Il rifiuto della vittima scatena la furia omicida: è predeterminazione “condizionata”

Non è esclusa la predeterminazione se la causa scatenante dell’omicidio sia il mancato assecondamento da parte della vittima alle volontà dell’autore del delitto.

Così ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 31251, depositata il 16 luglio 2014. Il caso. La Corte d’appello confermava la responsabilità dell’imputato quale autore dell’omicidio, ma riformava il trattamento sanzionatorio. Ricorreva, allora, per cassazione il soccombente,denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, non avendo la sentenza impugnata escluso l’aggravante della predeterminazione. Secondo la difesa mancavano gli elementi costitutivi della contestata aggravante quello cronologico e quello psicologico , essendo trascorso un ampio lasso temporale tra le provocazioni verbali della ex fidanzata e la reazione dell’uomo. La difesa, inoltre, evidenziava come la condotta dell’imputato nelle ore precedenti il delitto fosse pacifica e perciò incompatibile con una radicata volontà omicida. La predeterminazione può essere accertata tramite fatti esterni. La predeterminazione consiste in un fatto interiore difficilmente accertabile, tuttavia può essere desunta da fatti estrinseci come l’anticipata manifestazione del proposito criminoso, la causale, la predisposizione dei mezzi in previsione dell’occasione più propizia e le modalità d’esecuzione. Nel caso di specie, tutti questi elementi erano stati presi in esame e adeguatamente valutati dalla Corte d’appello l’imputato si era recato armato di pistola all’ultimo appuntamento con la donna, che da tempo continuava ad assillare elemento cronologico e non era mai venuto meno il proposito di uccidere, considerato che il ricorrente aveva sollecitato la vittima con un messaggio telefonico a presentarsi senza indugio all’appuntamento elemento psicologico . Il rifiuto della vittima quale causa scatenante l’omicidio non esclude la predeterminazione. Precisa poi la Cassazione, che non osta alla configurabilità della aggravante della predeterminazione il fatto di avere il soggetto agente condizionato l’attuazione del proposito criminoso al mancato verificarsi di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si ponga come un avvenimento previsto atto a porre in crisi la più precisa e ferma risoluzione del reo Cass., n. 1910/1996 . Perciò, il rifiuto della donna di riallacciare i rapporti con l’imputato, che ha condizionato il proposito criminoso, non vale ad escludere la predeterminazione. La Cassazione rigetta, quindi, il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale , sentenza 14 febbraio – 16 luglio 2014, n. 31251 Presidente Giordano – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza di condanna emessa il 24 ottobre 2011 dal GUP del Tribunale di Latina nei confronti di C.C.E. , limitatamente al trattamento sanzionatorio, riducendo ad anni 14 di reclusione la pena inflitta all'imputato, previa applicazione della diminuente ex art. 442 cod. proc. pen., siccome colpevole dell'omicidio premeditato commesso in omissis nella serata del omissis in danno di Co.Va. . 1.1. I giudici di appello, infatti - incontestata la individuazione del C. come l'autore dell'omicidio, posto che la sera stessa del delitto l'imputato, agente della Polizia Provinciale, si era presentato al Commissariato di Polizia di rivelando agli agenti l'uccisione della ex fidanzata e conducendo gli agenti sul luogo del delitto - hanno ritenuto fondate solo le censure mosse dalla difesa alla sentenza di primo grado relativamente alla mancata acquisizione agli atti di alcune deposizioni raccolte dai difensori ex art. 391 bis cod. proc. pen. ed alla mancata applicazione della diminuente del rito, rigettando, di contro, quella relativa alla mancata esclusione dell'aggravante della premeditazione, potendosi ipotizzare, a tutto concedere, una forma di premeditazione condizionata al ripristino della relazione , eventualità questa, che non escluderebbe, in ogni caso, l'applicabilità dell'aggravante contestata. La mancata esclusione dell'aggravante della premeditazione è stata motivata dai giudici di appello in considerazione, essenzialmente, del contenuto della prima dichiarazione resa dall'imputato al Pubblico Ministero, ritenuta la più lucida e coerente descrizione dei fatti, valorizzando, al riguardo, il dato che l'imputato, che nei giorni precedenti l'omicidio era apparso ad amici e conoscenti particolarmente teso e non rassegnato all'abbandono della ex fidanzata, o per meglio dire, alla condotta ondivaga della ragazza, si era recato al convegno con V. con una pistola micidiale, col caricatore inserito, e che lo stesso scarrellò più volte per esplodere i colpi, quando l'arma si inceppò circostanza, questa, ritenuta dimostrativa di una tenace e convinta deliberazione omicida, tale da resistere anche agli incontri successivi, e da non essere intaccata, ma anzi rafforzata dall'incontro [ultimo] con la vittima designata”. In particolare l'intervallo di tempo intercorso fra l'apprensione dell'arma e l'esplosione dei colpi almeno due ore , era ritenuto apprezzabile dai giudici di appello, quanto al radicarsi del proposito omicida, anche in considerazione che, durante il periodo in questione, il C. aveva girato armato e, particolare non trascurabile, aveva chiesto informazioni ad un suo amico il M. sulla possibilità di incontrare il nuovo amico di V. . Nessuna decisiva rilevanza, di contro, poteva riconoscersi, secondo i giudici di appello, agli argomenti prospettati dalla difesa per escludere l'aggravante, e che afferivano essenzialmente allo stato di apparente tranquillità ostentato nel pomeriggio del delitto dal C. alla circostanza che l'imputato era solito circolare armato al dato che l'imputato, in attesa dell'arrivo della ex fidanzata, aveva inviato alla stessa, pochi minuti prima di commettere l'omicidio, un SMS, con il quale le comunicava di sentire freddo e che se lei non si presenterà presto, lui se ne andrà via. Tali dati, infatti, secondo i giudici di appello, non erano idonei ad escludere la configurabilità della premeditazione a ragione della loro obiettiva equivocità, tenuto conto che l'apparente tranquillità poteva essere anche conseguenza di una ormai raggiunta e ferma deliberazione omicidiaria che dagli atti emergeva come l'imputato, in realtà, non circolasse sempre armato, tant'è che proprio la mattina del egli si era recato al lavoro senza avere con sé la pistola che l'invio dello SMS ben poteva interpretarsi come una estrema sollecitazione alla Co. ad affrettare i tempi, intendendo l'imputato realizzare al più presto il proprio programma delittuoso. 2. Avverso l'indicata sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, avvocato Dario Romano De Santis, sviluppando due motivi d'impugnazione, con i quali si denunzia, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la illegittimità della decisione di non escludere l'aggravante della premeditazione. Nel ricorso, anche attraverso la trascrizione di ampli stralci dell'atto di appello, si sostiene, che difetterebbero nel caso in esame entrambi gli elementi costitutivi della contestata aggravante quello cronologico e quello ideologico o psicologico , precisandosi al riguardo, quanto al primo, che l'esistenza di un'apprezzabile lasso temporale intercorso tra la risoluzione e l'azione, costituiva un dato smentito ove si consideri che l'imputato, il giorno dell'omicidio, si era visto più volte con la vittima, accudendo la figlia minorenne della Co. , onde consentire alla stessa di recarsi dal parrucchiere e che lo stesso non aveva avuto alcun apprezzabile margine temporale per compiere una ponderata riflessione su di un proposito omicida, in realtà mai compiutamente concepito, risultando l'omicidio, piuttosto, una reazione abnorme ma pur sempre estemporanea alle provocazioni verbali della ragazza, dirette a farlo ingelosire, che non aveva escluso di essersi recata dal parrucchiere dovendosi incontrare con un altro uomo. In particolare nel ricorso si denunciano come illogiche ed incongrue le argomentazione sviluppate dai giudici di appello per confutare gli argomenti addotti dalla difesa, che pure evidenziavano come la condotta complessiva dell'imputato nelle ore precedenti il delitto, la sua apparente tranquillità, era incompatibile con la configurabilità di una radicata volontà omicida, avendo la Corte territoriale, invero, omesso di fornire concreti elementi di prova su cui basare il proprio opposto convincimento nonché di operare un pur doveroso distinguo tra predisposizione dei mezzi e premeditazione, fors'anche nella forma condizionata. Considerato in diritto 1. Con i due motivi d'impugnazione dedotti in ricorso - tra loro strettamente connessi - la difesa denunzia l'illegittimità della sentenza impugnata per erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità , per avere i giudici di appello ritenuto la sussistenza dell'aggravante della premeditazione sulla base di elementi inconsistenti, poiché sarebbe stato solo l'ultimo incontro con la vittima, a scatenare la improvvisa furia omicida. Entrambe le censure sono prive di fondamento. 1.1 Non ricorre - alla evidenza - il vizio della violazione di legge - né sotto il profilo della inosservanza per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all'operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie - né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte territoriale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte. 1.2 Neppure ricorre vizio alcuno della motivazione. Il vizio di motivazione, infatti, può essere denunciato nel giudizio di legittimità o nel caso di inesistenza cui correttamente si equipara la mera apparenza di un apparato argomentativo a sostegno della decisione impugnata, ovvero nel caso di manifesta illogicità emergente dal testo dalla decisione stessa o da altri atti specificamente indicati. Nessuna di tale due ipotesi ricorre nel caso in esame. La Corte di merito, invero, ha già preso in esame tutti gli elementi fattuali valorizzati dal ricorrente per escludere la sussistenza dell'aggravante, il quale li aveva prospettati anche nel giudizio di appello, ma li ha ritenuti inconsistenti, poiché non solo esisteva certamente l'elemento di natura cronologica, in quanto il C. si era recato armato di pistola all'ultimo appuntamento con la Co. , che da tempo continuava ad assillare intendendo riallacciare con la stessa una stabile relazione ed essendo geloso della nuova relazione sentimentale intrattenuta dalla stessa con un altro uomo, diffusamente spiegando le ragioni per cui doveva ritenersi inverosimile l'indimostrato assunto secondo cui l'imputato stava per abbandonare il luogo dell'appuntato in caso di ulteriore ritardo della vittima all'appuntamento ma anche quello di natura ideologica poiché il proposito di uccidere, seppure condizionato, non era mai venuto meno sol che si consideri che il ricorrente, da ultimo, aveva sollecitato la vittima con un messaggio telefonico a presentarsi senza indugio all'appuntamento. 1.2.1 La premeditazione consiste in effetti in un fatto interiore di non agevole accertamento, però può e deve essere necessariamente desunta da fatti estrinseci fra cui si collocano, con carattere di preminenza, la anticipata manifestazione del proposito criminoso, la causale, la predisposizione dei mezzi in previsione della occasione più propizia e le modalità di esecuzione e cioè tutti gli elementi presi in effetti in esame dalla sentenza impugnata ed adeguatamente valutati. Occorre inoltre rilevare che non osta alla configurabilità della aggravante della premeditazione il fatto di avere il soggetto agente condizionato, in ipotesi, l'attuazione del proposito criminoso al mancato verificarsi di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si ponga come un avvenimento previsto atto a porre in crisi la più precisa e ferma risoluzione del reo v. Cass. sez. 1, n. 1910/1996 Rv. 203806 , come potrebbe essersi verificato nel caso in esame con riguardo al proposito dell'imputato di costringere la vittima a riallacciare il rapporto di convivenza, il che avrebbe potuto annullare il proposito criminoso ma poiché poi ciò non si era pacificamente verificato, non vale ad escludere la premeditazione l'eventuale ennesimo rifiuto della vittima di riallacciare la relazione, che, se pure scatenante in quel momento la furia omicida, peraltro rientrava nella anticipata programmazione dell'omicidio. 2. Il ricorso deve esser pertanto rigettato in quanto infondato sotto tutti i profili addotti. 2.1 Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all'art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili F.L. in qualità di esercente la potestà sulla figlia minore F.M. che liquida in Euro 4000,00 quattromila e Co.El. e V.M. , che liquida in complessivi Euro 4800,00 quattromilaottocento , oltre accessori come per legge.