Intimidazione fasulla: fare il gradasso non salva dalla pena

Il reato di minaccia deve considerarsi reato formale di pericolo e, in quanto tale, non postula l’intimidazione effettiva del soggetto passivo, essendo sufficiente che il male minacciato, in relazione alle concrete circostanze di fatto, sia tale potenzialmente da incutere timore e da incidere nella sfera di libertà psichica del soggetto passivo. Inoltre, la gravità del male minacciato va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta, in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto in cui si collocano, per verificare se, ed in quale grado, tali espressioni abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19203, depositata il 9 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Milano condannava un imputato per il delitto di minaccia aggravata. L’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo che la minaccia proferita non potesse ritenersi grave, in quanto non aveva apportato alcun turbamento psichico ai due destinatari, i quali, inoltre, in ogni caso, sia per ragioni personali che professionali, non avrebbero potuto modificare le proprie abitudini di vita. Reato di pericolo. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che il reato di minaccia deve considerarsi reato formale di pericolo e, in quanto tale, non postula l’intimidazione effettiva del soggetto passivo, essendo sufficiente che il male minacciato, in relazione alle concrete circostanze di fatto, sia tale potenzialmente da incutere timore e da incidere nella sfera di libertà psichica del soggetto passivo. Gravità della minaccia. Inoltre, la gravità del male minacciato va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta, in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto in cui si collocano, per verificare se, ed in quale grado, tali espressioni abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa. Nel caso di specie, la prospettazione dell’ipotesi di essere colpiti da armi da fuoco e di essere puniti” da amici dell’imputato costituiva una minaccia connotata da obiettiva gravità. Il fatto che ciò fosse stato detto nel corso di un litigio non poteva valere, di per sé, a togliere alle parole né la natura minacciosa né l’elevato grado intimidatorio. Anche il mancato mutamento delle abitudini di vita da parte delle persone offese era irrilevante ai fini della consumazione del reato, in quanto, se tale mutamento fosse avvenuto, avrebbe dovuto essere contestata una diversa e più grave ipotesi criminosa. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 marzo – 9 maggio 2014, n. 19203 Presidente Marasca – Relatore Fumo Rilevato in fatto 1. B.V. fu condannato dal tribunale di Milano alla pena di giustizia in quanto riconosciuto colpevole del delitto di minaccia aggravata in danno di F.A. e P.L., nei confronti dei quali ebbe a pronunciare la frase vi sparo e vi mando dai miei compagni se continuate a lavorare nel cimitero di Buccinasco . La corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato l'appellante alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili. 2. Ricorre per cassazione il difensore, deducendo erronea applicazione della legge penale in ordine alla qualificazione giuridica del fatto. La minaccia proferita dall'imputato non può ritenersi grave, in quanto essa non apportò alcun turbamento psichico ai due destinatari. La frase andava correttamente inserita in un contesto di botta e risposta , tanto che una delle parti lese replicò dicendo all'imputato che avrebbe dovuto prendere bene la mira. 2.1. Con la seconda censura, si deduce la mancanza e/o la manifesta illogicità della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento del fatto, in quanto la corte d'appello sostiene che le persone offese, anche se gravemente intimorite, non avrebbero mai potuto modificare le loro abitudini di vita, in quanto la frequentazione del cimitero era dovuta sia a ragioni personali visita alla tomba della figlia , sia a ragioni professionali, in quanto essi esercitavano il commercio di fiori con punto vendita prospiciente al cimitero. L'erroneità della motivazione consiste nell'aver indicato come necessitati quei comportamenti che non erano affatto ineludibili, anzi costituivano l'oggetto della minaccia. Manca poi qualsiasi individuazione di ulteriori elementi dai quali desumere la pretesa gravità della frase pronunciata dall'imputato. 2.2. Con il terzo motivo si deduce ancora mancanza e manifesta illogicità della motivazione perché la frase è stata decontestualizzata e non si comprende quale sia stato l'iter argomentativo seguito per pervenire alla decisione adottata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e merita rigetto il ricorrente va condannato alle spese del grado. 2. Va innanzitutto ricordato che il reato di minaccia deve considerarsi reato formale di pericolo e, come tale, non postula la intimidazione effettiva del soggetto passivo, essendo sufficiente che il male minacciato, in relazione alle concrete circostanze di fatto, sia tale potenzialmente da incutere timore e da incidere nella sfera di libertà psichica del soggetto passivo ASN 198203234-RV 152957 . 2.1. Quanto alla gravità del male minacciato, è noto che essa va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta, ed in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali e al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, dette espressioni abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa ASN 2008433380-RV 242188 . 3. Si tratta evidentemente di una valutazione di merito che, se adeguatamente giustificata dal giudicante, non può essere aggredita innanzi al giudice di legittimità. 3.1. Nel caso in esame, non illogicamente i giudici di merito hanno ritenuto che prospettare alle persone offese l'ipotesi di essere attinte da colpi di arma da fuoco e, ancor di più, di essere visitate da persone non conosciute, né identificabili, ma appartenenti alla medesima etnia dell'imputato ed, evidentemente, con lui d'accordo nell'infliggere una punizione al F. e alla P., costituisse minaccia connotata da obiettiva gravità. Il fatto che dette parole, come si sostiene, siano state pronunciate nel corso di un litigio o di un battibecco tra le parti, non può valere, di per sé, a togliere ad esse, né la natura minacciosa, né l'elevato grado intimidatorio. 3.1. Il fatto poi che le persone offese non abbiano cambiato, a seguito delle minacce ricevute, le loro abitudini di vita è irrilevante ai fini della consumazione del reato per il quale è intervenuta condanna, in quanto, evidentemente, se tale mutamento fosse intervenuto, avrebbe dovuto essere contestata diversa e più grave ipotesi criminosa. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.