Imputazione - sentenza: deve sussistere compatibilità sostanziale

Si ha violazione del principio di correlazione tra fatto per cui il soggetto è stato imputato e quello ritenuto in sentenza solo quando il fatto contestato sia mutato, con l’accusa, nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa.

E’ stato così deciso dalla corte di Cassazione nella sentenza n. 26348, depositata il 18 giugno 2014. Il caso. Il Tribunale di primo grado condannava per maltrattamento di animali il rappresentante legale della società che gestiva un canile. Avverso la sentenza proponeva appello il soccombente, eccependo la violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato con l’imputazione in riferimento ad un solo cane e quello ritenuto in sentenza in cui si indicavano le condizioni generali del canile e non del cane di cui all’imputazione . La Corte di Appello adita riteneva inappellabile la sentenza ex art. 593, comma 3, c.p.p. e qualificava l’impugnazione come ricorso per cassazione, per cui rimetteva gli atti alla Corte. La sottoscrizione dell’imputato della procura speciale ad impugnare sana la carenza di abilitazione del difensore . La Suprema Corte rileva, preliminarmente, che la causa di inammissibilità dedotta dai Giudici territoriali non sussiste. Precisando che, pur non essendo il difensore, che ha sottoscritto il ricorso, abilitato ex art. 613 c.p.p., il ricorso medesimo reca in calce procura speciale ad impugnare, sottoscritta dall’imputato, che ha fatto proprio, quindi, lo stesso contenuto dell’impugnazione. Il Collegio, in riferimento a tale questione, ricorda l’interevento delle Sezioni Unite Cass., S.U., n. 47803/2008 , secondo il quale deve intendersi proposto personalmente dall’imputato il ricorso che, pur formalmente sottoscritto da difensore non iscritto all’albo speciale della Corte di Cassazione, rechi tuttavia in calce l’atto di nomina del difensore sottoscritto dall’imputato, in quanto tale atto ha un implicito, ma evidente valore di condivisione della dichiarazione e dei motivi di ricorso, che quindi devono giuridicamente ritenersi fatti propri dell’imputato, il quale se ne assume la paternità. La Corte perciò afferma che l’impugnazione avverso la sentenza del tribunale di primo grado vada esaminata come ricorso per cassazione. Quando si configura la violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa? Il Collegio affronta poi la censura della violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata. Tale violazione consiste se il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, ovvero quando si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. Il suddetto principio è a garanzia del diritto di difesa dell’imputato. Ne consegue che la sua violazione sia ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta, esposta nel capo di imputazione, venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi Cass., n. 67539/1998 . Nel caso di specie il decreto di citazione a giudizio contestava all’imputato di avere, quale rappresentante legale della società di gestione del canile, detenuto animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. Nell’imputazione, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, si faceva riferimento a più cani, e non ad uno solo, e comunque, dal tenore della complessiva imputazione emergeva che si faceva riferimento ai cani ricoverati nel canile. La Corte dichiara quindi inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 maggio – 18 giugno 2014, numero 26348 Presidente Fiale – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Rieti, in composizione monocratica, con sentenza in data 22.11.2011, condannava B.L. alla pena sospesa alle condizioni di legge di Euro 5.000,00 di ammenda per il reato di cui all'articolo 727 c.p. ascritto condannava inoltre l'imputato al risarcimento dei danni, in favore della costituita parte civile LAV Lega Antivivisezione Onlus , da liquidarsi in separato giudizio e con attribuzione di una provvisionale di Euro 1.000,00. Dopo aver ricordato che l'articolo 727 c.p., come modificato dalla L.189/2004 punisce chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura ed in condizioni di gravi sofferenze consistenti, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche in soli patimenti , riteneva il Tribunale che dalle risultanze processuali emergesse la penale responsabilità dell'imputato. Dalla relazione peritale, disposta in sede di incidente probatorio, emergeva che la documentazione relativa agli animali presenti nel canile, gestito dalla società Tecnovett srl, della quale l'imputato era rappresentante legale, era incompleta e che la struttura era assolutamente inadeguata dal punto di vista igienico e inidonea non era assicurata la protezione dalle intemperie meteorologiche e dalle temperature rigide, stante la mancanza di un numero di cucce sufficienti le operazioni di pulizia erano insufficienti ed esponevano gli animali al rischio di malattie gli animali erano costretti a stare in spazi insufficienti a consentire movimenti di lungo raggio . Stante le numerose inadeguatezze riscontrate nella struttura, l'imputato non appariva meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 2. Avverso la predetta sentenza proponeva appello il difensore dell'imputato, eccependo, in via preliminare, la violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato con l'imputazione in cui si faceva riferimento ad un solo cane e quello ritenuto in sentenza in cui si indicavano le condizioni generali del canile e non del cane di cui all'imputazione . In via principale e gradata chiedeva l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. Il Tribunale aveva richiamato soltanto la relazione peritale che faceva riferimento prevalentemente a problematiche riguardanti la tenuta dei registri e non alle condizioni dei cani. Inoltre il Tribunale aveva omesso di verificare le valutazioni dei periti. Peraltro, dal verbale di sopralluogo redatto dal responsabile del procedimento dell'AUSL di , circa sei mesi prima del sopralluogo dei periti, risultava che le condizioni igieniche del canile erano adeguate, non vi erano condizioni di sovraffollamento e l'alimentazione era sufficiente. Né aveva tenuto conto il Tribunale che in data 9 luglio 2008, vale a dire circa due mesi dopo l'accesso dei periti, i NAS di Viterbo non avevano riscontrato carenze igieniche, né sovraffollamento di animali o sofferenze degli stessi tranne che per alcuni di essi affetti da patologie croniche . Tanto era stato ulteriormente confermato a seguito dell'intervento ispettivo del 4.8.2008. Né, infine, il Tribunale aveva tenuto conto della consulenza tecnica disposta nel procedimento penale numero 2089/06, che smentiva anche essa l'ipotesi accusatoria, essendo stati gli animali trovati in buono stato sia igienico, che sanitario e nutrizionale. Chiedeva in ogni caso che l'imputato venisse mandato assolto quanto meno ai sensi del'articolo 530 cpv. c.p 2.1. Con ordinanza in data 31.8.2013 la Corte di Appello di Roma, essendo la sentenza inappellabile articolo 593 comma 3 c.p.p. , qualificata ex articolo 568 comma 5 c.p.p., l'impugnazione come ricorso per cassazione, rimetteva gli atti a questa Corte. Considerato in diritto 1. Va, preliminarmente, rilevato che non sussiste la causa di inammissibilità che aveva determinato l'assegnazione del ricorso alla 7^ sezione. Pur non essendo il difensore che ha sottoscritto il ricorso abilitato ex articolo 613 c.p.p., il ricorso medesimo reca in calce procura speciale ad impugnare sottoscritta dall'imputato, che ha fatto proprio quindi lo stesso contenuto dell'impugnazione. Risolvendo il contrasto giurisprudenziale esistente sul punto, le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 27 novembre 2008 numero 47803 D'Avino, hanno enunciato il condivisibile principio di diritto che Deve intendersi proposto personalmente dall'imputato il ricorso che, pur formalmente sottoscritto da difensore non iscritto nell'albo speciale della Corte di Cassazione, rechi tuttavia in calce l'atto di nomina del difensore sottoscritto dall'imputato, in quanto tale atto ha un implicito, ma evidente valore di condivisione della dichiarazione e dei motivi di ricorso, che quindi devono giuridicamente ritenersi fatti propri dall'imputato, il quale se ne assume la paternità . 2. L'impugnazione, proposta avverso la sentenza del Tribunale di Rieti, va, quindi, esaminata come ricorso per cassazione. Tale impugnazione risente palesemente del fatto che si intendeva proporre appello avverso la sentenza del Tribunale e quindi si chiedeva un riesame del merito della vicenda processuale. Come si è visto, l'articolo 568 comma 5 c.p.p. stabilisce che l'impugnazione è ammissibile a prescindere dalla qualificazione data ad essa, per un ovvio principio di conservazione del mezzo di impugnazione impropriamente denominato. La diversa qualificazione non determina, però, una modificazione per così dire funzionale dell'impugnazione, altrimenti si attribuirebbe sostanzialmente alla parte la possibilità di appellare sentenze ritenute dal legislatore inappellabili. I contenuti possibili dell'impugnazione restano quindi sempre quelli del ricorso ex articolo 606 c.p.p 3. Tanto premesso, l'impugnazione è in fatto e manifestamente infondata per cui va dichiarata inammissibile. 3.1. Destituita di ogni fondamento è innanzitutto l'eccepita violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. È assolutamente pacifico che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito. La verifica dell'osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta che realizza l'ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell'originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi cfr. ex multis Cass. penumero sez. VI, 8.6.1998 numero 67539 . Sicché non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d'effettiva difesa cfr. sez. 6 numero 35120 del 13.6.2003 . Si ha, quindi, violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa cfr. Cass. sez. 6 numero 12156 del 5.3.2009 . Deve cioè trattarsi di una trasformazione sostanziale dei contenuti dell'addebito, tale da impedire di apprestare la difesa in ordine al fatto ritenuto in sentenza. Inoltre il mutamento di per sé non è sufficiente per ritenere violato il principio di correlazione tra fatto contestato e ritenuto in sentenza in quanto necessita la ulteriore verifica intesa a controllare se, comunque, nel corso del processo l'imputato è stato posto in grado di confutare e difendersi concretamente anche sulla parte di condotta non formalmente inserita nel capo di imputazione cfr. Cass. penumero Sez. 3 numero 21584 del 17.3.2004 . 3.1.1. Con il decreto di citazione a giudizio veniva contestato all'imputato di avere, quale rappresentante legale della Tecnovett srl, che gestisce il canile di OMISSIS , detenuto animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. Nell'imputazione, contrariamente a quanto assume il ricorrente, non si faceva certo riferimento ad un solo cane. Risulta evidente che l'imputazione prestampata era stata corretta con indicazione in sovrapposizione a numero della vocale i e del resto dal tenore della complessiva imputazione emergeva che si faceva riferimento ai cani ricoverati nel canile il OMISSIS . In ogni caso l'imputato si è difeso pienamente in ordine alle complessive condizioni del canile che generavano gravi sofferenze a tutti gli animali ivi presenti. 3.2. Quanto al merito , il Tribunale non ha certo recepito acriticamente la relazione dei periti, ma, attraverso un esame puntuale della loro relazione e di quanto da essi ribadito in dibattimento, ha evidenziato che non potevano esservi dubbi di sorta in ordine alle pessime condizioni di spazio, igiene ed alimentazione in cui erano tenuti gli animali, incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze per tali intendendosi anche i soli patimenti . I periti non avevano, invero, rilevato nei loro sopralluoghi eseguiti il 28.3.2008, l'1.4.2008 ed il 16.4.2008 soltanto problematiche attinenti alla tenuta dei registri, avendo constatato tutte le gravi deficienze del canile sotto il profilo degli spazi a disposizione degli animali, della loro nutrizione e delle condizioni igieniche, puntualmente descritte in motivazione pag. 5 e ss. sent . 3.2.1. Il ricorrente ripropone o una diversa lettura delle risultanze processuali oppure lamenta l'omesso esame di alcune risultanze processuali. Sotto il primo profilo non tiene conto che l'indagine di legittimità è circoscritta, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato all'accertamento dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali Cass. sez. unumero numero 06402 del 2.7.1997 . Sotto il secondo profilo non considera che l'imputazione è circoscritta temporalmente, per cui l'ipotesi accusatoria non può certo ritenersi smentita da quanto accertato in epoca precedente o successiva. 4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. ed alla rifusione del spese del grado in favore della costituita parte civile che si liquidano come da dispositivo. 4.1. Va solo aggiunto che l'inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare la prescrizione maturata dopo l'emissione della sentenza impugnata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00 ed alla rifusione delle spese, in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.