Moglie violentata, ma non parte civile: le dichiarazioni sono attendibili

In ambito di reati sessuali, la deposizione della persona offesa può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, se l’indagine sulla credibilità soggettiva ed oggettiva della persona abbia risultato positivo. Inoltre, il fatto che la violenza sia stata posta in essere nei confronti della moglie non può comportare nessuna attenuante.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 30563, depositata l’11 luglio 2014. Il caso. Intervenuta in primo grado la sentenza di condanna di un uomo per violenza e minacce nei confronti della moglie, confermata, poi, in secondo grado, ricorreva in Cassazione il soccombente, lamentando l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, alias la moglie la configurabilità dei reati ex artt. 572 maltrattamenti contro familiari o congiunti e 582 lesione personale c.p., che invece, avrebbero dovuto essere assorbiti dal reato di violenza sessuale e per non aver, infine, riconosciuto l’attenuante della minor gravità essendo stata una violenza coniugale. Attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa. Da chiarire inizialmente, che, le dichiarazioni delle persona offesa possono essere assunte anche da sole come fonte di prova ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva Cass., S.U., n. 41461/2012 . Vaglio, che deve concretizzarsi in un controllo rigoroso e penetrante, volto a verificare che l’interesse, di cui è portatrice la persona offesa, interferisca o meno sulla genuinità della deposizione testimoniale. D’altra parte, la verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa è rimessa alla prudente valutazione del giudice di merito, che nel caso di specie aveva rispettato i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità. In particolare, correttamente i Giudici territoriali avevano evidenziato che la moglie, benché persona offesa, non si era costituita parte civile, perciò la stessa non era portatrice di un interesse economico legato alla vicenda, il quale avrebbe potuto portare a dichiarazioni poco genuine. I fatti riportati, inoltre, erano stati comprovati anche da certificati medici e dalle dichiarazioni dei figli. Gli altri reati dovevano ritenersi assorbiti nella violenza sessuale? I reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p. non potevano essere assorbiti nel reato di violenza sessuale, poiché i maltrattamenti non si erano esauriti nella mera reiterazione degli atti sessuali, essendosi concretizzati invece anche in ingiurie, percosse, lesioni e minacce. In particolare, in riferimento alle lesioni personali, queste non possono essere assorbite nella violenza sessuale i due delitti offendono beni giuridici diversi. Non può essere valutata come attenuante il rapporto di coniugo. La convivenza non esclude la configurabilità del reato e nemmeno può comportare l’attenuante della minor gravità. In materia di diritti e doveri infatti non sussiste nessun diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali, anche contro la volontà dell’altro coniuge. Tale attitudine contrasta col sentimento di rispetto, affetto e vicendevole aiuto e solidarietà che deve sussistere alla base del rapporto coniugale Cass., n. 36962/2007 . Sulla base di queste argomentazioni, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 maggio – 11 luglio 2014, n. 30563 Presidente Squassoni – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. G.G. ha proposto ricorso, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza della Corte d'appello di LECCE, emessa in data 5/12/2012, depositata in data 2/05/2013, confermativa della sentenza del Tribunale di BRINDISI del 27/10/2011, con cui il ricorrente era stato condannato, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, perché usava violenza e minacce varie alla moglie P.D. costringendola a subire atti sessuali artt. 572, 582 e 609 bis c.p. fatti contestati come commessi in omissis . 2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e c.p.p In sintesi, si censura la motivazione dell'impugnata sentenza per aver ritenuto attendibili le dichiarazioni della p.o., moglie del ricorrente, seppur sprovviste di idonei riscontri, atteso che gli altri testi sentiti in dibattimento non avrebbero confortato il narrato della p.o. la donna non sarebbe, in particolare, credibile quando riferisce di essere stata costretta ad avere rapporti sessuali con il marito, a fronte del diniego, con la minaccia di essere rispedita in Romania o chiedendole il pagamento di 1500 Euro per liberarsi dal vincolo matrimoniale o, ancora, dicendole che l'avrebbe fatta prostituire o, che, in subordine, in caso di diniego, avrebbe avuto rapporti sessuali con la figlia si censura, ancora, la sentenza per aver ritenuto riscontrate le dichiarazioni della p.o. dalle dichiarazioni dei figli di quest'ultima che, però, non avendo mai assistito ad alcuna violenza sessuale, non avrebbero potuto riscontrare le dichiarazioni della donna anzi, la teste D.A. avrebbe, invece, smentito la madre, descrivendo il ricorrente come una persona positiva, che si comportava con lei come un padre non sarebbe logicamente credibile che una donna costretta a subire una violenza sessuale non chieda aiuto ai due figli presenti, invocando il loro aiuto o, comunque, ricorrendo alle grida, né è credibile che tali episodi di siano ripetuti nel tempo, considerato il comportamento della donna che non chiedeva aiuto alle persone presenti e continuava a dormire nello stesso letto con il marito. 2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. d c.p.p In sintesi, né il giudice di primo grado né la Corte d'appello non avrebbero dato corso alle richieste di assunzione di alcune prove testimoniali, rispettivamente richieste ex art. 507 e 603 c.p.p. il riferimento è al teste A. C. , sentito a verbale dai CC, cui la p.o. confidò che ella non avrebbe esitato a denunciare falsamente il marito e che si sarebbe ferita volontariamente se il marito avesse avviato le pratiche di divorzio il tribunale, invitato a sentire tale teste, si sarebbe limitato ad acquisirne le dichiarazioni, laddove ne sarebbe stato necessario l'esame il riferimento è, ancora, al mancato esame del medico del p.s. che ebbe a visitare la p.o. quando la stessa si presentò in ospedale e che, secondo quanto esposto in ricorso, si sarebbe rifiutato di sottoporre a visita ginecologica la donna pur se la stessa aveva denunciato una violenza sessuale, scelta definita come inaudita operata in spregio alle norme di garanzia difensiva . 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , c.p.p In sintesi, si duole il ricorrente per aver la Corte ritenuto configurabili i reati contestati, pur non sussistendone gli estremi nello specifico, a tutto concedere, i reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p. avrebbero dovuto essere assorbiti dal reato di violenza sessuale. Si censura, ancora, la sentenza per non aver riconosciuto le attenuanti generiche e la diminuente di cui all'art. 609, u.co. c.p. la p.o. avrebbe contratto matrimonio con il ricorrente solo per avere la cittadinanza italiana, sicché sarebbe questi e non la moglie la vera vittima in ogni caso, essendo una violenza coniugale l'attenuante della minore gravità sarebbe stata concedibile. Difetterebbe, comunque, l'elemento psicologico del reato, avendo il ricorrente agito nell'ambito dei normali rapporti tra coniugi, non avendo i giudici di merito accertato se questi abbia agito con l'intento di violentare la moglie o se, invece, le sue pretese fossero solo mal sopportate dal coniuge, sicché scopo della denuncia sarebbe stato solo quello di toglierselo di torno. Infine, la sentenza avrebbe errato nel far eccessivamente leva sulla personalità negativa dell'imputato, non essendo mai emerso tale dato in dibattimento, ed essendo sempre rimasto il ricorrente contumace, donde l'illogicità sul punto della motivazione. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , c.p.p In sintesi, il tribunale avrebbe violato l'art. 81 c.p., avendo determinato la pena complessiva, unificando i reati sotto il vincolo della continuazione, senza specificare gli aumenti di pena per i reati satelliti artt. 582 e 572 c.p. peraltro, essendo stati commessi fatti prima della legge del 2006 di concessione dell'indulto, per i reati in questione l'indulto sarebbe applicabile ma, il mancato scorporo della pena, ne impedirebbe l'applicazione, con conseguente nullità della sentenza. Considerato in diritto 3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. 4. La stretta connessione tra il primo ed il terzo motivo di ricorso e le censure che questi muovono alla sentenza impugnata in particolare, il terzo motivo, pur evocando un vizio di violazione di legge, dolendosi il ricorrente dell'erronea applicazione degli artt. 609 bis, 572 e 582 cod. pen., riconduce in realtà la rilevanza del vizio a quanto dedotto al primo motivo, ossia al procedimento logico - giuridico con cui la Corte territoriale ha operato la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della p.o., sicché anche l'asserito vizio dedotto con il terzo motivo non può non riverberarsi sul percorso logico - argomentativo espresso nella motivazione della sentenza ne consente la loro trattazione congiunta. Diversa valutazione, invece, ritiene il Collegio debba essere operata con riferimento ai residui motivi di ricorso, per i quali si procederà ad autonoma trattazione. 5. Quale generale premessa in diritto alle più specifiche valutazioni sui motivi di ricorso afferenti i pretesi vizi motivazionali e concernenti le censure valutative dell'attendibilità della p.o., può considerarsi innanzi tutto che - come più volte affermato da questa Corte - le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come fonte di prova ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva ex plurimis Cass., sez. 4A, 21 giugno 2005, Poggi da ultimo, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 . Si è anche precisato come tale controllo, considerato l'interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice e al fine di escludere che ciò possa comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità della deposizione testimoniale, debba essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti Cass., sez. 3^, 26 settembre 2006, Gentile . Nel caso in esame, peraltro, non si pongono problemi sulla capacità a testimoniare della p.o., soggetto adulto in relazione al quale non sono emersi elementi tali da ritenere che la persona offesa fosse affetta da patologia mentale deve, in particolare, escludersi - sollevando peraltro la difesa generici, quanto articolati, dubbi sul punto, che si risolvono in una critica dissenziente sul risultato valutativo della prova operato dai giudici del merito - il rischio che i fatti narrati possano aver interagito con gli aspetti più intimi della personalità della p.o., sì da scongiurare il rischio di ricostruzioni artefatte e, quindi di dichiarazioni che, anche inconsapevolmente, non siano corrispondenti a realtà. Ed infatti, posto che la capacità del testimone di rendere dichiarazioni va valutata in concreto, e non in astratto, ne consegue che soltanto quando il giudice disponga di concreti elementi per stabilire che il dichiarante sia assolutamente incapace di rendere dichiarazioni, opera il divieto di assumerne le dichiarazioni e ciò, come detto, è da escludersi nel caso in esame. Nel caso qui esaminato, in particolare, siamo in presenza di una persona offesa che, all'epoca dei fatti, era una donna adulta per la quale non v'è traccia che la stessa fosse portatrice di patologie mentali. Del resto, come più volte affermato da questa Corte, nell'ambito dell'accertamento di reati sessuali, la deposizione della persona offesa, seppure non equiparabile a quella del testimone estraneo, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011 - dep. 01/12/2011, F., Rv. 251661 . 6. In estrema sintesi si ha che, da una parte, in generale le dichiarazioni della persona offesa di abusi sessuali, che abbia piena capacità di intendere e di volere, possono esse sole fondare la prova della responsabilità dell'autore della condotta ove non sussistano elementi, anche solo indiziari, di segno opposto che possano indurre a dubitare dell'attendibilità di tali dichiarazioni nel qual caso il giudice di merito è chiamato a valutarli criticamente e ad esprimere la ragione del suo convincimento. D'altra parte, come autorevolmente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214, che, peraltro, ha precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi . 7. Altra considerazione di carattere generale - necessaria soprattutto tenuto conto del nucleo essenziale delle doglianze difensive di cui al primo ed al terzo motivo, appuntate in sostanza su un preteso vizio motivazionale - è che la verifica dell'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa asseritamente abusata, è rimessa alla prudente valutazione del giudice del merito. In tal caso, i limiti del sindacato di legittimità di questa Corte sono ancor più stringenti in ragione dell'ampio margine di apprezzamento di tali dichiarazioni che ha il giudice di merito, peraltro maggiormente vicino alle fonti di prova e in grado di valutarle. Il procedimento valutativo delle risultanze processuali converge invero pur sempre verso un giudizio di attendibilità del teste in questo senso deve sempre ricordarsi - in quanto sovente si tende a confondere i due piani valutativi - che mentre la verifica dell'idoneità mentale del teste, diretta ad accertare se questi sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in suo pregiudizio e sia in grado di riferire sugli stessi, senza che la sua testimonianza possa essere influenzata da eventuali alterazioni psichiche, è demandabile al perito, l'accertamento dell'attendibilità del teste, attraverso l'analisi della condotta dello stesso e dell'esistenza di riscontri esterni, deve formare oggetto del vaglio del giudice v., tra le tante Sez. 3, n. 24264 del 27/05/2010 - dep. 24/06/2010, F., Rv. 247703 . Il giudizio di legittimità, però, rimane stretto essenzialmente negli angusti limiti del vizio di motivazione essendo deducibile, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , solo la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. A questa Corte, cioè, non è rimesso affatto un giudizio sul dissenso, pur motivato, del ricorrente in ordine al risultato del procedimento valutativo operato dal giudice di merito. Il ricorrente che argomenti in ordine all'attendibilità o inattendibilità della persona offesa asseritamente abusata come purtroppo, anche nel caso in esame, si è verificato , si colloca fuori dallo schema del giudizio di legittimità ed invoca inammissibilmente un ulteriore grado di merito. Oggetto della censura deve essere invece l’ iter motivazionale e la connessione logica delle argomentazioni della sentenza impugnata. Ciò implica l'individuazione di un passaggio motivazionale - id est la concatenazione di due o più affermazioni - secondo un connettivo di vario genere d'inferenza, di conseguenzialità, di analogia, di continenza che il ricorrente censura perché - a suo avviso - illogico o contraddittorio utilizzando a tal fine anche atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame . Come anche l'isolamento di un'affermazione della sentenza impugnata che, in quanto meramente assertiva, risulti non porsi in connessione logica nel tessuto argomentativo della motivazione da adito ad una censura di mancanza di motivazione. Nell'una e nell'altra ipotesi però la censura di vizio di motivazione è tutta focalizzata sul testo della sentenza impugnata e sull'analisi critica della rete di connessioni logiche che legano le affermazioni di cui la motivazione si compone. In proposito, questa Corte Cass., sez. 3A, 18 settembre 2007, Scancarello - in una vicenda d'ipotizzati abusi sessuali in danno di minori in una scuola materna -ha affermato che il controllo della Cassazione, in presenza di un eccepito vizio motivazionale, ha un orizzonte circoscritto e va confinato alla verifica della esistenza di un apparato argomentativo non contraddittorio né manifestamente illogico del provvedimento impugnato. La novazione legislativa, introdotta con la L. n. 46 del 2006, permette alla Cassazione di valutare la razionalità e coerenza della motivazione avendo come referente anche gli atti processuali segnalati dal ricorrente la possibilità di una indagine extra testuale non ha alterato la funzione tipica della Cassazione. La modifica ha attribuito solo alla Corte di legittimità la facoltà di verificare la tenuta logica del provvedimento impugnato, oltre i limiti dello stesso, avendo riguardo agli atti processuali che il ricorrente ritiene arbitrariamente non considerati o male interpretati. Rimane fermo il divieto per la Cassazione - in presenza di una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria - di una diversa valutazione delle prove, anche se plausibile. Di conseguenza, non è sufficiente, per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa e più persuasiva di quella operata nel provvedimento impugnato occorre che le prove, che il ricorrente segnala a sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare l'intero ragionamento svolto dal giudice sì da rendere illogica o contraddittoria la motivazione. 8. Tutto ciò premesso in generale, deve poi considerarsi, con riferimento alla vicenda processuale in esame, che il tratto comune dei motivi di ricorso limitatamente a quelli tendenti a far rilevare i dedotti vizi motivazionali ex art. 606, lett. e , cod. proc. pen. , avverso l'impugnata sentenza della Corte d'appello di LECCE è, almeno prevalentemente, quello del dissenso in ordine alla valutazione soprattutto delle dichiarazioni della persona offesa e delle altre risultanze processuali dissenso peraltro espresso in termini generali, ossia in termini di ritenuta inattendibilità ed inidoneità della narrazione della vittima ad offrire la prova degli abusi sessuali sofferti. Ma - si ripete - non si tratta di giudicare se la valutazione operata dai giudici di merito sia, o no, persuasiva ciò non spetta a questa Corte, che non può essere chiamata a svolgere un'ulteriore valutazione di merito. Si tratta invece di verificare se l'impianto argomentativo della motivazione della sentenza impugnata consista, o no, in una rete di connessioni logiche e non contraddittorie. Certo - può notarsi subito - sentenze così dettagliate e scrupolose quali quelle della Corte d'appello di LECCE e del Tribunale di BRINDISI lasciano poco spazio a censure di vizio di motivazione mentre rimangono a margine - come processualmente irrilevanti - il dissenso valutativo del ricorrente, le perplessità di alcune dichiarazioni della persona offesa alla luce della presunta inattendibilità a fronte di elementi asseritamente contraddittori, dubbi che sono inevitabili in vicende di tal genere di abusi sessuali. Ma occorre pur sempre tener conto che il parametro di valutazione del giudice di merito è quello dell'art. 533 c.p.p., comma 1, come sostituito dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 5 il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio . Cfr. Cass., sez. 1^, 8 maggio 2009, Manickam, che ha in generale affermato che la regola di giudizio compendiata nella formula al di là di ogni ragionevole dubbio , recata dall'art. 533 c.p.p., comma 1, impone di pronunciare condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana conforme Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010 - dep. 11/05/2010, Giampà, Rv. 247449. Ed in proposito questa Corte ha più volte sottolineato che nel processo penale vige, in materia probatoria, la regola della prova oltre il ragionevole dubbio , laddove nel processo civile opera la diversa regola della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non . Resta, tuttavia, fermo che il principio dell' oltre ogni ragionevole dubbio , introdotto nell'art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013 - dep. 06/03/2013, Viola, Rv. 254579 . 9. Può quindi procedersi all'esame dei motivi di ricorso sub 1 e sub 3 , che, come anticipato, attesa la loro omogeneità, possono essere congiuntamente trattati. La loro manifesta infondatezza emerge dalla lettura della motivazione dell'impugnata sentenza in cui la Corte territoriale, diversamente da questo esposto in sede di doglianza del ricorrente, spiega convincentemente le ragioni per le quali i dubbi manifestati sulla valutazione della testimonianza della persona offesa oltre che l'asserita assenza di idonei riscontri al suo narrato non potessero considerarsi come fondati. I giudici d'appello, in particolare, evidenziano v. pagg. 3 e segg. dell'impugnata sentenza , come i fatti siano provati non soltanto dalle dichiarazioni della vittima dell'abuso, moglie del ricorrente che, si evidenzia, ha riferito i fatti senza nemmeno essere portatrice di un interesse economico nella vicenda, atteso che la stessa non ha inteso costituirsi parte civile nel processo penale, donde il controllo di attendibilità non deve essere più rigoroso, fino a valutare l'opportunità di procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, come invece nel caso in cui detta costituzione vi sia stata , ma anche da elementi che forniscono riscontro al dichiarato della vittima in particolare, in sentenza si richiamano sia i certificati medici del 4 luglio e dell'8 agosto 2005 nonché le dichiarazioni dei figli della vittima . Proprio con riferimento alle dichiarazioni dei figli, l'impugnata sentenza da atto della circostanza per la quale gli stessi, pur considerando come un padre il ricorrente dunque, senza manifestare alcun motivo di astio nei confronti di quest'ultimo , hanno riferito, per avervi personalmente assistito, del comportamento violento del padre nei confronti della loro madre, dalla quale questi pretendeva insistentemente rapporti sessuali anche se la stessa rientrava stanca dal lavoro, minacciandola che, se ella non avesse soddisfatto tali richieste, questi si sarebbe soddisfatto con la figlia, all'epoca diciassettenne. Né ancora, rileva quanto dedotto dal ricorrente in ricorso circa la apparente inspiegabilità della ragione per la quale la donna non si sarebbe rivolta ai figli chiedendo loro aiuto, avendo congruamente e logicamente fornito la sentenza impugnata la relativa spiegazione a tale mancata richiesta di aiuto da un lato, infatti, le minacce rivolte dal ricorrente riguardavano non solo la donna ma anche i figli dall'altro, poi, la donna era solita subire il comportamento violento del marito che era costretto ad assecondare, anche per evitare un ulteriore coinvolgimento dei propri figli, onde evitare conseguenze per loro pregiudizievoli. 9.1. Quanto al preteso assorbimento dei reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p. in quello di violenza sessuale, la Corte territoriale v. pagg. 4/5 spiega le ragioni di tale mancato assorbimento, chiarendo come, da un lato, i maltrattamenti non si fossero esauriti nella mera reiterazione degli atti sessuali così ponendosi in linea i giudici di secondo grado con la giurisprudenza di questa Corte Sez. 3, n. 17843 del 23/03/2005 - dep. 13/05/2005, P.G. in proc. La Fata ed altri, Rv. 231523 , essendosi concretizzati anche in ingiurie, percosse, lesioni e minacce e, dall'altro, quanto alle lesioni personali, precisando che tale delitto offende un bene giuridico diverso da quello tutelato dalle norma in tema di violenza sessuale, ponendosi con quest'ultima in relazione di progressione, richiamando a tal proposito la giurisprudenza di questa Sezione Sez. 3, n. 46760 del 28/10/2004 - dep. 02/12/2004, Crisafi ed altro, Rv. 230481 . Per ciò che concerne, poi, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della diminuente di cui all'art. 609, u.co. c.p. - al di là della mera illazione del ricorrente secondo cui la p.o. avrebbe contratto matrimonio con il ricorrente solo per avere la cittadinanza italiana, sicché sarebbe questi e non la moglie la vera vittima - la Corte territoriale chiarisce inequivocabilmente le ragioni della mancata concessione le minacce e le percosse con le quali il ricorrente era uso porre in essere gli atti di violenza nei confronti della moglie per costringerla ad avere rapporti sessuali completi, esclude sia l'art. 62 bis c.p. che l'attenuante della minore gravità , precisando che la gravità del fatto non poteva nemmeno escludersi in virtù del rapporto di coniugio, poiché il comportamento violento del ricorrente era stato posto in essere proprio in conseguenza del rifiuto della moglie di congiungersi carnalmente con lei. Del resto, si osserva, questa Corte ha chiarito come, in tema di violenza sessuale, l'esistenza di un rapporto di coniugio accompagnato da effettiva convivenza non esclude, di per sé, la configurabilità del reato, dovendo ritenersi, alla luce di quanto stabilito dall'art. 143 cod. civ. in materia di diritti e doveri dei coniugi, che non sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo dell'istinto sessuale anche contro la volontà dell'altro coniuge, tanto più in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e violenze, ponendosi queste in contrapposizione rispetto ai sentimenti di rispetto, affiatamento e vicendevole aiuto e solidarietà fra le cui espressioni deve ricomprendersi anche il rapporto sessuale Sez. 3, n. 36962 del 12/07/2007 - dep. 08/10/2007, Ponti e altro, Rv. 237313 . Nessun dubbio, poi, sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, essendo evidente - come precisa la Corte territoriale - che, da un lato, la condotta violenta del ricorrente e, dall'altro, la opposizione manifestata espressamente dalla moglie alle richieste sessuali del ricorrente, rendevano evidente la connotazione sessuale della richiesta del ricorrente, sì da non porre in dubbio la configurabilità del dolo normativamente richiesto per la punibilità del fatto. Non merita, infine, alcuna valutazione la censura di presunta illogicità della motivazione per aver fatto la stessa eccessiva leva sulla personalità negativa dell'imputato soprattutto in considerazione del fatto che lo stesso sarebbe rimasto contumace, non essendo certo necessaria per il giudice, al fine di esprimere un tale giudizio, la presenza fisica del reo all'udienza. 10. Restano, quindi, da affrontare il secondo ed il quarto motivo. Quanto al secondo motivo, con cui si deduce il vizio della lett. d dell'art. 606 c.p.p. mancata audizione del teste C. ex art. 603 c.p.p. mancata audizione del medico che aveva visitato la vittima , in merito alle dichiarazioni del teste C. , le doglianze difensive non colgono il segno, proprio considerando quanto esposto in sentenza, ove si chiarisce come le predette dichiarazioni - acquisite documentalmente - pur confermando il narrato della donna quanto all'esistenza dei continui litigi tra il ricorrente e la moglie, contrastavano tuttavia con la documentazione sanitaria in atti, avendo i referti medici comprovato che la donna ebbe a subire l'infrazione della falange distale del terzo dito della mano sx capo e in data 4 luglio 2005, ossia un mese prima della confidenza che la stessa avrebbe fatto al C. , secondo cui la stessa gli avrebbe rivelato che si sarebbe autolesionata se il marito avesse informato l'ufficio stranieri della Questura di Brindisi della domanda di divorzio. Da qui, dunque, il giudizio di superfluità espresso dalla Corte proprio per il loro tenore. Analogo giudizio di non necessità dell'audizione del medico del pronto soccorso richiesto ex art. 507 c.p.p. viene espresso dalla Corte territoriale, in base all'assunto che la donna aveva riferito di aver subito percosse da persona conosciuta, dichiarazioni compatibili con le lesioni riscontrate e che non richiedevano alcuna visita ginecologica. Sul punto, merita in questa sede ricordare che nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 comma primo cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003 - dep. 06/02/2004, P.G. in proc. Ligresti ed altri, Rv. 229666 . E la decisione della Corte d'appello, sulla questione, supera agevolmente il sindacato di questa Corte. 11. Infine, in merito al quarto ed ultimo motivo di ricorso, con cui si censura la violazione dell'art. 81 c.p., avendo il giudice di merito determinato la pena complessiva, unificando i reati sotto il vincolo della continuazione, senza specificare gli aumenti di pena per i reati satelliti nonché per l'impossibilità, cosi avendo operato il giudice, di poter beneficiare dell'indulto del 2006 per i fatti prima commessi, pacifica è l'infondatezza manifesta delle doglianze. Ed invero, quanto alla prima, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la distinta applicazione dei singoli aumenti di pena per i diversi reati satelliti, sebbene non sia vietata ed anzi sia utile perché rende meglio evidenti le ragioni che concorrono a formare l'aumento complessivo e rende più speditamente applicabili vari istituti penali, quali eventuali cause estintive dei reati o delle pene, tuttavia non è prevista né richiesta dalla legge sicché l'indicazione, in materia unitaria e complessiva, dell'aumento di pena per i reati satelliti non cagiona irregolarità o nullità di alcun genere Sez. 3, n. 12540 del 02/10/1998 - dep. 30/11/1998, Riccio A., Rv. 212417 . Quanto all'eventuale applicabilità del condono, la mancata specificazione degli aumenti per la continuazione, non costituendo causa di nullità della sentenza, è questione demandata alla valutazione del giudice dell'esecuzione. 12. Solo per completezza, osserva infine il Collegio che i residui reati satelliti artt. 572 e 582 c.p. , pur prescritti alla data odierna, non comportano l'annullamento parziale senza rinvio perché estinti per prescrizione, atteso che l'inammissibilità del ricorso è ostativa all'accertamento della causa estintiva, essendo infatti la prescrizione maturata in data successiva alla sentenza d'appello quest'ultima è, infatti, stata emessa il 5/12/2012, laddove la prescrizione dei reati di cui sopra è maturata in data 11/07/2013, quanto al capo a ed in data 6/04/2013, quanto al capo c . Ed infatti, secondo l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266 . 13. Il ricorso dev'essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 mille/00 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.