Ad ogni fase processuale la sua funzione: improponibili in appello le questioni relative all’imposizione del vincolo

Nel giudizio di appello proposto contro un sequestro preventivo, possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell’imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura, mentre il riscontro del fumus delicti è riservato alla fase del riesame. Ne consegue l’inammissibilità del gravame che deduca per la prima volta in sede di appello motivi inerenti unicamente alla carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni previste dall’art. 321 c.p.p.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 16431 del 15 aprile 2014. La fattispecie. Un uomo proponeva appello avverso l’ordinanza con cui il gip del Tribunale di Foggia aveva respinto la richiesta di dissequestro/riduzione dell’oggetto di sequestro preventivo per equivalente disposto in relazione al reato di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000 Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte . I Giudici annullavano l’ordinanza impugnata limitatamente ai beni di due s.r.l. Il ricorso del pm beni non confiscabili se l’intestazione è fraudolenta. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dauno presenta ricorso per essere stati i beni di proprietà delle suddette società ritenuti non confiscabili nonostante l’intestazione fosse fraudolenta Il ricorso dell’imputato l’assenza di riesame non inibisce la revoca. Presenta ricorso anche il difensore dell’imputato non essendovi stata richiesta di riesame contro il provvedimento genetico, nell’atto di appello era stata dedotta l’omessa motivazione del gip nell’ordinanza reiettiva del fumus commissi delicti , non inibendo l’assenza del riesame la richiesta di revoca del provvedimento genetico. Intestazione fraudolenta. Il pm adduce che nel caso in esame vi sarebbe un’intestazione fraudolenta dei beni a una s.r.l., la quale legittima il sequestro. Sulla base di questo dato, il Tribunale ha escluso l’esistenza di dati idonei a ritenere fittizia la società in questione,anche alla luce della scelta del legislatore di attribuire personalità giuridica anche ad un ente unipersonale. Tale motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile. Rapporto tra riesame ed appello. Per quanto concerne la censura dell’imputato – secondo cui qualora la richiesta di riesame non sia stata avanzata, il suo contenuto può ben ravvisarsi nell’atto di appello art. 322 -bis c.p.p. – il Tribunale reputa che l’appello cautelare non abbia alcuna funzione supplente rispetto al riesame nel giudizio di appello proposto contro un sequestro preventivo, possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell’imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura, mentre il riscontro del fumus delicti è riservato alla fase del riesame. Ne consegue l’inammissibilità del gravame che deduca per la prima volta in sede di appello motivi inerenti unicamente alla carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni previste dall’art. 321 c.p.p. Nel caso di specie, il ricorrente non ha proposto richiesta di riesame e ha chiesto il dissequestro dei beni, in contrasto con il dettato dell’art. 322 -bis c.p.p. che prevede l’appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pm fuori dai casi previsti dall’art. 322 , cioè al di fuori dei casi di riesame e, dunque, sulla base di elementi diversi e sopravvenuti rispetto a quelli del momento genetico della cautela. Si rischia di violare il principio della ragionevole durata del processo. Il fatto che il ricorrente non si sia avvalso della richiesta di riesame non può giustificare una conversione dell’appello in riesame, facendo, così, retrocedere il procedimento, in palese violazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo la non deduzione sul piano storico, infatti, non equivale, in ogni caso, a una persistente deducibilità sul piano giuridico. Si comprende che il vaglio di quanto non è stato antecedentemente dedotto deve operarsi solo quando la sua posteriore deduzione è legittima ovvero conforme con il sistema, senza incorrere nel disordine di una infungibilità che svuoti il contenuto specifico degli istituti stessi. Presunta sproporzione dei beni sequestrati. Per quanto riguarda, infine, la pretesa carenza assoluta di motivazione in ordine alla sproporzione dei beni sequestrati, se è vero che l’impugnata ordinanza ha disposto il dissequestro e la restituzione dei beni di proprietà di una s.r.l., secondo il ricorrente ciò non invalida in alcun modo l’incongruenza quantitativa dell’intero compendio patrimoniale oggetto di sequestro. Tuttavia, la doglianza in questione è generica in quanto non è indicata la misura della sproporzione. Anche il ricorso dell’imputato, dunque, è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 marzo – 15 aprile 2014 ,numero 16431 Presidente Fiale – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 10 ottobre 2013 il Tribunale di Foggia - a seguito di appello presentato da A.G. avverso ordinanza del 16 settembre 2013 con cui il gip dello stesso Tribunale aveva respinto richiesta di dissequestro/riduzione dell'oggetto di sequestro preventivo per equivalente disposto d'urgenza dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia il 12 giugno 2013 e convalidato dal gip il 19 giugno 2013 in relazione a indagini nei confronti dell'A. per il reato di cui all'articolo 11 d.lgs. 74/2000 - ha annullato l'ordinanza impugnata limitatamente ai beni di proprietà della Autocenter S.r.l. in liquidazione e della Autocenter Unipersonale S.r.l., ordinandone il dissequestro e la restituzione all'avente diritto. 2.1 Ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, denunciando violazione del combinato disposto degli articoli 321 c.p.p., 322 ter c.p., 1, comma 143, L. 244/2007 e 11 d.lgs. 74/2000 per avere il Tribunale ritenuto che i beni di proprietà delle suddette società non fossero confiscabili nonostante l'intestazione fosse fraudolenta. 2.2 Ha presentato ricorso altresì il difensore dell'A. , denunciando violazione dell'articolo 322 bis c.p.p Non essendovi stata richiesta di riesame contro il provvedimento genetico, nell'atto d'appello era stata addotta l'omessa motivazione del gip nell'ordinanza reiettiva sul fumus commissi delicti il Tribunale nell'ordinanza impugnata riconosce che il gip non ha dato risposte adeguate sul fumus ma ritiene ciò non proponibile per la prima volta in appello. L'assenza del riesame non inibisce la richiesta di revoca del provvedimento genetico per cui il Tribunale avrebbe dovuto estendere la propria cognizione al fumus e comunque non ha colmato il vuoto motivazionale suddetto, cosa che non ha fatto. Inoltre il Tribunale non avrebbe motivato sulla sproporzione del valore dei beni sequestrati rispetto all'asserito profitto per cui è stato imposto il vincolo. Considerato in diritto 3. Entrambi i ricorsi sono infondati. 3.1 Il ricorso del PM, pur presentato come denuncia di violazione di legge, patisce in realtà una sostanza fattuale. Invero, dopo avere dato atto che la fattispecie di cui all'articolo 11 d.lgs. 74/2000 non rientra tra i reati elencati dagli articoli 24 ss. d.lgs. 231/2001, per cui non è configurabile una responsabilità diretta delle persone giuridiche per il suddetto reato tributario, con conseguente impossibilità di effettuare il sequestro per equivalente sui beni delle persone giuridiche il che corrisponde ad una consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte ed è stato recentissimamente confermato da S.U. 30 gennaio 2014 numero 10561 , invoca un altrettanto consolidato orientamento, nel senso che, qualora la persona giuridica sia un apparato fittizio, cioè uno schermo diretto fraudolentemente a celare il reo per quanto riguarda la disponibilità dei beni che formalmente sono intestati alla persona giuridica, quest'ultima intestazione è, ai fini del sequestro e della successiva confisca, tamquam non esset da ultimo, oltre a S.U. 30 gennaio 2014 numero 10561, v. Cass. sez. III, 20 settembre 2013 numero 42476 Cass. sez. III, 10 luglio 2013 numero 42350 Cass. sez. III, Cass. sez. III, 23 ottobre 2012-3 aprile 2013 numero 15349 Cass. sez. III, 19 settembre 2012-10 gennaio 2013 numero 1256 Cass. sez. III, 14 giugno 2012 numero 25774 . In relazione a questo, adduce il PM che nel caso in esame vi sarebbe una intestazione fraudolenta dei beni alla società Autocenter Unipersonale S.r.l., intestazione quindi atta a legittimare il sequestro asserto che si pone evidentemente sul piano fattuale secondo il ricorrente, detta società è stata creata dall'indagato proprio per farvi confluire i beni della Autocenter S.r.l. quando per questa iniziava la verifica fiscale, così da collocarli in una società ad hoc a lui pienamente riconducibile , e su tale piano è stato infatti affrontato e confutato, si nota ad abundantiam , dal Tribunale, che ha escluso l'esistenza di dati idonei per ritenere fittizia la società in questione motivazione, pagina 5 . Né, ovviamente, può intendersi che, poiché unipersonale, la società sia di per sé fittizia, poiché questo colliderebbe con la scelta del legislatore di attribuire personalità giuridica anche a un ente unipersonale. In conclusione, essendo diretto ad ottenere dal giudice di legittimità una valutazione di merito che gli è preclusa, il ricorso deve considerarsi inammissibile. 3.2.1 Il ricorso del difensore dell'A. , anzitutto, censura l'ordinanza impugnata per avere ritenuto che le questioni afferenti alla legittimità del vincolo reale, presentate per la prima volta nell'atto d'appello, non fossero in tale sede proponibili, essendo il riscontro del fumus commissi delicti riservato alla fase del riesame ad avviso del ricorrente, invece, qualora la richiesta di riesame non sia stata avanzata, il suo contenuto può ben riversarsi nell'atto d'appello ex articolo 322 bis c.p.p Ciò sarebbe dimostrato dall'avere la giurisprudenza di legittimità riconosciuto che l'omessa richiesta di riesame non preclude la revoca del provvedimento genetico per la mancanza dei suoi presupposti. Il Tribunale, reputando che l'appello cautelare non abbia alcuna funzione supplente rispetto al riesame, si è posto in linea con l'orientamento nomofilattico che ritiene riservato alla fase del riesame - e dunque precluso in fase d'appello - quanto concerne i presupposti del provvedimento genetico oltre a Cass. sez. VI, 26 ottobre 2011-9 febbraio 2012 numero 5016, richiamata dal giudice di merito e per la quale appunto nel giudizio di appello proposto contro un sequestro preventivo, possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell'imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura, mentre il riscontro del fumus delicti è riservato alla fase del riesame. Ne consegue l'inammissibilità del gravame che deduca per la prima volta in sede di appello motivi inerenti unicamente alla carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni previste dall'articolo 321 c.p.p. , conformi sono Cass. sez. III, 8 marzo 2007 numero 17364 e Cass. sez. III, 11 giugno 2003 numero 29234 . È vero che sussiste altresì un orientamento che attinge già da S.U. 24 maggio 2004 numero 29952 il quale, rifacendosi ai limiti del giudicato cautelare inteso come inclusivo non delle questioni deducibili bensì solo di quelle effettivamente dedotte e decise Cass. sez. IV, 4 giugno 2009 numero 32929 Cass. sez. IV, 28 novembre 2008-29 gennaio 2009 numero 4273 , ritiene, come evidenzia il ricorrente, che, pur se non è stata formulata richiesta di riesame, possa comunque chiedersi la revoca del provvedimento genetico per difetto dei suoi presupposti e impugnare con l'appello cautelare l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca da ultimo Cass. sez. III, 20 dicembre 2012-31 maggio 2013 numero 23611 e Cass. sez. II, 20 aprile 2012 numero 17201 . E nel caso di specie l'attuale ricorrente, che non ha proposto richiesta di riesame, con istanza del 21 agosto 2013 ha chiesto il dissequestro dei beni, contestando la legittimità del provvedimento ablativo, senza che poi il gip nell'ordinanza di rigetto, come riconosce il Tribunale, abbia motivato sul così contestato fumus commissi delicti . Peraltro, l'orientamento invocato dal ricorrente confligge in modo netto con il dettato dell'articolo 322 bis c.p.p., che prevede l'appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero fuori dei casi previsti dall'articolo 322 , cioè al di fuori dei casi di riesame, e dunque sulla base di elementi diversi e sopravvenuti rispetto a quelli del momento genetico della cautela. Il fatto che l'interessato non si sia avvalso della richiesta di riesame non può quindi intendersi come idoneo a convertire l'appello in riesame, facendo così retrocedere il procedimento, in contrasto non solo con il chiaro sbarramento letterale espresso dall'incipit della norma, ma altresì, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, con il principio della ragionevole durata del processo, che si manifesta pure evitando regressioni e ristagni procedurali attraverso adeguati meccanismi preclusivi, rispetto ai quali la tutela - se è necessaria in quanto nel caso concreto si sia realizzata una lesione del diritto di difesa - è individuabile in una norma ad hoc come l'articolo 175 c.p.p. in perfetto parallelismo con la tutela dalle barriere preclusive che fornisce anche il rito civile nell'articolo 153 c.p.c. . L'inerzia dell'interessato, d'altronde, non può essere premiata rendendo fungibile l'appello cautelare rispetto al riesame, anche perché ciò pregiudica il principio conservativo che deve governare l'ermeneutica, nel senso di togliere giustificazione alla istituzione di due distinti mezzi di tutela che il legislatore, rispettivamente con l'articolo 322 e con l'articolo 322 bis, ha disegnato. E per quanto riguarda il profilo del giudicato cautelare, il fatto che questo non copra le questioni non dedotte, ovvero deducibili, non può essere inteso, per una necessaria coerenza sistematica con quanto appena esposto, nel senso che la non deduzione sul piano storico equivale in ogni caso a una persistente deducibilità sul piano giuridico il vaglio di quanto non è stato antecedentemente dedotto deve operarsi soltanto quando la sua posteriore deduzione è legittima ovvero conforme con il sistema, e quindi non è qualificabile come tardiva sotto il profilo del termine di proposizione, né è qualificabile come inammissibile per la tipologia della impugnazione adottata. La contestualizzazione degli istituti nel complessivo sistema esige, infatti, che questi vengano interpretati ed utilizzati senza incorrere nel disordine di una fungibilità che svuoti il contenuto specifico degli istituti stessi e confluisca, a ben guardare, in una complicazione che, pur in difetto di qualunque lesione del diritto di difesa, rallenta e aggrava la sequenza procedurale. L'interpretazione della funzione dell'appello cautelare adottata dal Tribunale risulta pertanto corretta e condivisibile. 3.2.2 Peraltro, ad abundantiam , il Tribunale ha altresì fornito anche un'ampia motivazione pagine 2-3 in ordine alle argomentazioni difensive relative alla pretesa mancanza della fraudolenza nella condotta dell'indagato e la doglianza che detta motivazione non abbia colmato il vuoto motivazionale del provvedimento del gip si pone su un piano fattuale in questa sede inammissibile, anche a prescindere dal rilievo che non può definirsi motivazione apparente quella che risulta consistere in un'esposizione analitica, non costituita da formule di stile né da elementi meramente assertivi. 3.2.3 Per quanto riguarda, infine, la pretesa carenza assoluta di motivazione in ordine alla asserita sproporzione dei beni sequestrati dedotta nell'atto d'appello, non può non ricordarsi anzitutto che l'ordinanza impugnata ha parzialmente accolto l'appello stesso disponendo il dissequestro e la restituzione dei beni di proprietà di Autocenter S.r.l. in liquidazione e Autocenter Unipersonale S.r.l., così indubbiamente diminuendo il valore di quanto assoggettato al vincolo. Ad avviso del ricorrente, però, costituirebbe motivazione stringata, quanto erronea sulla questione della proporzione del valore dei beni il rilievo del Tribunale che i suddetti dissequestro e restituzione appaiono ricomprendere, esaurendola, anche la disamina dell'ultimo motivo di gravame che rimane, evidentemente, assorbita e ciò perché, sempre secondo il ricorrente, il disposto dissequestro dei soli beni di proprietà aziendale non invalida in alcun modo l'eccepita incongruenza quantitativa dell'intero compendio patrimoniale oggetto di sequestro, in assenza di una preventiva, quanto doverosa, determinazione della presuntiva somma di denaro la cui sottrazione all'erario sarebbe stata perseguita con l'avvenuta cessione del ramo aziendale . Pur apparentemente motivata, in realtà la doglianza è da qualificarsi generica, in quanto non è indicato in quale misura, tanto più a seguito del dissequestro dei beni di proprietà societaria, i beni rimasti sotto il vincolo vanterebbero un valore di entità sproporzionata si tratta, infatti, non della determinazione del valore che dovrebbe essere oggetto del vincolo, bensì della determinazione della misura in cui i beni sequestrati oltrepassano tale valore, pervenendo alla lamentata sproporzione. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso del difensore dell'A. deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna di A.G. , ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente A.G. versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del PM dichiara inammissibile il ricorso dell’A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.