La malattia, che non impedisce il crimine, non impedisce neanche la galera

L’obbligo per il giudice di disporre gli accertamenti medici del caso sussiste soltanto in presenza di un apprezzabile fumus , su cui fondare un’ipotesi di incompatibilità dello stato di salute con la detenzione in carcere o una situazione patologica tale da non consentire nel carcere delle adeguate cure.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 16370, depositata il 15 aprile 2014. Il caso. Il tribunale di Perugia rigettava le istanze di riesame, proposte da alcuni imputati, nei confronti dell’ordinanza del gip, che disponeva l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere. Questi ricorrevano in Cassazione, lamentando il mancato riscontro, mediante accertamenti clinici, delle loro condizioni di salute, ritenute incompatibili con la detenzione in carcere. Allarme sociale. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che il tribunale aveva ritenuto che gli imputati, nonostante le condizioni di salute come attestate dalla documentazione prodotta, erano stati in grado di commettere reati di notevole gravità ed allarme sociale. Ciò aveva indotto i giudici di merito a dubitare della documentazione medica e, in particolare, dell’effettiva sussistenza delle patologie invocate dagli indagati, quanto meno nelle gravissime forme in cui venivano rappresentate, per ottenere l’applicazione di misure cautelari meno afflittive. Nessun obbligo. Inoltre, non sussisteva alcun obbligo per i giudici di disporre degli accertamenti medici per verificare la compatibilità tra il regime carcerario applicato e le patologie, di cui gli imputati affermavano di essere affetti. Infatti, non era stata impugnata un’ordinanza di revoca o sostituzione della misura cautelare, ma, al contrario, il tribunale aveva condiviso le valutazioni espresse dal gip in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari meritevoli di tutela attraverso la misura della custodia in carcere. La previsione di cui all’art. 299, comma 4- ter , c.p.p., in tema di accertamenti medici sulle condizioni di salute dell’indagato, attiene esclusivamente alla procedura di revoca o sostituzione della misura cautelare, disciplinata dallo stesso articolo, e quindi implica una valutazione, in sede di gravame, attraverso il c.d. appello cautelare. Analogia impossibile. Questa previsione non è estensibile, in via analogica, al procedimento di riesame di una misura cautelare, disciplinato dall’art. 309 c.p.p., con cui viene richiesto al tribunale di rivalutare la sussistenza dei presupposti giustificativi della privazione della libertà personale. Ipotesi concreta. Infine, l’obbligo per il giudice di disporre gli accertamenti medici del caso sussiste soltanto in presenza di un apprezzabile fumus , su cui fondare un’ipotesi di incompatibilità dello stato di salute con la detenzione in carcere o una situazione patologica tale da non consentire nel carcere delle adeguate cure, ma questo, nel caso di specie, non risultava. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 – 15 aprile 2014, n. 16370 Presidente Petti – Relatore Carrelli Palombi di Montrone Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 8/11/2013 il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Perugia disponeva l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, tra gli altri, nei confronti di S.A. , S.L. e V.M. in ordine ai reati di rapina aggravata, resistenza a pubblico ufficiale e ricettazione. 1.1. Avverso tale provvedimento proponevano istanza di riesame gli indagati V.M. , S.A. e S.L. , contestando la sussistenza delle esigenze cautelari meritevoli di tutela attraverso la misura della custodia in carcere. 1.2. Il Tribunale di Perugia, sezione del riesame, con ordinanza del 25/11/2013, respingeva le istanze proposte, confermando l'ordinanza impugnata. 2. Ricorrevano per Cassazione gli indagati V.M. , S.A. e S.L. , sollevando i seguenti motivi di gravame V.M. . 2.1. violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b cod. proc. pen., in relazione agli artt. 275 commi 4 bis, 4 ter e 4 quinquies cod. proc. pen Si duole, al riguardo, del dubbio espresso nel provvedimento impugnato in ordine all'effettiva sussistenza delle patologie risultanti dalla documentazione prodotta dall'Amministrazione penitenziaria che attestavano l'incompatibilità delle condizioni di salute dell'indagato con la detenzione in carcere, non essendo stato disposto alcun accertamento ed essendo stata rigettata la sostituzione della misura della custodia in carcere con quella custodiale presso una struttura ospedaliera dotata di unità specializzate in malattie infettive. 2.2. contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. e cod. proc. pen., con riferimento al diniego della sostituzione della misura imposta con quella degli arresti domiciliari sia pure in presenza della ritenuta necessità di disporre accertamenti clinici onde verificare la natura e l'entità delle patologia di cui era affetto l'indagato. S.A. . 2.3. violazione di legge nonché mancanza di motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b ed e cod. proc. pen., in relazione agli artt. 275 comma 4 bis e ter, 299 comma 4 ter cod. proc. pen. Si duole, al riguardo, che il Tribunale di Perugia, pur avendo dato atto delle precarie condizioni di salute della S. ed in particolare dell'infezione HIV da cui risulta affetta, non ha ritenuto di disporre immediati accertamenti medici e non abbia reso alcuna motivazione in ordine alla possibilità che l'indagata riceva durante la detenzione cure appropriate in relazione alla patologia di cui è affetta. 2.4. violazione di legge e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b ed e cod. proc. pen., in relazione all'art. 275 commi 1, 2 e 3 cod. proc. pen. Si duole in particolare della ritenuta adeguatezza della sola misura della custodia in carcere a fronte dell'incensuratezza dell'indagata e della mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta inidoneità degli arresti domiciliari a prevenire il pericolo di reiterazione di condotte criminose. S.L. . 2.6. violazione di legge e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b ed e cod. proc. pen., in relazione all'art. 275 commi 1, 2 e 3 cod. proc. pen Si duole in particolare della ritenuta adeguatezza della sola misura della custodia in carcere a fronte dell'incensuratezza dell'indagata e della mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta inidoneità degli arresti domiciliari a prevenire il pericolo di reiterazione di condotte criminose. Considerato in diritto 3. I ricorsi sono manifestamente infondato e devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati in sede di riesame o di appe riesame dei provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l'orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l'ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, ivi compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l'applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, la cui presenza rende l'atto incensurabile in sede di legittimità 1 - l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato 2 - l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli, Rv. 201840 sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760 . Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Barbaro, Rv. 210566 . Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l'avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell'impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell'essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell'udienza tenutasi a norma dell'art. 309, comma 8, cod. proc. pen. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003, Marchese, Rv 227110 . Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue. 3.1. Quanto al ricorso proposto da V.M. , rileva il Collegio che il Tribunale, chiamato a giudicare sull'istanza di riesame della ordinanza applicativa della misura cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti del suddetto V. , ha, ragionevolmente, fatto proprio il percorso argomentativo seguito dal Giudice nel disporre la misura custodiale in ragione dell'estrema pericolosità del prevenuto quale emergente dalla particolare gravità del fatto e dalla personalità dell'indagato, come analiticamente evidenziato nel provvedimento impugnato. Il Tribunale, inoltre, si è adeguatamente confrontato con la documentazione risultante agli atti in forza della quale era stata evidenziata, dopo l'udienza di convalida dell'arresto, una situazione di incompatibilità fra il regime carcerario e le condizioni di salute del prevenuto segnatamente, alla luce di circostanze di fatto non censurabili in questa sede, hanno, ragionevolmente, ritenuto i giudici di Perugia che il V. , nonostante le sue condizioni di salute quali attestate dalla documentazione presente in atti, era stato in grado di commettere reati di notevole gravità ed allarme sociale, come analiticamente descritto nel provvedimento impugnato ciò ha, comprensibilmente, indotto i giudici del riesame a dubitare della veridicità della documentazione medica versata in atti ed in particolare dell'effettiva sussistenza delle patologie invocate dall'indagato, quanto meno nelle gravissime forme in cui vengono rappresentate all'atto di ottenere, nell'ambito di altri procedimenti, l'applicazione di misure cautelari meno afflittive. Quanto al secondo motivo proposto, la doglianza sollevata si rivela infondata alla luce della considerazione sopra esposta che non si verteva in tema di appello cautelare, non essendo stata impugnata un'ordinanza di revoca o sostituzione della misura cautelare, avendo invece il Tribunale condiviso le valutazioni espresse dal Giudice in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari meritevoli di tutela attraverso la misura della custodia in carcere. E deve ritenersi, al riguardo, che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la previsione di cui all'art. 299 comma 4 quater in tema di accertamenti medici sulle condizioni di salute dell'indagato attiene esclusivamente alla procedura della revoca o sostituzione della misura cautelare disciplinata nell'art. 299 citato e quindi valutazione in sede di gravame attraverso il cosiddetto appello cautelare essa, invece, non risulta estensibile in via analogica al procedimento di riesame di una misura cautelare disciplinato dall'art. 309 cod. proc. pen. con il quale viene richiesto al Tribunale di rivalutare, nell'ambito dei termini perentori stabiliti dalla legge per la presentazione dell'istanza, per la trasmissione degli atti da parte dell'ufficio procedente, per la fissazione dell'udienza e per il deposito del provvedimento previsti a pena di perdita di efficacia della misura cautelare, la sussistenza dei presupposti giustificativi della privazione della libertà personale. 3.2. Passando al ricorso proposto da S.A. , il primo motivo proposto risulta infondato, in quanto il Tribunale, sulla base di una circostanza di fatto non contestata e non censurabile in questa sede, rilevata l'inesistenza di un quadro clinico di AIDS conclamato e/o di una situazione di incompatibilità fra il regime carcerario e le condizioni di salute dell'indagata, ha, legittimamente, escluso l'applicabilità al caso di specie della previsione contenuta nell'art. 299 comma 4 ter cod. proc. pen Difatti occorre, al riguardo, rilevare che dalla lettura del provvedimento impugnato non sussisteva, nel caso di specie, alcun divieto di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 275 comma 4 bis cod. proc. pen. nei confronti della S.A. per l'insussistenza di quelle condizioni di salute espressamente indicate nella norma ora citata che comportano il divieto della misura custodiale in secondo luogo non sussisteva alcun obbligo per il giudice di disporre accertamenti medici onde verificare la compatibilità fra il regime carcerario applicato all'indagata e le patologie delle quali la stessa risultava affetta. Segnatamente, sulla base della giurisprudenza di questa Corte condivisa dal Collegio sez. 1 n. 12698 del 14/2/2008, Rv. 239374 sez. 2 n. 8462 del 14/2/2013, Rv. 255236 , e prescindendo dal fatto che, come per il V. , non si verteva in tema di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere ai sensi dell'art. 299 cod. proc. pen., l'obbligo per il giudice di disporre gli accertamenti medici del caso sussiste soltanto in presenza di un apprezzabile fumus sul quale fondare un'ipotesi di incompatibilità dello stato di salute con la detenzione in carcere o una situazione patologica tale da non consentire nel carcere adeguate cure, il che nel caso di specie non è risultato in alcun modo. Con riferimento al secondo di ricorso attinente alle esigenze cautelari, ritenute meritevoli di tutela attraverso la misura della custodia in carcere ed al giudizio di adeguatezza della misura custodiale si è fatto, ragionevolmente, riferimento ad una serie di indici sintomatici che qualificano come particolarmente grave la condotta ascritta alla ricorrente, quali l'esame del fatto reato e le sue modalità esecutive nonché la capacità criminale della ricorrente ed il procedimento pendente a carico della stessa per ricettazione e procurata evasione. Dalla lettura congiunta di tutti questi elementi, legittimamente, il Tribunale ha dedotto l'esistenza di una spiccata attitudine a delinquere della prevenuta che imponeva l'adozione della misura custodiale, stante l'assoluta inadeguatezza di altra misura meno afflittiva a prevenire il rischio di reiterazione di condotte criminose e ciò nonostante l'incensuratezza della stessa. E sul punto ritiene il Collegio, sulla base del consolidato indirizzo giurisprudenziale espresso da questa Corte di legittimità sez. 6 n. 12404 del 17/2/2005, Rv. 231323 sez. 4 n. 34271 del 3/7/2007, Rv. 237240 sez. 1 n. 8534 del 9/1/2013, Rv. 254928 , che in tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio sulla pericolosità sociale dell'imputato, oltre che sulla gravità del fatto. 3.3. Le argomentazioni ora riportate, in forza delle quali si è ritenuto infondato il secondo motivo di ricorso proposto da S.A. , valgono anche per giungere alla medesima conclusione in ordine all'unica doglianza sollevata da S.L. , che, peraltro, non risulta incensurata avendo già riportato una condanna per delitti contro il patrimonio. Anche in questo caso viene, ragionevolmente, evidenziato il ruolo ricoperto dalla ricorrente nel grave fatto delittuoso nella preparazione ed esecuzione del reato. 4. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento nonché al pagamento in favore della cassa delle ammenda della somma di Euro 1.000,00 ciascuno. 4.1. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà dei ricorrenti, deve disporsi - ai sensi dell'articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che copia della stessa sia trasmessa ai direttori degli istituti penitenziari in cui gli indagati si trovano ristretti, perché provvedano a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94. P.Q.M. Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00. Si provveda a norma dell'articolo 94, comma 1 ter , delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.