L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica è un provvedimento amministrativo

In materia di sequestro per violazioni tributarie, gli elementi raccolti durante gli accessi, le ispezioni e le verifiche compiute dalla Guardia di Finanza per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette sono sempre utilizzabili quale notitia criminis , in quanto a tali attività non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l’operato della polizia giudiziaria. Perciò, la mancanza o l’irregolarità formale dell’autorizzazione, se è causa di invalidità dell’accertamento fiscale, non riverbera i suoi effetti sull’accertamento penale.

Lo ha stabilito la sez. III penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24874, depositata il 12 giugno 2014. Il sequestro preventivo L’art. 321 c.p.p. costituisce la seconda misura cautelare reale prevista dal codice di rito. Essa fu introdotta con il codice del 1988 per meglio regolamentare una materia in precedenza affidata alla polizia giudiziaria. In occasione della riforma, il legislatore ha voluto chiarire la materia, tipizzare i provvedimenti, garantire i controlli giurisdizionali e disciplinare i collegamenti dell’istituto ex art. 321 c.p.p. nelle leggi speciali e nella pratica giudiziaria. Il sequestro è un istituto giuridico che si adatta alle molteplici finalità previste dalle diverse fonti normative, aventi come denominatore comune l’imposizione di restrizioni sostanziali o formali all’utilizzo svincolato di un bene, spesso finalizzate all’espropriazione definitiva a favore dello Stato e dunque alla confisca . Sul piano esecutivo, il sequestro preventivo avviene mediante la fisica apprensione, materiale e/o formale del bene sequestrato, eseguito dal pm anche mediante la polizia giudiziaria, con le stesse modalità previste per il sequestro probatorio, atteso l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 104 disp. att. c.p.p., in virtù del quale per il sequestro preventivo si applicano le disposizioni concernenti il sequestro probatorio. In generale, dall’enunciazione di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 321 c.p.p., si individuano tre diverse ipotesi di sequestro preventivo quando vi è il pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso quando v’è il pericolo che la cosa possa agevolare la commissione di altri reati nell’ultima ipotesi contemplata nel caso di specie , che prevede il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca , il sequestro preventivo costituisce un istituto specifico e autonomo rispetto a quello disciplinato dal comma 1, caratterizzantesi per la peculiarità del presupposto la mera confiscabilità del bene da sottoporre a vincolo e dello scopo garantire la conservazione della cosa sequestrata nelle more del procedimento sanzionatorio . Ne consegue che l’adozione di tale ultima tipologia di confisca deve parametrarsi sulla falsariga dell’atto la confisca, appunto che essa va ad anticipare” il periculum in mora si ricollega alla confiscabilità del bene, che non è correlata alla pericolosità sociale dell'agente, come nel caso di cui sopra, ma a quella della res . e la diversa misura del sequestro in materia tributaria. La sentenza in commento, relativa ad un caso di sequestro disposto nell’ambito di un’operazione di contrasto alle violazioni tributarie in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ribadisce opportunamente la distinzione fra l’istituto del sequestro preventivo penale quale misura cautelare reale e quello del sequestro presso l’abitazione del contribuente, autorizzato dal competente Procuratore della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’art. 52 d.P.R. n. 633/1972. La pronuncia de qua richiama pure quel risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui sono utilizzabili nel processo penale gli elementi probatori raccolti dalla polizia tributaria nel domicilio di un contribuente nel quale si sia fatto accesso in assenza della formale e legittima autorizzazione del procuratore della Repubblica richiesta dall'art. 52 d.P.R. n. 633/1972, e ciò in quanto, dovendo considerarsi questo provvedimento come atto amministrativo e non giudiziario, il suo mancato rilascio, o la sua irregolarità, possono essere fatti valere esclusivamente al fine di invalidare l'accertamento fiscale, ma non nel giudizio penale che si sia instaurato sulla base della notitia criminis inoltrata alla autorità giudiziaria penale a seguito della constatazione dell'illecito Cass., n. 11307/1995 . Stante la natura amministrativa dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ex art. 52 d.P.R. n. 633/1972, nel caso in commento la Corte ha coerentemente escluso l’ammissibilità del ricorso proposto dal difensore del contribuente, sottolineando come anche la decisione del Tribunale del Riesame fosse stata emessa in assenza di competenza, in capo a tale organo, per decidere sulla vicenda. Ed infatti, a tali accessi non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l'attività di polizia giudiziaria e, trattandosi di atti amministrativi e non giudiziari, la mancanza o l'irregolarità formale dell'autorizzazione può essere considerata causa di invalidità dell'accertamento fiscale, ma non riverbera i suoi effetti sull'accertamento penale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1° aprile – 12 giugno 2014, n. 24874 Presidente Squassoni – Relatore Franco Svolgimento del processo Con decreto del 19 ottobre 2013 il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma autorizzò la perquisizione e il sequestro presso la società cooperativa 29 giugno e nei confronti di B.S. di cose necessarie allo accertamento di violazioni tributarie ai sensi dell'art. 75 d.P.R. 633/1972 e 70 d.P.R. 600/1973, ed in particolare a reati tributari in materia di IVA e di imposte sui redditi. Il tribunale del riesame di Roma, con l'ordinanza in epigrafe, confermò il provvedimento di sequestro probatorio ritenendo sussistente il fumus delle violazioni ipotizzate stante lo scollamento tra il volume d'affari e i redditi della società cooperativa ed in considerazione dei rapporti tra tale società e il B., anche con riferimento ai redditi della moglie erogati dalla società ed alle cospicue proprietà immobiliari del B La documentazione sequestrata era poi pertinente agli accertamenti in corso. Il tribunale peraltro annullò il provvedimento di sequestro con riferimento alle banconote, all'orologio ed ai gioielli sequestrati. L'indagato, a mezzo dell'avv. A.D., propone ricorso per cassazione deducendo mancanza di motivazione sui presupposti del provvedimento adottato. Ricorda che la guardia di finanza aveva chiesto la autorizzazione ad effettuare un accesso presso una privata dimora e ad acquisire documentazione ai sensi dell'art. 52 del d.P.R. 633/1972. In base a tale disposizione l'accesso poteva essere autorizzato solo in caso di gravi indizi di violazioni alle norme del decreto stesso. Sul punto l'ordinanza impugnata è totalmente priva di motivazione perché si limita a fare riferimento ad una asserita sproporzione tra i redditi del B. e il suo patrimonio, priva però di riscontro. L'ordinanza impugnata non svolge alcuna valutazione sui dati indicati nella relazione della guardia di finanza specialmente sul giudizio di sproporzione tra redditi e patrimonio che non vengono nemmeno indicati sicché l'affermazione di una sproporzione è del tutto apodittica. Del resto la mancanza di motivazione colpisce anche la relazione della GdF la quale si limita a riprodurre i redditi degli ultimi tre anni e ad elencare il patrimonio formato tra il 1987 e il 2007. Il giudizio di sproporzione non può quindi effettuarsi trattandosi di grandezze tra loro prive di alcuna correlazione causale. Deduce inoltre che l'art. 52 cit. postula la ricorrenza di gravi indizi di violazione delle norme di cui al decreto sull'IVA. Ora, anche ad ammettere che esista la suddetta grave sproporzione, non si comprende come essa potrebbe essere grave indizio di violazione delle norme in materia di IVA. Lamenta poi che l'ordinanza impugnata è totalmente priva di motivazione sul vincolo di pertinenzialità tra quanto sequestrato e le violazioni che si assumono commesse. Motivi della decisione Ritiene il Collegio che il ricorso sia inammissibile perché ha ad oggetto un provvedimento che non costituisce valida decisione di una richiesta di riesame relativa ad una misura probatoria o cautelare reale e che pertanto non può essere impugnato con un ricorso per cassazione secondo la procedura prevista per detti provvedimenti dall'art. 325 cod. proc. pen. Nella specie, infatti, si è trattato non già di una misura cautelare reale o di una sequestro probatorio, bensì semplicemente di una autorizzazione rilasciata dal PM alla GdF per accedere, nel corso delle normali attività ispettive di natura amministrativa, a locali adibiti anche ad abitazione o a locali diversi da quelli indicati dal primo comma dell'art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Questa disposizione, invero, prevede, al primo comma, che gli impiegati dell'Amministrazione finanziaria e la GdF possono accedere nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché in quelli utilizzati dagli enti non commerciali, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni. Tuttavia, per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l'autorizzazione del procuratore della Repubblica. Il secondo comma inoltre dispone che qualora si tratti di locali diversi da quelli indicati nel primo comma, l'accesso può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni . E' pacifico che si tratta di attività amministrativa e non di polizia giudiziaria. Secondo la giurisprudenza, invero, In materia di illeciti tributari gli elementi raccolti durante gli accessi, le ispezioni e le verifiche compiute dalla Guardia di Finanza per l'accertamento dell'imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette sono sempre utilizzabili quale notitia criminis , in quanto a tali attività non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l'operato della polizia giudiziaria, sicché la mancanza o l'irregolarità formale dell'autorizzazione, se è causa di invalidità dell'accertamento fiscale, non riverbera i suoi effetti sull'accertamento penale Sez. III, 7.2.2007, n. 12017, Monni, m. 235927 conf. Sez. III, 3.12.1997, n. 1668 del 1998, Riberti, m. 209572 Sez. III, 11.10.1995, n. 11307, Pariani, m. 202943 . L'autorizzazione del procuratore della Repubblica, pertanto, opera solo sul piano amministrativo e non si risolve in un provvedimento con cui venga disposta o autorizzata una misura cautelare o probatoria ai fini penali. Del resto, l'accesso nei locali in questione è finalizzato non già al sequestro di beni o documenti ma solo allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni . Il comma settimo dell'art. 52 cit., dispone che i documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non è possibile riprodurne o farne constare il contenuto nel verbale, nonché in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale. I libri e i registri non possono essere sequestrati gli organi procedenti possono eseguirne o farne eseguire copie o estratti, possono apporre nelle parti che interessano la propria firma o sigla insieme con la data e il bollo d'ufficio e possono adottare le cautele atte ad impedire l'alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri . L'accesso pertanto non è diretto al sequestro preventivo o probatorio di cose o documenti, ma specificamente ad estrarre copie di documenti, libri o registri e ad impedire la loro futura alterazione o sottrazione. Nella specie, del resto, non risulta che documenti, libri o registri siano stati sequestrati. Pertanto, contro il provvedimento del procuratore della Repubblica di autorizzazione all'accesso in locali adibiti anche ad abitazione o in locali diversi da quelli di cui al primo comma dell'art. 52 cit., non era esperibile il rimedio della richiesta di riesame al tribunale, non trattandosi appunto di provvedimento che disponeva una misura cautelare o probatoria secondo le norme del codice di rito. Ed il provvedimento erroneamente emesso dal tribunale del riesame non è di conseguenza nemmeno impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen. In realtà, nel caso in esame era ravvisabile una impropria misura probatoria o cautelare assunta di iniziativa della GdF solo relativamente al sequestro dell'orologio Rolex, dei gioielli e delle banconote, in relazione ai quali non si estendeva certamente l'autorizzazione all'accesso rilasciata dal procuratore della Repubblica solo ai sensi dell'art. 52 cit. Di tali beni peraltro il tribunale del riesame ha correttamente disposto la restituzione, sicché il ricorso per cassazione non può ritenersi ammissibile nemmeno sotto questo limitato profilo. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Poiché deve ritenersi che la causa di inammissibilità del ricorso non sia colpevole, essendo giustificata dall'errore in cui è incorso il tribunale del riesame nel ritenere che i documenti, i libri e le scritture fossero stati sottoposti a sequestro probatorio o a misura cautelare reale, non può essere pronunciata condanna al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende. Il ricorrente va quindi condannato solo al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.