. Cass. sez. III, 3 febbraio 2009 numero 10527 all'amianto durante il lavoro la normativa è stata, seppure con continuità, successivamente sostituita prima dal titolo VI bis del d.lgs. 19 settembre 1994 numero 626 e poi dal titolo IX dei d.lgs. 9 aprile 2008 numero 81 . Peraltro, non ne ha la sentenza impugnata operato una erronea applicazione, perché il passo indicato dal ricorrente è stato illogicamente decontestualizzato dal complessivo tessuto del ragionamento del giudice. È vero che quest'ultimo ha affermato che poco rileverebbe che lavori fossero in corso o no , ma ciò funge come argomento ad abundantiam - ovvero inutile, e quindi non incidente - alla fine di un percorso, attraverso il quale ha accertato che i lavori erano effettivamente in corso, sia per l'esposto dei condomini sia per la presenza di materiali e postazioni fisse al momento della verifica ASL in un cortile abitato. Il secondo motivo è pertanto manifestamente infondato. 3.3 Il terzo motivo sostiene che il reato contestato deve qualificarsi istantaneo, laddove, nel caso di specie, è stato invece inteso come permanente. Adduce il ricorrente che, qualora il reato consista nella inottemperanza di un ordine legittimamente impartito dall'autorità, come sarebbe quello in esame, il reato dovrebbe considerarsi istantaneo qualora il termine contenuto nell'ordine abbia carattere perentorio, poiché la sua consumazione coincide con lo scadere del termine indicato. Nel caso di specie, dalla deposizione dei teste A. risulterebbe che il 26 luglio 2005 fu ordinato all'imputato di mettere in sicurezza la tettoia entro i 90 giorni successivi sarebbe certo che l'imputato ottemperò all'ordine, ma solo successivamente allo spirare del termine la ASL verificò se la prescrizione era stata adempiuta. Pertanto le conseguenze del ritardo non dovrebbero essere a carico dell'imputato ed erroneo è l'accertamento del Tribunale che, ritenendo la natura permanente dell'illecito, considera lo stesso consumato in data 22/5/2006, anziché il 24/10/2005 . È infatti ad avviso del ricorrente d'obbligo ritenere che, in assenza di prova contraria, il Foresta abbia adempiuto prima dello spirar dei termini imposti dall'ASL . A tutto voler concedere, la consumazione sarebbe cessata al più tardi il 24 ottobre 2005, per cui dovrebbe essere annullata la sentenza per effettuare la rideterminazione della consumazione dei reato ad ogni effetto di legge. Le argomentazioni del ricorrente da un lato non tengono conto dell'effettivo contenuto del capo di imputazione che non fa riferimento all'inadempimento di un ordine della ASL in un determinato termine, bensì descrive una condotta omissiva in esatta corrispondenza con la norma contestata non aver progettato, programmato e sorvegliato le lavorazioni su manufatti contenenti amianto, in modo che non vi siano emissioni d'amianto nell'aria che, per quanto riguarda l'omessa sorveglianza delle lavorazioni, non può non qualificarsi permanente fino a che la lavorazione continua sull'obbligo di adempimento dei suoi obblighi da parte dei datore di lavoro come perdurante finché si svolge il lavoro v., a proposito della affine ipotesi della tutela dagli infortuni sul lavoro, Cass. sez. III, 21 maggio 2008 numero 26539 . Da un altro lato, il motivo scende sul piano fattuale, sostenendo che non vi sarebbe prova della permanenza del reato per il periodo contestato 26 luglio 2005-22 maggio 2006 , poiché tutt'al più questo sarebbe perdurato fino al 24 ottobre 2005. Richiede pertanto al giudice di legittimità una inammissibile verifica sulle risultanze dei compendio probatorio, non potendosi d'altronde condividere l'asserto che si dovrebbe desumere, in difetto di prova contraria, l'adempimento degli ordini della ASL prima della scadenza del relativo termine conseguentemente alla conformazione del capo d'imputazione, nella sentenza impugnata si fa sì riferimento nella esposizione dei fatti all'imposizione di prescrizioni all'imputato dopo il sopralluogo della ASL, ma non ad una specifica scadenza di termine, e comunque si espleta una tutt'altro che illogica valutazione di fatto sulla cessazione della permanenza osservando motivazione, pagina 5 che la rimozione dell'amianto deve ritenersi avvenuta il 22 maggio 2006 non avendo mai l'imputato chiesto un accertamento anteriore a tale data né avendo mai segnalato alcunché per far ritenere anteriore la cessazione della consumazione. Il motivo risulta pertanto privo di consistenza. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, il che impedisce la formazione di un valido rapporto processuale di impugnazione che consentirebbe di valutare la presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p. S.U. 22 novembre 2000 numero 32, De Luca in particolare, l'estinzione dei reato per prescrizione è rilevabile anche d'ufficio a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 numero 21, Cresci S.U. 3 novembre 1998 numero 11493, Verga S.U. 22 giugno 2005 numero 23428, Bracale Cass. sez. III, 10 novembre 2009 numero 42839, Imperato Franca , con conseguente condanna dei ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.