146 piantine di marijuana, tanti sospetti, zero accuse che tengano

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo, richiede, invece, un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento ed il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare.

Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 17285 del 18 aprile 2014. Il fatto. Il Tribunale del riesame di Palermo respingeva il ricorso proposto da un uomo, avverso l’ordinanza del gip che gli applicava la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’art. 73 d.p.R. n. 309/1990 Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope , per aver concorso, con altri 2 soggetti, nella coltivazione di 146 piantine di marijuana. Succedeva che in un casolare preso in locazione dai 2, i carabinieri trovavano i 3 uomini impegnati a chiacchierare e i vasi con le piantine incriminate, pertanto la presenza dell’uomo veniva ritenuta dagli inquirenti indice della volontà di concorrere nella coltivazione. L’indagato ricorreva dunque per cassazione lamentando che l’ordinanza impugnata difettasse delle esigenze cautelari indispensabili per disporre la custodia in carcere, e inoltre lamentava che, il mero trovarsi nel casolare ove le piantine di marijuana venivano coltivate, non rilevava assolutamente ai fini del concorso nel reato contestatogli. Presunti indizi. Per il Collegio il ricorso merita accoglimento. Difatti i giudici argomentano tale assunto ritenendo che gli elementi indicati nell’ordinanza non appaiono idonei ad integrare i gravi indizi di colpevolezza necessari per la privazione della libertà personale anteriormente ad una sentenza di condanna. L’ordinanza impugnata aveva infatti ritenuto che i gravi indizi di colpevolezza si potessero ricavare dal fatto che l’indagato conosceva i 2 uomini e li frequentava dal fatto che era stato sorpreso mentre chiacchierava con gli stessi in una stanza vicina alle altre 2 stanze chiuse in cui si trovavano le piantine, e in ultimo, dal fatto che il proprietario del villino e il titolare dell’agenzia avevano dichiarato di aver forse” visto il prevenuto insieme agli accusati. Concorre se agevola lo spaccio. Tali conclusioni del Tribunale del riesame, evidentemente appaiono ai giudici di legittimità, immotivate, e senza alcun esame critico degli elementi indiziari richiesti per l’applicazione della misura cautelare e senza alcuna valutazione sulla presenza dell’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato. In sostanza, in mancanza di alcun comportamento inerente alla coltivazione – quale irrigazione, inaffiamento, confezionamento o occultamento della sostanza - si potrebbe dar luogo ad una situazione di mera connivenza, ossia a un comportamento meramente passivo non punibile, senza la presenza di altri elementi atti a configurare una responsabilità concorsuale. Infatti secondo la giurisprudenza il convivente del soggetto autore di attività di spaccio” di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, consentendone l’occultamento mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attività . Nel caso di specie il comportamento meramente passivo del prevenuto, e quindi l’essere solo presente nel casolare, non implicava con assoluta certezza il coinvolgimento nel reato, non vi sono dunque le condizioni che consentono una misura cautelare privativa della libertà personale. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con immediata liberazione dell’indagato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 gennaio – 18 aprile 2014, n. 17285 Presidente Fiale – Relatore Franco Svolgimento del processo Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Palermo respinse il ricorso proposto da M.P. avverso l'ordinanza del Gip del tribunale di Termini Imerese del 29 maggio 2013, che gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all'art. 73 d.p.R. 309 del 1990, per avere concorso, con altri due soggetti, tali P. e S. , nella coltivazione di 146 piante di marijuana. Era successo che i carabinieri, penetrati all'interno di un casolare preso in locazione da questi ultimi due, avevano trovato in un locale i vasi con le piante di marijuana e in una stanza vicina i tre che stavano parlando. Il tribunale del riesame ha ritenuto che la presenza nel casolare del M. costituisse indice di una consapevole volontà di concorrere nella coltivazione, anche perché il proprietario del casolare e la direttrice della agenzia immobiliare che lo aveva locato, avevano dichiarato che il M. avrebbe potuto essere — anche se però non ne avevano la certezza — un giovane che aveva accompagnato i due quando avevano locato l'immobile. L'indagato, a mezzo dell'avv. Marco Clementi, propone ricorso per cassazione deducendo 1 violazione degli artt. 273 cod. proc. pen., 110 cod. pen. e 73 d.p.R. 309 del 1990, e mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che l'ordinanza impugnata presenta un assoluto vuoto motivazionale non rispondendo agli specifici rilievi posti con l'istanza di riesame. La motivazione è apodittica e vi è travisamento delle emergenze processuali. Invero, la mera presenza dell'indagato nel villino non era sintomatica necessariamente, senza ulteriori riscontri, del suo concorso nel reato, non avendo egli svolto alcuna attività ri-conducibile alla coltivazione. Al più, qualora si volesse ritenere che fosse a conoscenza della presenza delle piante, sarebbe ravvisabile una mera connivenza. È manifestamente illogica l'affermazione del tribunale secondo cui il riscontro sarebbe dato dalla chiusura del cancello di ingresso con un lucchetto. Il fatto che egli avesse eventualmente accompagnato i due locatari nell'agenzia, quand'anche fosse provato, sarebbe irrilevante perché riguarderebbe solo una attività preparatoria non univocamente diretta alla coltivazione della marijuana. 2 mancanza o manifesta illogicità della motivazione in riferimento alle dichiarazioni rese dalla persone informate violazione di legge. Lamenta che di tali dichiarazioni è stata fatta una valutazione parcellizzata perché non si è tenuto conto delle incertezze manifestate sul riconoscimento del M. nonché del fatto che il villino era stato affittato solo dagli altri due e che il canone era pagato solo da essi. 3 violazione di legge e mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alle dichiarazioni rese dal coindagato Perrotta. Lamenta che immotivatamente le dichiarazioni di questi sono state ritenute attendibili ed utilizzate nella parte in cui accusavano il S. e non in quella in cui invece scagionavano il M. . 4 violazione dell'art. 274 cod. proc. pen. e mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al profilo della sussistenza delle esigenze cautelari e della indispensabilità della custodia cautelare in carcere. Motivi della decisione Il ricorso è fondato perché gli elementi indicati dalla ordinanza impugnata non appaiono idonei per integrare i gravi indizi di colpevolezza necessari per la privazione della libertà personale anteriormente ad una sentenza di condanna. L'ordinanza impugnata ha invero ritenuto che i gravi indizi in ordine ad un concreto comportamento del Ma. di concorso, col P. e il S. , nella coltivazione delle piante di marijuana, si potessero ricavare - dal fatto che il M. conosceva i due e li frequentava - dal fatto che il M. era stato sorpreso mentre stava chiacchierando con i due in una stanza vicina alle altre due chiuse in cui si trovavano le piantine - dal fatto che il cancello d'accesso al casolare era chiuso e le chiavi si trovavano su un tavolo del soggiorno - dal fatto che il proprietario del villino e la titolare della agenzia che l'aveva affittato al P. e al S. avevano dichiarato che forse avevano già visto insieme ai due il giovane raffigurato nella foto del M. , ma che non ne avevano la certezza. Sulla base di questi elementi il tribunale del riesame di Palermo ha dedotto che la presenza del M. - al momento del sopralluogo - in una proprietà altrui, dove si trovava una coltivazione di canapa indiana, era certamente finalizzato al controllo dello stato della coltivazione e costituisce comunque indice della consapevole volontà del ricorrente di partecipare alla gestione dell'illecita coltivazione”. Si tratta, com'è evidente, di una conclusione apodittica e di una motivazione meramente apparente, senza alcun autonomo e critico esame degli elementi indiziari richiesti per l'applicazione della misura cautelare e senza alcuna valutazione sulla presenza dell'elemento soggettivo richiesto per l'integrazione del reato. Non vengono invero indicate concrete condotte del ricorrente che possano definirsi, con alto grado di probabilità, penalmente rilevanti sub specie di coltivazione a fini di spaccio della sostanza stupefacente, ma solo elementi di carattere neutro, come lo è chiaramente la circostanza di essere presente in un villino a conversare con i due indagati in una stanza diversa da quelle chiuse in cui si trovavano le piantine, senza ulteriori indizi e riscontri della riconducibilità a tutti i presenti della fattispecie criminosa. D'altra parte, anche qualora sussistessero concreti gravi indizi da cui desumere la consapevolezza del M. della presenza nel villino di piantine di marijuana, in mancanza di alcun concreto comportamento inerente alla coltivazione quale l'irrigazione, l'innaffiamento, il confezionamento o l'occultamento della sostanza si potrebbe dar luogo ad una situazione di mera connivenza, ossia a un comportamento meramente passivo non punibile, senza la presenza di altri elementi dei quali però l'ordinanza impugnata non fa alcun cenno atti a configurare una responsabilità concorsuale. L'ordinanza impugnata ha fatto riferimento, in tema di distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato, ad una sentenza di questa Corte Sez. VI, 8.2.2010, n. 14606, lemma, m. 247127 , che aveva ravvisato un'ipotesi concorsuale nella condotta dell'imputato che aveva aiutato altro soggetto ad innaffiare piante che sapeva essere di sostanza stupefacente. Si tratta di una citazione inconferente perché la detta pronuncia riguarda un caso di concorso materiale nell'attività tipizzata dalla fattispecie incriminatrice di coltivazione, Nel caso in esame, invece, manca una sicura, o altamente probabile, sussumibilità della condotta nella fattispecie, perché il M. è stato colto dalla polizia a dialogare con i coindagati e non in condotte materiali esecutive della fattispecie criminale. Manca poi totalmente la motivazione circa un eventuale concorso morale, e precisamente su una reale partecipazione alla fase ideativa, preparatoria o esecutiva del reato e con quali modalità essa si sarebbe manifestata in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti. In sostanza, l'accertata presenza in loco del M. , in assenza di più adeguati e ulteriori riscontri, non può integrare i gravi indizi di coinvolgimento nello stesso in ordine al delitto di coltivazione, non potendosi istituire un collegamento tra la sostanza stupefacente rinvenuta e la sua persona. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero Il convivente dei soggetto autore di attività di spaccio di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, consentendone l'occultamento, mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attività” Sez. III, 10.12.2008, n. 9842 del 2009, Gentiluomini, m. 242996 In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l'occultamento ed il controllo della droga, assicurando all'altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare. Fattispecie nella quale è stata annullata senza rinvio la sentenza di condanna dell'imputato, in difetto di elementi concreti per fondare il suo concorso nell'altrui illecita detenzione di droga, desunto dai giudici di merito dal solo fatto che l'imputato viaggiasse, in qualità di passeggero, a bordo di una autovettura sulla quale era nascosta la droga ” Sez. IV, 22.1.2010, n. 4948, Por-cheddu, m. 246649 conf. Sez. VI, 29.10.2013, n. 47562, Spinelli, m. 257465 . È poi altrettanto evidente che il collegamento tra il ricorrente e l'illecita coltivazione non può essere rinvenuto nel fatto che il cancello di accesso al villino fosse chiuso con un lucchetto, circostanza che si spiega con tutta probabilità proprio per la presenza di una illecita coltivazione. Casomai, qualora il M. fosse stato trovato in possesso di copia delle chiavi per poter accedere liberamente all'immobile in questione si sarebbe potuta desumere una sua attività di controllo della coltivazione, ma la mera circostanza della chiusura del cancello di ingresso non è idonea ad assumere alcun significato indiziario. L'ordinanza impugnata sembra poi aver dedotto un concorso del M. nella coltivazione ritenendo che egli avesse partecipato alla fase preparatoria costituita dalla locazione del villino. Sennonché, dalle dichiarazioni - riportate dalla ordinanza impugnata - della titolare dell'agenzia La Barbera e del proprietario del villino, , emerge che il contratto fu stipulato soltanto con il S. e il P. , i quali esclusivamente erano interessati alla locazione e pagavano l'affitto, e che i detti testi, pur avendo affermato che il M. assomigliava al ragazzo che aveva accompagnato i due all'agenzia, non ne avevano certezza. Sussiste quindi solo un sospetto, ma non un grave indizio che il ricorrente fosse stato presente alle trattative o alla stipula del contratto. In ogni caso, esattamente il difensore osserva che quand'anche egli fosse stato presente, si sarebbe trattato di una attività meramente preparatoria, non diretta in modo inequivoco alla coltivazione, che non rileva quindi in modo certo l'intenzione di commettere il delitto. L'ordinanza impugnata, poi, non indica la presenza di un passaggio da una fase preparatoria a quella esecutiva o di elementi che dimostrino condotte del M. sicuramente rivelatrici dell'intento criminoso. La eventuale presenza del M. alla stipula del contratto, non può quindi, allo stato, assumere il valore di grave indizio di concorso nel reato di coltivazione, stante anche il rapporto di amicizia e di frequentazione tra i tre coindagati, messo in rilievo dalla ordinanza impugnata. In conclusione, sulla base di quanto emerge dalla motivazione della ordinanza impugnata, non appaiono sussistere gravi indizi di colpevolezza a carico del M. in ordine ad un suo concorso nell'ipotizzato resto di coltivazione di piantine di marijuana. Non vi sono quindi le condizioni che consentano una misura cautelare privativa della libertà personale. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio e va conseguentemente disposta l'immediata liberazione di M.P. , se non detenuto per altra causa. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e ordina l'immediata liberazione di M.P. se non detenuto per altra causa. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94, co. 1 ter, disp. att. cod. proc. pen