Contatto in Rete, propone a una ragazza di prostituirsi per feste private: legittima la custodia in carcere

Spregevole condotta di un uomo, che cerca di adescare una ragazza di appena 16 anni. Le pressanti richieste si rivelano inutili, per fortuna, ma regge l’accusa, poggiata sull’ipotesi di aver proposto la strada della prostituzione alla minore. Regge anche la misura adottata in origine dal gip corretta la scelta di adottare la custodia cautelare in carcere nei confronti dell’uomo.

Proposta ‘lavorativa’ hot online destinataria una ragazza di appena 16 anni. A quest’ultima viene chiesta la disponibilità a offrire, dietro adeguato compenso, il proprio corpo per alcune feste private. ‘Datore di lavoro’ un uomo di 30 anni, che gestisce tutto da casa. Regge l’accusa di prostituzione minorile, e soprattutto regge la necessità di tenere l’uomo dietro le sbarre Cassazione, sentenza n. 31184, sez. III Penale, depositata oggi . Proposta. Strumento utilizzato, in questo caso, il web, meglio ancora Facebook è in quest’ultimo contesto virtuale, difatti, che l’uomo cerca di indurre una ragazza di appena 16 anni a prostituirsi, partecipando a feste private, in cui avrebbe dovuto esibirsi ed intrattenere i partecipanti, lasciandosi palpeggiare . Fortunatamente l’approccio – concretizzatosi anche in incontri reali, faccia a faccia, con la ragazza – si rivela infruttuoso, ma rimane intatta l’accusa, fondata sull’ipotesi di prostituzione minorile, nei confronti dell’uomo. E consequenziale è la decisione del gip di applicare, ai danni dell’adescatore web, la misura della custodia cautelare in carcere , decisione che viene confermata dal Tribunale. In carcere. E anche in ultima battuta, in Cassazione, la posizione dell’uomo non si fa meno delicata Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, la custodia cautelare in carcere è assolutamente legittima. Ciò anche alla luce della ricostruzione della triste vicenda, da cui emerge la spregevole condotta dell’uomo, consistita in un’ opera di convincimento, insistente e prolungata, tesa a superare le obiezioni e le resistenze morali della minore e manifestatasi sia tramite conversazioni sul social network, sia durante un incontro reale, sia, infine, con pressanti richieste di prendere una decisione e fornire una risposta . Evidente l’obiettivo dell’uomo di blandire, incoraggiare e condizionare il processo volitivo della vittima . Altrettanto cristallina la pericolosità sociale dell’uomo, anche valutando la natura del reato contestato, rispondente ad istinti difficilmente comprimibili e controllabili, e le modalità seriali ed insidiose con cui l’uomo agisce per adescare in rete il soggetto minorenne . Di fronte a questo quadro, spiegano i giudici, la custodia cautelare in carcere è l’unico mezzo adeguato per fronteggiare il pericolo che l’uomo provi ad adescare altre minorenni. Anche perché, viene ricordato, l’abitazione dell’uomo rappresentava il centro di riferimento dell’attività criminosa, vista, altresì, la facilità di accesso ad internet, anche mediante una semplice connessione da utenza cellulare, al di fuori di ogni possibilità di controllo .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 – 16 luglio 2014, n. 31184 Presidente Squassoni – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Gip presso il Tribunale di Roma, con ordinanza del 10/1/2014, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere a carico di A.S., indagato per il reato ex art. 56 e 600 bis co. 1 cod. pen., per avere tentato di indurre la minore M.P., di anni 16, adescata su internet, tramite un profilo Facebook altrui, fraudolentemente utilizzato, a prostituirsi, partecipando a feste private, in cui avrebbe dovuto esibirsi indossando solo un perizoma ed intrattenere i partecipanti, lasciandosi palpeggiare dagli stessi. Il Tribunale di Roma, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di riesame interposta nell'interesse dei prevenuto, con ordinanza del 30/1/2014, ha confermato il mantenimento della misura in atto. La difesa del S. ha proposto ricorso per cassazione con i seguenti motivi - vizio di motivazione in ordine alla fattispecie del reato astrattamente ipotizzata, in quanto la condotta ascritta, come emerso dal contenuto degli atti di indagine, di certo, non può farsi rientrare nella sfera dell'art. 600 bis co. 1, ma semmai nella ipotesi prevista dal co. 2 della stessa disposizione codicistica - assoluta sproporzione tra i fatti così come contestati e la custodia intramuraria applicata, apparendo illogico e contraddittorio che una misura meno afflittiva non possa garantire le esigenze cautelare ritenute sussistenti. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. In estrema sintesi con il primo il motivo di annullamento si contesta la qualificazione giuridica dei fatti, ad avviso dei ricorrente inquadrabili più propriamente nella meno grave ipotesi, residuale, di cui al co. 2 dell'art. 600 bis cod.pen., anche alla luce della recente pronuncia resa da questa Corte S.U. 14 aprile 2014, n. 16207 . Il Tribunale ha evidenziato come la condotta del prevenuto, obiettivamente desumibile dai termini dell'approccio informatico e dai ripetuti contatti, anche di persona, con la minore sia stata la seguente il S. ha tentato di convincere la P. a partecipare, dietro compenso e previa selezione, a feste private durante le quali la minore avrebbe dovuto prestarsi ad atti sessuali palpeggiamenti , con qualunque dei partecipanti lo volesse. L'opera di convincimento a tale scopo, tesa a superare le obiezioni e le resistenze morali della minore, è stata insistente e prolungata, espressa sia tramite conversazioni sul network, sia durante l'incontro presso la Cattedrale, sia in seguito, con pressanti richieste di prendere una decisione e fornire una risposta. Il prevenuto ha, dunque, cercato di blandire, incoraggiare e condizionare il processo volitivo della vittima in relazione a prestazioni sessuali retribuite con un numero indeterminato di potenziali clienti, non riuscendo nell' intento per cause indipendenti dalla sua volontà elementi, questi cristallizzanti l'ipotesi di reato contestata. Del pari manifestamente infondata si palesa la eccepita sproporzione tra i fatti ascritti al prevenuto e la misura cautelare massima in atto. Sul punto, con un discorso giustificativo del tutto esaustivo ed esente da vizi logici, il decidente evidenzia la pericolosità sociale della personalità dell'indagato, che rende particolarmente intenso il pericolo di recidiva specifica, valutando la natura del reato contestato, rispondente ad istinti difficilmente comprimibili e controllabili, e le modalità seriali ed insidiose con le quali il S. agisce per adescare in rete il soggetto minorenne. In dipendenza delle superiori considerazioni, ad avviso dei giudice di merito, la custodia cautelare in carcere è da considerare l'unica adeguata a fronteggiare tale pericolo, poiché, peraltro, l'abitazione del S. rappresentava il centro di riferimento della attività criminosa, vista, altresì, la facilità di accesso ad internet, anche mediante una semplice connessione da utenza cellulare, al di fuori di ogni possibilità di controllo. Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/12/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il S. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00 dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell'istituto Penitenziario competente, a norma dell'art. 94, co. 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.