Pedinamento alla luce del sole e su quattro ruote nei confronti dell’ex moglie: condannato

Semplicissima la ricostruzione della vicenda, altrettanto semplice dedurre il significato della ossessiva condotta tenuta dall’uomo. Decisiva la valutazione del disagio e del turbamento subiti forzatamente dalla donna.

Meglio mettersi l’anima in pace. E prendere atto che un ‘capitolo’ della vita si è concluso. Meglio, molto meglio, dire addio alla oramai ex moglie, scacciando ossessioni e gelosie. Tutto ciò consentirà, all’uomo, di allontanare il passato e, magari, anche l’idea di inseguire – non solo virtualmente, nella propria mente, ma anche realmente, in strada – quella che è stata la propria compagna. E, allo stesso tempo, gli permetterà di evitare una condanna Cass., sent. n. 18117/2014, Prima Sezione Penale, depositata oggi . Come un’ombra. Nessun dubbio viene espresso, dal giudice del Tribunale, sulla valenza della condotta tenuta dall’uomo egli è colpevole di molestia ai danni dell’ex moglie. Consequenziale la condanna alla pena di 300 euro di ammenda . Fatale la scelta dell’uomo, alla guida della propria autovettura , di seguire con troppa insistenza la ex moglie. Tale pronunzia viene duramente contestata dal legale dell’uomo. In sostanza, il difensore sostiene che il pedinamento non è sufficiente per contestare il reato di molestia”, pur interferendo nell’altrui sfera di libertà . E rilevante è, sempre secondo il difensore, anche il fatto che l’uomo non aveva bloccato l’auto dell’ex moglie di conseguenza, sostiene, tale condotta non può essere considerata elemento costitutivo del reato di molestia . Paura. Ma tali obiezioni vengono ritenute non plausibili dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, confermano la condanna dell’uomo. Assolutamente semplice, per i giudici, la ‘lettura’ della vicenda la donna mentre percorreva a bordo della propria auto la ‘Tangenziale’, si era accorta di essere seguita dall’ex marito , il quale, nonostante ella avesse sostato in un’area di servizio, aveva continuato a seguirla poi, quando ella aveva accostato presso una ‘rotonda’ , egli aveva preso a girarle intorno con la sua auto, ripetutamente . Unica ‘via di fuga’ per la donna, evidentemente spaventata , era stata la telefonata al ‘113’. Evidentissimo il fatto che il pedinamento prima il successivo ‘marcamento’ poi , posti in essere dall’uomo, avevano arrecato turbamento alla donna , pur non essendovi stata una effettiva coazione della sua libertà di movimento . Altrettanto evidente che la complessiva condotta tenuta dall’uomo fosse oggettivamente idonea ad arrecare molestia e disturbo all’ex moglie, ponendola, consapevolmente, in una condizione di disagio e alterandone le normali condizioni di tranquillità .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 febbraio – 30 aprile 2014, n. 18117 Presidente Cortese – Relatore La Posta Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Napoli in composizione monocratica con sentenza del 19.7.2012, condannava R.S. per il reato di cui all'art. 660 cod. pen. alla pena di euro 300 di ammenda perché alla guida della propria autovettura seguiva con insistenza quella della ex moglie, P.M., ritenendo insussistente, invece, il reato di tentata violenza privata contestato ai sensi dell'art. 81 cpv. cod.pen 2. Avverso la citata sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando violazione di legge ed il vizio della motivazione. Contesta, in specie, la configurabilità del reato di cui all'art. 660 cod. pen., tenuto conto che il pedinamento non è sufficiente ad integrare la fattispecie anche se interferisce nell'altrui sfera di libertà. Rileva che,alla luce di quanto affermato nella sentenza impugnata l'imputato non aveva bloccato l'auto della P., pertanto, tale condotta non può essere considerata elemento costitutivo del reato di molestia. Lamenta che il giudice non distingue tra petulanza e biasimevole motivo e confonde il recare molestia o disturbo con la petulanza ed il biasimevole motivo, finendo con il ritenere sussistente il reato solo in considerazione dell'attitudine a disturbare della condotta che viene riferita alla reazione emotiva della persona offesa. Considerato in diritto Il ricorso non è fondato e, pertanto, deve essere rigettato. Il giudice ha fondato la responsabilità dell'imputato sulle circostanze di fatto riferite dalla persona offesa e ha dato atto che la donna mentre percorreva a bordo della propria auto la tangenziale si era accorta di essere seguita dall'ex marito nonostante avesse sostato all'area di servizio, l'imputato aveva continuato a seguirla quindi, avendo accostato presso una rotonda e lo S. aveva preso a girarle intorno con la sua auto ripetutamente pertanto, spaventata aveva chiamato il 113. Ad avviso del giudice, non apparendo credibile la tesi difensiva dell'incontro occasionale in tangenziale, il pedinamento prima e il successivo marcamento , posti in essere dall'imputato con particolare insistenza avevano arrecato turbamento alla donna, ancorchè non vi fosse stata una effettiva coazione della sua libertà di movimento con conseguente insussistenza del reato di violenza privata. Come è noto la contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen., richiede che l'agente sia mosso da petulanza o da altro biasimevole motivo, consistente nella volontà di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà. Ed invero, alla luce delle circostanze di fatto emerse nel processo, la sentenza impugnata correttamente ha ritenuto che la complessiva condotta tenuta dall'imputato fosse oggettivamente idonea ad arrecare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola consapevolmente in una condizione di disagio e alterandone le normali condizioni di tranquillità. La condotta di tallonare insistentemente l'auto della parte lesa e di circondarla al momento in cui si era fermata realizza molestia , arrecando turbamento alla persona offesa a causa della prevaricazione dell'agente e configurando il tal modo il reato contestato Sez. 1, n. 29933 del 08/07/2010, Arena, rv. 247960 . Né, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la valutazione del giudice in ordine alla complessiva condotta dell'imputato risulta in contraddizione con la ritenuta insussistenza del reato di tentata violenza privata, avendo il giudice considerato che l'azione dell'imputato non comportava coazione della libertà di movimento della donna. Al rigetto consegue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, alla rifusione in favore dello Stato delle spese giudiziali sostenute presente grado di giudizio della parte civile, P.M., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, che liquida in complessivi euro 2000, tenuto conto del numero e dell'importanza delle questioni trattate, della tipologia ed entità delle prestazioni difensive, avuto riguardo ai limiti minimi e massimi fissati dalla tariffa forense, oltre gli accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, al rimborso in favore dello Stato delle spese giudiziali della parte civile P.M. che liquida in euro 2000 oltre accessori di legge.