Formazione fittizia di capitale da parte dei dirigenti: quando si configura anche la responsabilità amministrativa della società?

La responsabilità della persona giuridica non è affatto esclusa laddove l’ente abbia avuto un interesse concorrente a quello dell’agente o degli agenti che, in posizione qualificata nella sua organizzazione, abbiano commesso il reato presupposto.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 16359 del 15 aprile 2014. Il caso. Il GIP di Bologna aveva disposto, con decreto, il sequestro preventivo per equivalente di somme di denaro, titoli e valori, immobili ed altre utilità, fino alla cifra di circa 200 milioni di euro nella disponibilità della società U.L. in ragione di una prospettata responsabilità amministrativa della stessa, derivante dalla commissione – da parte di diversi soggetti con incarichi dirigenziali nell’alveo della medesima compagine societaria – del reato di formazione fittizia di capitale ex art. 2632 c.c In particolare, secondo la ricostruzione degli inquirenti, gli indagati avrebbero aumentato fittiziamente il capitale sociale della U.L., incrementato fraudolentemente del 78,63% del valore conferito, pari appunto a circa 200 milioni di euro, mediante la rilevante sopravvalutazione della partecipazione ad altra società e l’attribuzione gratuita di una nuova azione ogni dieci possedute, attraverso il passaggio a capitale della riserva sovrapprezzo azioni, fraudolentemente formata mediante l’anzidetta rilevante sopravvalutazione. Il Tribunale di Bologna, in accoglimento della istanza di riesame, annullò il decreto di sequestro del GIP ritenendo che, nonostante sussistessero gravi indizi di colpevolezza in capo agli indagati per i reati ad essi contestati, doveva comunque escludersi la configurabilità di una responsabilità amministrativa della U.L. in quanto il delitto di formazione fittizia di capitale doveva considerarsi commesso nell’esclusivo interesse degli indagati e non anche della società, la quale non aveva neppure conseguito alcun profitto dalla operazione finanziaria oggetto di contestazione penale. Avverso tale ordinanza ricorreva per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Bologna. La Sesta Sezione della Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, annullava con rinvio l’ordinanza impugnata, sulla scorta di una duplice motivazione la prima afferente la responsabilità della persona giuridica che, secondo i Supremi Giudici, non andava sic et simpliciter esclusa la seconda relativa al dissequestro disposto dal Tribunale, in quanto la misura cautelare reale andava comunque mantenuta, qualificando la somma sequestrata quale profitto del reato, e ciò indipendentemente dalla responsabilità della società. Il Tribunale del Riesame, decidendo in sede di rinvio, confermava il decreto di sequestro preventivo illo tempore emesso dal GIP. Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il curatore del fallimento della società U.L., deducendo plurimi motivi di gravame afferenti la violazione degli artt. 19, 25 ter, 53 l. 231/2001, 2740 e 2741 c.c., 168 l. fall. e, infine, dell’art. 627 c.p.p. I limiti del giudizio cautelare di rinvio. La Seconda Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha avuto modo di chiarire due diversi principi, afferenti sia l’aspetto sostanziale che quello processuale della vicenda de qua . Sotto quest’ultimo profilo, la Corte ha statuito come, secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai pacifico, nel giudizio cautelare di rinvio possono essere introdotti elementi sopravvenuti, sia a carico che a discarico dell’indagato, purché si rispetti il limite del contraddittorio e si rimanga entro i limiti segnati dalla pronuncia di annullamento. In altri termini, il Giudice del rinvio è vincolato al principio di diritto statuito dalla Cassazione ed è limitato all’esame del punto della prima decisione attinto dall’annullamento, con divieto di estendere l’indagine a vizi non riscontrati dalla Corte Regolatrice, fatta però salva la sopravvenienza di nuovi elementi di fatto, sempre valutabili nel giudizio allo stato degli atti. Donde, le doglianze difensive avanzate dal ricorrente sulla scorta di elementi di fatto completamente nuovi vanno necessariamente rigettate, poiché la relativa valutazione implicherebbe un giudizio di merito non consentito in questa sede. La responsabilità amministrativa della persona giuridica . I Supremi Giudici hanno statuito che – per come già affermato dalla Sesta Sezione durante il primo giudizio di legittimità – era risultato come quell’incremento di capitale, benché fittizio, era stato realizzato nell’interesse o a vantaggio della U.L. poiché dallo stesso era conseguito un aumento dell’affidabilità della medesima compagine sociale nei confronti dei terzi ed una sensibile moltiplicazione del valore delle azioni della società quotata in borsa. Pertanto, l’operazione finanziaria incriminata aveva consentito di raccogliere più facilmente ulteriori capitali, di accrescere la capacità di acquisire credito presso le banche e di monetizzare più facilmente parte del valore della società. Donde l’aumento fittizio di capitale costituì una operazione effettuata nell’interesse della società, di cui questa si avvantaggiò e, pertanto, il profitto che ne ricavò è confiscabile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 marzo – 15 aprile 2014, n. 16359 Presidente Esposito – Relatore Rago Fatto 1. Con l'ordinanza del 23/06/2012, il Tribunale di Bologna, adito ai sensi degli artt. 322 e 324 c.p.p., in accoglimento dell'istanza di riesame presentata nell'interesse della Uni Land s.p.a., annullò il decreto del 04/05/2012, integrato con provvedimento del 18/05/2012, con il quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente di somme di denaro, titoli e valori, beni mobili, immobili ed altre utilità, fino alla corrispondenza di Euro 199.718.038,00, nella disponibilità della società Uni Land ovvero di una serie di società interamente controllate dalla prima decreto adottato ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19, 25 ter e 53, in ragione della prospettata responsabilità amministrativa della Uni Land di cui al capo F bis dell'imputazione, derivante dalla commissione, da parte di M.A. e di altri soggetti con incarichi dirigenziali nella Uni Land, del reato di formazione fittizia di capitale, di cui all'art. 2632 c.c. capo F dell'imputazione , per avere, tra il 28/02/2006 ed il 11/07/2009, aumentato fittiziamente il capitale sociale della Uni Land, incrementato fraudolentemente del 78,63% del valore conferito, pari ad Euro 199.718.038, mediante la rilevante sopravvalutazione della partecipazione in Cem s.p.a., conferita in Uni Land il 28/02/2006 partecipazione già appartenente alla Cem Lux, ad M.A. ed altri e l'attribuzione gratuita di una nuova azione ogni dieci possedute, attraverso il passaggio a capitale della riserva sovrapprezzo azioni, fraudolentemente formata con l'anzidetta rilevante sopravvalutazione. Rilevò, infatti, il Tribunale come, pur sussistendo i gravi indizi di colpevolezza a carico del M. e degli altri indagati ai quali era stato addebitato il reato presupposto, dovesse escludersi la configurabilità di una responsabilità amministrativa della Uni Land in quanto il delitto di formazione fittizia di capitale doveva considerarsi commesso nell'esclusivo interesse dello stesso M. e degli altri indagati, e non anche nell'interesse della Uni Land, la quale non aveva neppure conseguito alcun profitto dalla operazione decettiva oggetto di contestazione situazione, dunque, che, a mente dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. cit., esclude la punibilità della relativa persona giuridica, cui gli indagati persone fisiche appartenevano con funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione. 2. La suddetta ordinanza, su ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, fu annullata dalla sesta sezione penale di questa Corte di legittimità con la sentenza n. 24557/2013 per due alternativi ordini di ragioni. Sotto un primo profilo, questa Corte osservò che la responsabilità della persona giuridica non è affatto esclusa laddove l'ente abbia avuto un interesse concorrente a quello dell'agente o degli agenti che, in posizione qualificata nella sua organizzazione, abbiano commesso il reato presupposto. Sotto questo punto di vista, se è ragionevole ritenere, sulla base della motivazione dell'ordinanza gravata, che il Mezz'mi ed i suoi odierni coindagati abbiano avuto di mira il conseguimento di benefici personali consistenti nell'artificiosa sopravvalutazione del conferimento operato dai soci facenti capo alla Cem ed alla conseguente acquisizione di un numero di azioni molto superiore a quella che sarebbe loro spettato , appare frutto di un'erronea applicazione della norma in esame l'aver affermato che l'accertato fittizio aumento del capitale sociale non fosse stato realizzato anche nell'interesse ovvero in vantaggio della medesima Uni Land ciò tenuto conto, in generale, che non è corretto far coincidere l'interesse oggettivo con le soggettive intenzioni e rappresentazioni dell'agente o degli agenti, poiché quel requisito finirebbe per essere ingiustificatamente identificato con il dolo specifico che riguarda la sfera soggettiva dell'autore o degli autori del reato presupposto, e non l'ente e, in particolare, che dagli elementi di prova acquisiti - già evidenziati nel decreto genetico della misura cautelare reale e pure analiticamente richiamati nel ricorso oggi portato all'attenzione di questo Collegio - era risultato che quell'incremento di capitale aveva determinato un aumento dell'affidabilità della medesima compagine sociale nei confronti dei terzi operatori economici, nuovi investitori, clienti e fornitori, istituti di credito aventi rapporti con la Uni Land assolvendo il capitale sociale, come riconosciuto dalla difesa della ricorrente nella memoria del 12/04/2013, anche una funzione supplementare di garanzia per i terzi ed una sensibile moltiplicazione del valore delle azioni della società quotata in borsa, anche in conseguenza della successiva diffusione di comunicati in ordine all'avvenuta capitalizzazione” . Sotto un secondo profilo, questa Corte rilevò che nella motivazione dell'ordinanza gravata risulta sussistere anche una ulteriore manifesta violazione di legge, per avere il Tribunale del riesame annullato il decreto applicativo della misura del sequestro preventivo ed ordinato, conseguentemente, la restituzione di quanto già sottoposto a vincolo, senza in alcun modo considerare che quella misura cautelare reale era stata disposta dal Giudice per le indagini preliminari anche perché i falsi valori patrimoniali, che avevano incrementato il patrimonio della Uni Land per un importo pari ad Euro 199.718.038, dovevano essere qualificati come profitto del reato di formazione fittizia del capitale, tratto dalla stessa società v. pag. 55 del decreto 04/05/2012 e pag. 4 del provvedimento, integrativo del primo, del 18/05/2012 profitto, come tale, sempre confiscabile a mente dell'art. 6 comma 5 d.lgs. n. 231 del 2001, anche laddove dovesse essere esclusa la responsabilità amministrativa dell'ente. Al riguardo va rammentato l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità per il quale, in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto del reato prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 9 e 19, si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell'ente, e si differenzia da quella configurata dall'art. 6, comma 5, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato del reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente Sez. U., n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv. 239925 ”. 3. Il Tribunale di Bologna, decidendo in sede di rinvio, con ordinanza del 20/07/2013, confermò il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari in data 04/05/2012. 4. Avverso la suddetta ordinanza, il curatore del fallimento Uniland spa, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi 4.1. violazione dell'art. 25 ter dlgs 231/2001 il ricorrente, in punto di fatto, ha rappresentato, innanzitutto, un elemento nuovo intervenuto dopo la sentenza di annullamento. Infatti, a seguito dell'apertura della procedura di concordato preventivo, il Pubblico Ministero, all'udienza preliminare del 03/06/2013, aveva proceduto alla modifica dell'imputazione di cui al capo F art. 2632 cod. civ. in quella di cui al combinato disposto degli artt. 236/2 - 223/2 n. 1 in relazione all'art. 2632 cod. civ., legge fall. Partendo da questo dato di fatto, il ricorrente ha, quindi, eccepito che non era più possibile mantenere il sequestro ex artt. 19-53 dlgs 231/2001 in quanto il reato di bancarotta fraudolenta non rientrava nel catalogo dei reati presupposto per i quali, ex artt. 24 ss dlgs cit. è configurabile la responsabilità amministrativa della persona giuridica. Il ricorrente ha confutato la motivazione con la quale il Tribunale aveva disatteso la medesima doglianza, rilevando che a violava la norma di cui all'art. 8 dlgs atteso che la fattispecie in esame non è in esso sussumibile b violava il principio di legalità di cui all'art. 2 del dlgs cit. in quanto non essendo più configurabile il reato di cui all'art. 2632 cod. civ. ma solo quello di bancarotta, nel quale era rimasto assorbito, la società veniva ugualmente ritenuta responsabile per un fatto che non rientrava fra i reati - elencati nella sez. II del capo I del dlgs cit. - per i quali era espressamente prevista la sua responsabilità c si poneva in contrasto con il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 41488/2009 riv 245001, aveva stabilito che Qualora il reato commesso nell'interesse o a vantaggio di un ente non rientri tra quelli che fondano la responsabilità ex D.Lgs. n. 231 del 2001 di quest'ultimo, ma la relativa fattispecie ne contenga o assorba altra che invece è inserita nei cataloghi dei reati presupposto della stessa, non è possibile procedere alla scomposizione del reato complesso o di quello assorbente al fine di configurare la responsabilità della persona giuridica. Fattispecie relativa all'annullamento del provvedimento di sequestro preventivo a fini di confisca del profitto del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato contestato ad una società in seguito alla sua enucleazione da quello di frode fiscale contestato invece agli amministratori della medesima ” . All'odierna udienza di discussione i difensori hanno rappresentato che il Tribunale di Bologna ha, successivamente, dichiarato il fallimento della Uniland s.p.a 4.2. violazione degù artt. 19 - 53 dlgs cit. il ricorrente, dopo aver premesso, in punto di fatto, che il profitto confiscabile era stato individuato e quantificato dal giudice per le indagini preliminari nella somma di Euro 199.718.038,00 corrispondente all'incremento fittizio del patrimonio netto , ha rilevato che la suddetta decisione - confermata dal tribunale - si poneva in contrasto con quanto stabilito dalle SSUU le quali, con la sentenza n. 26654/2008, Impregilo, stabilirono che il profitto può essere confiscabile solo ove presenti i requisiti di a patrimonialità in senso materiale cioè in quanto suscettibile di una concreta valutazione economica sia nell'an che nel quantum nella sfera economica dell'ente con esclusione di ogni componente probabilistica b una connessione causale diretta fra la condotta costituita dal reato presupposto e l'evento ossia utile di cui l'ente aveva beneficiato . Il ricorrente, alla stregua delle suddette premesse di fatto e di diritto, ha, quindi, sostenuto che nel caso in esame, invero, l'aumento del capitale sociale - proprio in quanto fittizio id est non reale, immateriale - appare ex se insuscettibile di identificarsi come profitto se, infatti, da un lato, può dirsi verificato un ingresso patrimoniale un income contabilizzato - peraltro come voce di debito nel passivo dello stato patrimoniale - dall'altro, invece, va considerato lo stesso come tipicamente fittizio o, se si vuole, come tipicamente non profitto [ ] l'eventuale vendita delle azioni emesse in conseguenza dell'aumento do capitale potrebbe sì rientrare nel novero delle operazioni rilevanti ai fini di un profitto confiscabile, ma solo nell'ipotesi di azioni proprie della società, non anche - come risulterebbe nel caso di specie - quando la titolarità delle azioni di nuova emissione sia riferibile ai singoli soci che ne hanno tratto profitto negoziandole in quest'ultimo caso, infatti, se profitto vi è stato ad es. plusvalenza sarà profitto conseguito dalla persona fisica non certo dall'ente” 4.3. violazione degli artt. 2740-2741 cod. civ. il ricorrente sostiene che il tribunale, nel confermare il sequestro, e nel non tener conto della sopravvenuta procedura concorsuale, aveva ignorato le esigenze di tutela dei creditori sanzionandoli, pur essendo estranei al reato e alla conseguente responsabilità. Ad avviso del ricorrente infatti, anche i poteri di autotutela dello Stato e delle pubbliche amministrazioni si arrestano di fronte al principio per il quale il patrimonio del debitore costituisce la garanzia patrimoniale di tutti i creditori” perché, se così non fosse, si determinerebbe una violazione dell'art. 24 Cost. perché priverebbe i creditori concorrenti del diritto di agire. Il ricorrente, alla stregua di una puntigliosa analisi della giurisprudenza di legittimità in tema di rapporti fra confisca penale e diritti di terzi, afferma, quindi, che la confisca prevista dall'art. 19 dlgs 231/2001, non può ledere la garanzia patrimoniale e i diritti dei creditori. La pretesa punitiva dello Stato deve tener conto dei crediti nei confronti dell'ente colpito dalla misura ablativa. La prevalenza dell'una o degli altri dipende da un giudizio di fatto sulla buona fede o sull'affidamento incolpevole dei creditori e dei terzi la sanzione penale prevale soltanto se i diritti di questi sono uno strumento per consentire all'ente colpito dalla misura afflittiva di riappropriarsi del profitto illecito”. Peraltro, il tribunale non aveva considerato che, in materia, non vi erano ragioni per derogare alla regola generale secondo la quale la mancanza di buona fede costituisce un fatto impeditivo che dev'essere dedotto dal curatore del fallimento o dagli altri creditori ovvero rilevata d'ufficio, sicché, in caso contrario, non era ammissibile che le legittime pretese creditorie siano tutte sacrificate alla pretesa punitiva dello Stato, pretesa priva di qualsivoglia causa di prelazione e destinata ad essere soddisfatta solo sull'eventuale residuo. Di conseguenza, poiché il Tribunale non aveva motivato su questo punto, l'ordinanza, ad avviso del ricorrente, dovrebbe essere annullata. 4.4. violazione dell'art. 168 legge fall. sotto altro profilo, il ricorrente osserva che il tribunale non avrebbe neppure considerato i rapporti tra la cautela disposta dall'art. 53 dlgs 231/2001 con i vincoli conseguenti all'ammissione al concordato preventivo. Infatti, se è vero che il sequestro preventivo previsto dall'art. 53 dlgs cit., al pari di tutti i sequestri per equivalente, è diretto ad evitare la dispersione del patrimonio dell'imputato o del responsabile, in funzione dell'applicazione della confisca, è anche vero che l'ammissione al concordato preventivo determina una serie di effetti giuridici a seguito del quale l'imprenditore viene spossessato - seppure in maniera attenuata - del patrimonio, sicché le esigenze cautelari di conservazione del patrimonio sociale sono comunque tutelate, salvo prova contraria che, però, non emerge da alcun accertamento di fatto da parte del Tribunale. 4.5. violazione dell'art. 627 cod. proc. pen. il ricorrente, dopo aver precisato che la sentenza di annullamento alla quale il Tribunale era tenuto ad uniformarsi aveva stabilito che il profitto è sempre confiscabile a mente dell'art. 6/5 dlgs n. 231 del 2001, anche laddove dovesse essere esclusa la responsabilità amministrativa dell'ente” , ha rilevato, anche alla stregua di quanto statuito dalle SSUU, Fisia Italimpianti, che il sequestro per equivalente può orientarsi, per invincibile volontà del legislatore solo alla confisca sanzione per fatto colpevole art. 19 non già alla confisca misura di sicurezza per fatto incolpevole art. 6/5 riferibili alla persona giuridica. Ne consegue che il sequestro disposto ai sensi dell'art. 6/5 e non ai sensi del successivo art. 19, secondo la vincolante pronuncia del giudice di legittimità, è illegittimo ed avrebbe dovuto essere revocato” . 5. All'odierna udienza i difensori hanno depositato memoria difensiva con la quale, oltre che ribadire quanto già dedotto, anche eccepito la prescrizione dei reati. Diritto 1. In punto di diritto, va preliminarmente rammentato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nel giudizio cautelare di rinvio possono essere introdotti elementi sopravvenuti, tanto favorevoli quanto sfavorevoli all'imputato, purché nel rispetto del contraddittorio ed entro i limiti segnati dalla pronuncia di annullamento ex plurimis Cass. 15757/2011 Rv. 249939. In particolare, è stato precisato che anche in materia di misure cautelari, invero, sono applicabili le regole del giudicato, seppure con la limitazione della valenza allo stato degli atti, e, quindi, del giudicato progressivo che ne rappresenta un peculiare aspetto scaturente proprio, e sicuramente, a seguito della decisione di rinvio dal parte della Corte di legittimità nel senso che ogni questione, anche se attinente all'esistenza del fatto di reato, e persino alla sopravvenienza di evento estintivo - seppure con le dovute limitazioni - rimane ininfluente al di là del perimetro d'indagine devoluta cfr., sul giudicato progressivo Sez. un., 9 ottobre 1996, Vitale, CED n. 206170 . Conclusivamente, può affermarsi il principio secondo il quale in materia di riesame delle misure di cautela personale, il giudice del rinvio, ex art. 627 c.p.p., è vincolato, similmente al giudice del processo di merito, al principio di diritto affermato dalla Cassazione ed è limitato, nell'indagine di merito devoluta, all'esame del punto della prima decisione attinto dall'annullamento, con divieto di estendere l'indagine a vizi di nullità o inammissibilità non riscontrati dalla Corte di legittimità salva, nella specifica materia, la sopravvenienza di nuovi elementi di fatto, sempre valutabili nel giudizio allo stato degli atti” Cass. 1733/2000 Rv. 216480. Tale precisazione si rende necessaria perché i ricorrenti, nel giudizio di rinvio, hanno fatto valere diversi sopravvenuti elementi di fatto prima l'ammissione della società al concordato preventivo poi, in sede di udienza, la sopravvenuta dichiarazione di fallimento e, con la memoria difensiva, anche una pretesa prescrizione dei reati presupposto che non solo ha determinato il mutamento del capo d'imputazione supra p. 4.1. , ma che implica anche una nuova, completa ed autonoma valutazione nel merito di tutta la vicenda processuale, come, d'altra parte, ammette la stessa ricorrente che, non a caso, proprio sulla scia della giurisprudenza di questa Corte in ordine ai rapporti fra sequestro penale e procedura concorsuale, rileva che la pretesa punitiva dello Stato deve tener conto dei crediti nei confronti dell'ente colpito dalla misura ablativa. La prevalenza dell'una o degli altri dipende da un giudizio di fatto sulla buona fede o sull'affidamento incolpevole dei creditori o dei terzi la sanzione penale prevale soltanto se i diritti di questi sono uno strumento per consentire all'ente colpito dalla misura afflittiva di riappropriarsi del profitto illecito ” pag. 36 ricorso . Questa Corte, pertanto, ritiene che, essendo stati dedotti elementi di fatto completamente nuovi la cui valutazione implica un giudizio di merito non consentito in questa sede, le suddette questioni devono essere fatte valere, nel pieno contraddittorio delle parti, con una separata istanza di revoca ex art. 321/3 cod. proc. pen. tanto vale sia per le censure illustrate supra ai pp. 4.1. - 4.3. - 4.4., sia per l'eccezione di prescrizione dedotta con la memoria depositata in udienza. Sul punto, è ulteriormente opportuno precisare che, sebbene la censura di cui al p. 4.1., sia, in realtà, di stretto diritto, è tuttavia strettamente connessa con quelle di stretto merito dedotte ai pp. 4.3. - 4.4., nonché con la preliminare e, di per sé, assorbente, eccezione di prescrizione di conseguenza, poiché con la doglianza di cui al p. 4.1. è stato dedotto, pur sempre, un fatto sopravvenuto ammissione alla procedura di concordato preventivo e, successivamente, dichiarazione di fallimento da valutare, unitariamente alle altre suddette connesse questioni di fatto, ai fini della decisione sulla revoca del sequestro, è opportuno che anche la suddetta questione sia riproposta con una eventuale istanza di revoca nel cui procedimento, di conseguenza, la decisione assunta dal tribunale, sul punto, non farà stato né potrà essere opposta, in quanto, già in sede di rinvio, il Tribunale avrebbe potuto declinare la propria competenza a decidere in considerazione degli stretti limiti decisori del giudizio di rinvio. Tanto premesso, non resta che l'esame delle doglianze dedotte ai pp. 4.2. e 4.5. 2. violazione degli ARTT. 19 - 53 dlgs 231/2001 la censura è infondata. Come si è già detto, questa Corte, con la sentenza di annullamento, aveva evidenziato in punto, di fatto, che era risultato che quell'incremento di capitale aveva determinato un aumento dell'affidabilità della medesima compagine sociale nei confronti dei terzi operatori economici, nuovi investitori, clienti e fornitori, istituti di credito aventi rapporti con la Uni Land assolvendo il capitale sociale, come riconosciuto dalla difesa della ricorrente nella memoria del 12/04/2013, anche una funzione supplementare di garanzia per i terzi ed una sensibile moltiplicazione del valore delle azioni della società quotata in borsa, anche in conseguenza della successiva diffusione di comunicati in ordine all'avvenuta capitalizzazione” . Partendo da questo dato fattuale, la Corte, aveva concluso, in punto di diritto, che la responsabilità della persona giuridica non poteva essere affatto esclusa avendo la società avuto un interesse concreto a quello dell'agente che, in posizione qualificata nell'organizzazione, avevano commesso il reato presupposto. Il tribunale, in sede di rinvio pag. 14 ss dell'ordinanza impugnata , uniformandosi al dictum di questa Corte, ha ribadito che l'accertato incremento del capitale sociale, benché fittizio, sia stato realizzato anche nell'interesse ovvero a vantaggio della Uni Land spa poiché, da quell'incremento, era conseguito un aumento di affidabilità della medesima società nei confronti dei terzi ed una moltiplicazione del valore delle azioni, anche in conseguenza della diffusione di comunicati in ordine all'avvenuta capitalizzazione ”. Il tribunale, quindi, dopo aver individuato il vantaggio conseguito dalla società, ha ritenuto il profitto confiscabile ex art. 19 dlgs 231/2001 in Euro 199.718.038,00, ed ha ribattuto alla tesi difensiva secondo la quale l'aumento fittizio del capitale aveva rappresentato un'operazione contraria all'interesse sociale osservando che il valore sovrastimato ed iscritto a bilancio della partecipazione CEM spa comportò per la Uniland spa un vantaggio perché le consentì di raccogliere più facilmente ulteriori capitali, di accrescere la capacità di acquisire credito presso il sistema bancario, di migliorare la sua affidabilità nei confronti di clienti e fornitori e di monetizzare più facilmente parte del valore della società” . In questa sede, la ricorrente, con la censura di cui al p. 4.2., non ha fatto altro che ribadire la propria tesi e cioè che l'aumento di capitale non aveva rappresentato per la Uniland un profitto. Al che deve replicarsi che si tratta di censura meramente reiterativa disattesa nell'ordinanza impugnata con motivazione logica e coerente con gli evidenziati elementi fattuali e, quindi, incensurabile in questa sede di legittimità, tanto più ove si consideri che il tribunale non ha fatto altro che adeguarsi, proprio in punto di fatto, al dictum contenuto nella sentenza di annullamento di questa Corte. Va, quindi, confermato che l'aumento fittizio di capitale costituì un'operazione effettuata nell'interesse della società, di cui questa si avvantaggiò e che, pertanto, il profitto che ne ricavò è confiscabile. 3. violazione dell'art. 627 cod. proc. pen. la doglianza, nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata. Il sequestro è stato disposto ex art. 19 e non ex art. 6 dlgs cit., come risulta, a chiare lettere dall'ordinanza impugnata pag. 17 nonché dalla stessa sentenza di annullamento di questa Corte la quale non aveva affatto affermato che la confisca doveva essere disposta ex art. 6, essendosi solo limitata ad osservare che, ove non fosse stata possibile la confisca del profitto a norma dell'art. 19 dlgs cit., il profitto, come tale, era sempre confiscabile a mente dell'art. 6 comma 5 d.lgs. n. 231 del 2001, anche laddove dovesse essere esclusa la responsabilità amministrativa dell'ente ” il che, per quanto ampiamente detto, non è nel caso di specie. 4. In conclusione, il ricorso dev'essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA il ricorso e CONDANNA la ricorrente al pagamento delle spese processuali.